Così la descrive il Repetti nel suo Dizionario Geografico, Fisico e Storico della Toscana

 

Abazia, Abazia al Monistero, Badia della Berardenga, di S. Salvatore di Fontebuona a Campi

ABAZIA DELLA BERARDENGA in Val d'Ombrone, presso un antico castello denominato il Monastero sul torrente Coggia, nella Comunità, Giurisdizione e tre miglia toscane a levante di Castelnuovo Berardenga, nel popolo dei SS. Jacopo e Cristoforo a Monastero, Diocesi di Arezzo, Compartimento di Siena. Dedicata a S. Salvatore e a S. Alessandro in luogo detto a Fontebuona, fu edificata e ampiamente dotata sotto gli anni 867 e 882 da Wuinigi conte di Siena di origine francese, autore delle illustri prosapie dei Scialenghi, degli Ardenghi, dei Manenti, dei Berardenghi ec. Destinata in origine per le donne, cui doveva presedere una delle famiglie del fondatore, passò ai monaci Camaldolensi, ai quali fu rassegnata nel 1003 dai pronipoti del conte Wuinigi che ne aumentarono le entrate, confermate dalla contessa Beatrice duchessa di Toscana, nel 1070, e da vari sovrani e pontefici, segnatamente rapporto alla giurisdizione di molte chiese di quel Contado. Nel 1346 l'abate della Berardenga sottopose alla giurisdizione civile del comune di Siena il castello della Berardenga, oggi detto Castelnuovo, alla qual'epoca trovavasi conventuale della Badia Berardenga un monaco, chiamato Angiolo di Tura, probabilmente il continuatore della Cronaca senese del Dei, dal 1348 al 1384.
Data in commenda dopo il secolo XIV, fu aggregata nel 1400 a quella dello stesso ordine in S. Mustiola a Siena. Nel 1720, essendo in gran decadenza la fabbrica, l'abate commendatario Alessandro Zondadari arcivescovo di Siena la fece restaurare, ed è oggi ridotta a oratorio, dopo essere stato alienato nel 1810 il convento e le poche possessioni rimaste.

 

BERARDENGA (ABAZIA DELLA) in Val d’Ombrone senese sotto l’invocazione di S. Salvatore e S. Alessandro, nella parrocchia de’SS. Jacopo e Cristofano a Monistero, piviere di Pacina, Comunità Giurisdizione e circa 3 miglia toscane alevante di Castenuovo della Berardenga, Diocesi di Arezzo, Compartimento e 12 miglia toscane a ponente-libeccio di Siena.
L’istrumento di fondazione di questa soppressa Badia, che risale all’anno 867; le successive donazioni ad essa fatte dal conte Wuinigi nell’881, e dai suoi eredi nel 1003, 1023, 1085, 1097, 1105, ec., forniscono alla storia e alla diplomazia pregevoli documenti per conoscere i più antichi possessi e giurisdizioni dei maggiori magnati del contado e città di Siena sotto il regno dei Franchi e dei Sassoni. Si accennerranno ai respettivi articoli i poderi, corti, e castelli posseduti dai successori di detto conte, e assegnati alla Badia Berardenga, li di cui vocaboli pervennero sino alla nostra età.
Fu in origine questo monastero destinato a donne recluse da presedersi da una badessa della famiglia del fondatore.
Rimasto vuoto di claustrali, nel 1003, Berardo e Rodolfo, figli di altro Berardo, e discendenti del conte Wuinigi, ne accrebbero con nuove offerte la dote, nel tempo che introdussero nello stesso luogo pio i monaci, i quali poco dopo abbracciarono la riforma di S. Romualdo.

 

 

 
 

Conosciuta anche con il nome di Abbadia della Berardenga nella valle dell’Ombrone senese o come in origine di San Salvatore e Alessandro di Fontebuona a Campi sopra il torrente Coggia, a pochi chilometri da Castelnuovo Berardenga, ha una storia antica e molto travagliata.


Nacque nel nome di Dio e con la volontà di rispondere al richiamo del Vangelo dove si dice vendi tutto ciò che hai e il ricavato dallo ai poveri e avrai un tesoro in cielo, faceva scrivere il fondatore, il conte Wuiginisio, che la volle, insieme alla moglie Richilde, per amore di Dio onnipotente e per la remissione dei nostri peccati, affinché possiamo meritare il perdono di Dio misericordioso. Ma non sempre le opere di misericordia, come tutti i salmi, finiscono in gloria, sebbene dotata di terre, vigne, boschi, case con addetti e dipendenti e servi.


Fondata come convento femminile, ebbe come madre badessa la figlia del conte. Dalla data di fondazione fino all’881 c’è certezza della sorte dell’abbazia e del convento perché nuove donazioni vengono ad accrescere le precedenti e indicate in atti notori ma, da qui ai primi anni dopo il Mille, si perdono le notizie precise; solo da un nuovo atto notorio, si viene a sapere che il monastero si era trasformato in un convento di frati, forse Benedettini, e successivamente, nel 1098, Camaldolesi, ma non si conoscono le cause che portarono a tale trasformazione.

Si sa con certezza però che la Badia venne dotata di nuovi possedimenti e che prosperò nonostante il territorio fosse di confine e conteso tra Fiorentini, Senesi e Aretini. A causa degli scontri che si succedettero tra il 1207 e il 1230, la badia fu fortificata con mura e fossati e ponte levatoio; si menziona anche un torretta circolare, come riporta il Bargellini citando un disegno di Baldassarre Peruzzi conservato nella Galleria degli Uffizi, precedente a quella in stile neogotico che vediamo oggi.

 

Nel XIV secolo fu trasformata in Commenda e questo la salvò, nel 1554, dalla demolizione durante la guerra tra Cosimo de’ Medici e la Repubblica di Siena quando le truppe fiorentine posero l’assedio alla Badia; uno dei condottieri voleva ridurla in polvere, ma Cosimo, ben sapendo quanto fosse pericoloso, politicamente, inimicarsi un cardinale, preferì procedere per via diplomatica ottenendo che la badia fosse lasciata intatta.

Da allora iniziò l'inarrestabile decadenza che vide demolizioni e trasformazioni rispetto alla sua bellezza architettonica originaria. Tra gli scempi peggiori cui fu sottoposta, a partire dal XVIII secolo, il cappellano Giuseppe Radicchi fece staccare la chiesa dalla torre, accorciandola di una metà.
Nel 1820 fu alienato il Convento e la badia retrocessa a priorato.


Oggi è proprietà privata, villa e fattoria. Da quello che era l’antico accesso, la porta situata lateralmente, elegante e importante, si accede ad un grande cortile in cui campeggia un gallo di dimensioni notevoli a testimoniare con il suo simbolo il famoso Gallo Nero e quindi l’uso dei locali che delimitano il grande cortile, a fattoria. Tutto il fabbricato è coronato da merli guelfi che sono il risultato di un’aggiunta successiva, come la torretta rotonda che si alza stretta e merlata sopra il cortile.

Resta l’incanto del luogo e la bellezza originaria della torre campanaria con cinque ordini sovrapposti con tre trifore e due monofore.