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Bacino alluvionale della Foenna
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Immagini e breve storia di una colmata |
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Leonardo, nella sua splendida e dettagliatissima “pianta a volo d’uccello” della Valdichiana, segna il promontorio, su cui sorge Foiano, come spartiacque. A sinistra, una sorta di fiume, disegnato più marcatamente per differenziarlo dalle acque stagnanti, proveniente dai monti di Cortona, si dirige verso Arezzo. A destra, la Foenna e l’Esse alla sua sinistra, sembrano proseguire uniti e serpeggianti sotto la superficie del grande lago, alla volta di Roma.
Nel 1525, quando Bettolle era poco più di un piccolo villaggio di confine della Repubblica di Siena, la vicina comunità di Foiano (in territorio fiorentino), deliberò di cedere la parte dei propri terreni impaludati (terreni considerati della comunità perché si era persa la memoria di chi fosse stata la proprietà, questo lascia capire lo stato di abbandono e la qualità dei possessi) ad Ippolito dei Medici a patto che questi provvedesse, a proprie spese, ai lavori di bonifica. Il Medici accettò la proposta e, in tempi rapidissimi, la cessione fu regolarizzata con un contratto. Il contratto prevedeva alcuni vantaggi. Per esempio era previsto che la comunità ricevesse ogni anno uno staio di grano per ogni staioro (Lo staioro era un’unità di misura variabile da zona a zona e corrispondente ed un’estensione di terreno sufficiente per seminarvi uno staio di grano; pari a mq 525 ca.) di terreno prosciugato; che per i lavori di bonifica e di coltivazione fossero utilizzati gli uomini di Foiano; che fosse consentito il pascolo nei periodi liberi da colture, ed altri piccoli vantaggi che avrebbero permesso alla gente di vivere un po’ meglio, senza però, nel contempo, dare troppo fastidio alla nuova proprietà.
L’esempio di Foiano fu seguito nel decennio successivo, con gli stessi intenti e speranze, da Castiglion Fiorentino, che cedette i suoi terreni paludosi a papa Clemente vii, al secolo Giulio dei Medici (e zio di Ippolito), e successivamente da Cortona, Montepulciano, Chiusi e da quasi tutte le altre comunità della valle. In breve, la famiglia Medici, divenne proprietaria di tutti i terreni immediatamente a ridosso del Chiana, tra Arezzo e Chiusi. I lavori di bonifica ebbero inizio e continuarono in modo più organico e deciso che in passato, soprattutto dopo la fine della “Guerra di Siena”, ma le cose non andarono esattamente come avrebbero voluto i donatori. I Medici non rispettarono in alcun modo le clausole dei contratti di donazione: non pagarono mai quanto previsto dalle carte, si appropriarono di svariati ettari di terreno delle comunità e spesso richiesero contributi per le opere di bonifica. Se a questi particolari si aggiunge la drastica diminuzione delle zone lacustri, con la conseguente riduzione dei proventi delle attività connesse, come la pesca, la raccolta delle canne , ed il traghettamento , quello che emerge è un quadro a dir poco disastroso, tanto da far apparire l’idea della donazione dei terreni come la peggiore che la gente della Valdichiana avesse mai avuto. Tuttavia occorre dire che senza quegli atti di donazione la valle sarebbe rimasta paludosa, probabilmente, per molto tempo ancora. È difficile infatti ipotizzare un’impresa, per realizzare la quale furono coinvolte le più grandi menti del tempo, molte delle quali convintissime dell’impossibilità di bonificare la valle, se non ci fossero stati gli interessi diretti della famiglia al potere.
Le Colmate sono l’essenza stessa della Valdichiana. Un tempo nelle campagne si diceva: «l’acqua piove chiara e va via turbola», o anche «con la mota». Un modo di dire che potrebbe essere la rappresentazione poetica del processo di colmata. Il termine “mota”, per indicare il fango, è in uso nel versante senese, mentre in quello aretino si usa la parola “loto”, con la prima o chiusa. In breve la colmata ha lo scopo di dover «sanare una campagna allagata». La maniera più ovvia, per liberare un terreno dalle acque che vi ristagnano, può sembrare quella di farle uscire procurando loro una via di fuga, per mezzo di «escavazioni di canali», rotture di argini o terrapieni, su un terreno posto più in basso, realizzando una bonifica per essiccazione. Se però intorno all’area allagata non ci sono terreni più bassi, dove far defluire l’acqua in modo naturale, è necessario forzarla con l’immissione, nella zona allagata, di acqua contenente materiale torbido, il quale, essendo più pesante dell’acqua, tenderà a depositarsi nel fondo, facendo alzare il livello e costringendo le acque chiare superiori a disperdersi nei terreni circostanti. Tecnicamente questa è la bonificazione per alluvione, normalmente detta Colmata.
Le Colmate possono essere di due tipi: naturali o artificiali. A quelle naturali ci pensa la natura quando «un fiume, che spaglia a suo talento in una campagna, e la va sollevando colle sue torbe senz’altra legge, che quella dettatali dalle circostanze locali, che invitano le sue acque piuttosto in questa parte che in quella». Le seconde invece si formano regolate da una arginazione artificiale, normalmente di forma rettangolare, sulla quale vengono lasciate «una o più aperture aggiustatamente praticate negli argini, dalle quali le acque stesse escono depurate dalle torbe depositate in Colmata». A processo terminato, il terreno utilizzato per l’operazione, normalmente molto esteso, si presenterà rialzato rispetto a quelli circostanti e, per il tipo di materiale con cui è stato formato, provenienti dai boschi delle colline circostanti, risulterà eccezionalmente fertile e, quindi, in grado di produrre colture molto più abbondanti rispetto a quelle fatte negli altri terreni.
Parte finale della bonifica
Nel 1816 Vittorio
Fossombroni, responsabile della bonifica della Valdichiana, conosce
a Parigi Alessandro Manetti, il quale aveva studiato architettura a
Firenze e a Pisa, e ora si stava perfezionando presso la Scuola
Imperiale di applicazione dei Ponti e delle Strade, dimostrando una
attitudine particolare in materia di idraulica. Percependone le
qualità, lo fece assumere come ingegnere del territorio presso la
Direzione della bonifica di Arezzo, affidandogli subito il compito
preciso di realizzare la rilevazione idraulica e livellazione
completa della Valdichiana. L’accordo fu raggiunto e stampato in tutte le parti l’anno seguente a Roma a cura del Vaticano. Queste le prime righe dell’introduzione: «L’Ecc.mo Sig. Cardinal Consalvi Segretario di Stato della Santità di Nostro Signore Pio Papa VII felicemente Regnante con foglio del 18 Febbraro 1820 fece intesa la Sagra Congregazione delle Acque, che la Imperiale Real Corte di Toscana desiderava, che venissero spediti due Ingegneri Pontificj in Val di Chiana per concertare cogl’Ingegneri Toscani Signori Federico Capei, ed Alessandro Manetti un Progetto relativo ai lavori occorrenti per bonificare il Piano della Biffa, e per appianare d’accordo le difficoltà insorte colle note antecedentemente scambiate fra i due Governi per gli scoli delle Bozze Chiusine […]»
Il documento segna anche
la fine di un’altra storia, quella del doppio impaludamento,
iniziato nell’alto medioevo e che aveva portato alla formazione di
un bacino nel quale le acque, dalla zona compresa tra Foiano e Cesa
si dirigevano verso nord, mentre da quella compresa tra Foiano e
Bettolle si orientavano verso sud. Al centro di questi due bacini
l’acqua se ne stava praticamente ferma. Ma ecco che con il
Concordato veniva ufficializzato il nuovo corso delle acque: tutto
rivolto verso nord «Siccome la Valle di Chiana ha due pendenze una
verso il Tevere, e l’altra verso l’Arno, e la divisione di queste
due pendenze fu fissata coll’Argine di separazione dal Concordato
del 1780, così si formano due Quadri, il primo partendo dall’Argine
di separazione progredirà verso il mezzo dì per la Valle che scola
nel Tevere; il secondo partendo dal medesimo Argine progredirà verso
Tramontana per la Valle che scola nell’Arno».
In questi anni (1821) si lavora molto non soltanto a sud del lago di Chiusi, ma anche a nord del Callone di Valiano e nelle valli degli affluenti, in particolare quella della Foenna. Nell’area dei Prati di Sinalunga (oggi conosciuta come Le Prata), si realizzano canali di scolo che portano le acque oltre il molino di Montemartino, mentre dalla parte opposta si lavora per bonificare completante il territorio compreso tra il molino e Poggigialli, detto il Piano del Busso. Nel 1827 Vittorio Fossombroni, non più giovane, lascia la Soprintendenza a Federico Capei, ma non rinuncia al piacere di accompagnare Leopoldo II nel suo primo viaggio in Valdichiana in veste di Granduca. E il piacere deve essere stato reciproco, perché nel suo diario Leopoldo scrive: «Venni nella Chiana, era a me guida e compagno il vecchio Fossombroni che l’aveva risorta e ne aveva scritto». E poi prosegue: «Era piovuto la notte, vidi le acque dei fiumi e dei rii raccolte in assegnati recinti, ferme a posare la terra rubata, e domandai che fosse… disse il Fossombroni: sono le colmate, le arene d’oro del Pactolo di cui gli scolari di Galileo, Viviani e Torricelli si servono per far rinascere la valle». Nelle pagine del diario della terza visita del Granduca in Valdichiana effettuata nell’estate del 1836, si leggono note che fanno pensare ad una vicinanza notevole con il Manetti, perché alcune osservazioni si ritrovano espresse, praticamente con le stesse parole, nel libro che l’ingegnere darà alle stampe quattro anni dopo. Una di queste, per esempio, è quella relativa ai pericolosi argini alti dei corsi d’acqua: «Percorsi la Foenna altissima sulla campagna sotto Bettolle, tanto che, nelli argini affiorati dalle piene, la superficie a pelo delle acque corrispondeva ai primi piani delle case dei vicini poderi». Ed ancora: «Guardando la giacitura delle valli era pur singolare che la maggior parte delle acque piovane dalla parte di ponente ed alcune ancora dalla parte di levante, correvano verso mezzogiorno, ossia verso Roma». Se si considerano gli sforzi fatti e tutti gli interventi sul Canale Maestro, per far defluire l’acqua verso Arezzo, non era un problema di poco conto. In fondo però la causa era ben nota: «la Foenna con le colmate sue era arrivata alla Madonna del Ponte presso a Valiano»; e si trovava vicino al Canale Maestro che però non era in grado di riceverla, o per meglio dire non poteva sopportareil peso delle torbe e del materiale terroso che si portava dietro.
Altri torrenti concorrevano a rendere problematica la bonifica della zona. Da alcuni appunti dalle relazioni di Leopoldo II si legge: «Del Salarco era eguale la condizione: questo correva in ghiaia e di continuo traboccava; correva esso a destra della Foenna, colmava sulle gronde del lago di Montepulciano, il lago si gonfiava e le sue escrescenze erano sostenute dal Callone di Valiano. Il Salcheto faceva egual via del Salarco: le sue acque chiarificate le doveva condurre il Canal Maestro in direzione opposta e quasi parallela a quella dei menzionati fiumi. Dalla parte di levante, le Reglie del Musarone, Chianacce e il Rio di Paterno, non trovando luogo dove colmare, erano condotte a disperdere i fanghi sopra i campi fertili», creando delle sopraelevazioni. «Di questi depositi di terra, lungo il Canale ve ne erano nei pressi degli «Spagliatori delle colmate della ricca Foenna». Molti problemi affliggono il territorio, in primo luogo quello delle piene della Foenna che invadono i terreni già bonificati per mezzo delle colmate fatte con il Salarco e che tendono a disperdersi ovunque «sino alla lontana via di Valiano» e dopo verso “Le Chiarine” (Piccolo lago collegato a quello di Montepulciano che si era ingrandito con le piene della Foenna.). La canalizzazione della Foenna verso il lago di Montepulciano, tecnicamente, sarebbe stato possibile e avrebbe risolto parzialmente il problema, ma sarebbe stato necessario far passare le piene per terreni coltivati con danni enormi e, per arrivare fino al lago, sarebbero stati necessari argini molto alti a partire dal piano tra Sinalunga e Torrita. «Un fiume potente e torbido quale è la Foenna non può consigliarsi che si contenga in un alveo di sproporzionata inclinazione, ed è ben noto che anche nelle presenti sue condizioni stanno in allarme continuo i possessori ad esso limitrofi. Ben altri timori nascerebbero e con essi dei giusti e virulenti reclami, quando si volessero, senza corrispondente oggetto, aumentare le probabilità dei disastri» (cit. Manetti).
Quella intorno al Callone di Valiano era una zona soggetta a periodici allagamenti in larga parte causati proprio dalla Foenna, come prova un documento di fine settecento riportato dal Fossombroni ed al quale non viene dato carattere di eccezionalità, segno evidente che non si era trattato di un fatto episodico: «io appiè scritto custode della fabbrica del Callone di Valiano […] attesto qualunquemente i regurguiti della Foenna, allorché le sue piene son giunte fino al Chiaro di Montepulciano elevandosi sopra l’attual soglia del regolatore esteriore del Callone sopra mezzo braccio». Nella stessa zona “sfociava” anche il Salarco, proveniente dalle colline di Montepulciano e che, nell’ultimo tratto, si avvicinava pericolosamente alla Foenna, tanto che si pensò che per prevenire possibili problemi, forse era meglio che fosse «condotto a versarsi nel Chiaro di Montepulciano». E comunque la sua pericolosità la faceva sentire già da alcuni chilometri prima «scorrendo elevatissimo nel piano degli Sciarti [dove] non è infrequente il caso che la piena ne sfiori gli altissimi argini e talvolta trabocchi».
E poi c’erano altri corsi
d’acqua minori che nei momenti di grande piovosità davano il loro
piccolo ma determinante contributo nell’allagare il piano sotto Valiano.
Leggendo queste considerazioni, non è facile capire il perché non si fosse posto rimedio ad una situazione che ormai andava avanti da quasi tre secoli; così come non si capisce perché l’idea del Fossombroni di rialzare il piano nella zona di Valiano, per dare più pendenza al Canale Maestro della Chiana, in modo da permettergli di trascinare senza sforzo le acque torbide contenenti materiali pesanti, non fosse stata ancora realizzata. Ed era passata molta acqua sotto il ponte di Valiano, dal tempo in cui in quella zona c’era una sorta di corridoio che univa lo Stato fiorentino con la città amica di Montepulciano. Una fetta di terreno larga qualche chilometro, servita da un ponte che scavalcava la Chiana, in mezzo al territorio della Repubblica di Siena. Una situazione, questa, che sarebbe stata di sicuro intralcio ai lavori, ma ora che tutto era unificato sotto la corona granducale, non si capisce perché i lavori non venissero fatti.
Il suo progetto, ridotto alla linee essenziali, consisteva nel rialzare il terreno di tutta la parte sud della Valdichiana, iniziando dal lago di Montepulciano: «tutta da una falda all’altra delle opposte colline vada sollevandosi la superficie della campagna». Naturalmente era ben consapevole del fatto che nella zona si trovavano quattro grandi fattorie: Dolciano, Acquaviva, Abbadia e Bettolle, ma la sua idea non era quella di «rialzare alcuni terreni, migliorandoli a scapito di altri», come era accaduto quando erano stati «colmati i paduli». Il suo progetto si riproponeva «la sistemazione» di tutta la valle, e se per far ciò occorrevano dei sacrifici, questi li dovevano fare tutti quanti, a partire da coloro che dalla prima parte della bonifica avevano tratto molto profitto. L’autore stesso però scrive che sarà «poco probabile che considerati i molti interessi, non ci sia qualcuno» il quale abbia in mira il proprio vantaggio, «a preferenza di quello dei rispettivi confinanti e del pubblico [cioè i beni pubblici]». E che tutto ciò provochi ritardi e cattive applicazioni del progetto «ma questo inconveniente – conclude il Fossombroni – è tutto morale, e l’evitarlo non dipende da matematiche speculazioni». E con ciò chiude l’argomento lasciando aperti i problemi.
Siamo nel 1836 e leggiamo
come ormai sia stato deciso di abbandonare il progetto che prevedeva il
rialzamento dei terreni a partire dalla zona del lago di Montepulciano,
intervenendo parallelamente sulla pendenza della Chiana, per passare ad
una serie di lavori zonali: «ora si penserebbe assegnare diversa
pendenza ai due tronchi del Canal Maestro: l’uno verso Montepulciano,
con poca inclinazione e adatto a condurre acque chiare soltanto, l’altro
più inclinato a condurre e le chiare e le torbide insieme». Un approccio
nuovo con il problema che il Granduca sintetizza con un’immagine: «invece
di linea tutta uniformemente inclinata, una linea spezzata».
Fu deciso, a seguito
dell'abbandono del progetto di rialzamento, per consentire lo scolo
delle acque del Canale Maestro, di riversare in questo solo le acque
chiare e di costruire altri due canali entro cui si sarebbero
indirizzate le acque torbide. Tali canali, con una pendenza adeguata per
poter scorrere regolarmente, sarebbero stati portati a sfociare nella
depressione di Brolio, dove i materiali pesanti avrebbero potuto trovare
lo spazio per depositarsi, mentre le acque, una volta chiarificate,
sarebbero state immesse nel Canale Maestro.
Nel luglio dello stesso
1838, Alessandro Manetti fu nominato Direttore dei lavori di Valdichiana.
Qualche mese dopo, per sua esplicita richiesta, il Governo granducale
legiferò sulla materia, stabilendo che i lavori per la Sistemazione
delle acque di quel comprensorio, erano da considerarsi di pubblica
utilità. Ciò voleva dire, che non potevano più essere accettate
opposizioni di nessun tipo da parte dei proprietari dei terreni
interessati dai lavori di bonifica della valle. Tra l’altro, per
scoraggiare ogni forma di reclamo, la legge precisava che i lavori fatti
eseguire dal Direttore erano «rivestiti della Sovrana approvazione». La
dura posizione assunta dalla Direzione dei lavori, che incontrò la
simpatia di pochi, era stata dettata dalla necessità di intervenire su
una situazione idraulica molto compromessa da anni di colpevole inerzia,
molto spesso dovuta ai non pochi favoritismi ed agli ostacoli frapposti
ad arte dai proprietari dei terreni.
I grandi lavori nella zona compresa tra il piano di Sinalunga e il ponte di Valiano iniziarono con una prima sistemazione di quella che verrà definita la Grande colmata della Foenna. Parallelamente cominciarono anche i lavori per la Botte della Fuga di Torrita e del Passo della Fuga sotto la nuova Foenna. Nel 1850, portati a compimento tutti gli studi, iniziarono i lavori per la deviazione del corso del Salarco, che prevedevano un’ampia curva, dopo la quale proseguiva in modo rettilineo verso nord andando a formare il primo tratto dell’Allacciante di sinistra. Due anni dopo, mentre proseguivano tali lavori, furono presi i necessari accordi, con il responsabile delle Regie Possessioni e con alcuni proprietari terrieri, per l’uso dei terreni necessari all’espansione della Grande colmata della Foenna, il completamento della quale, relativamente alla sola arginatura, richiederà quasi due anni di lavoro.
Dei due allaccianti il più
importante è indiscutibilmente quello di sinistra, che raccoglie la
maggior parte delle acque del versante senese, compresa la Foenna, le
cui «torbidissime acque» furono prese a lungo in considerazione per
colmare la vasta pianura del versante cortonese tra Foiano e Creti. Ma
il progetto di un canale che sovra passasse quello Maestro, per portare
le acque della Foenna a disperdersi alla sua destra, non fu realizzato.
A lavori ultimati l’Allacciante di sinistra, così come si presenta anche
oggi, dopo aver raccolto le acque dell’Esse tra Bettolle e Foiano,
prosegue fino al piano di Cesa dove confluisce nel Canale Maestro.
Per concludere alcuni dati della Valdichiana: la valle è stata prosciugata senza sollevamento meccanico. [...] 185 chilometri quadrati di cui 80 strappati alla palude, sono difesi da oltre 630 chilometri di arginature».
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Alcune fotografie dell'attuale Valdichiana e Foenna nuova
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