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Oggi dicendo Chianti evochiamo una quantità di cose: un vino soprattutto e anche altri prodotti, un paesaggio ad un tempo scabro e armonico, il fascino di piccoli centri, di ville padronali e di edifici contadini dalla storia secolare, una terra mitizzata come luogo di ritempranti otia fruiti da una clientela cosmopolita. Il Chianti per secoli è stato un luogo lontano, malgrado la sua ubicazione al centro di una regione a buon diritto definita “terra di città”. Nel Medioevo la lontananza era accresciuta non solo dai modi di comunicazione d'antan e dal fatto che la viabilità principale circondava il Chianti senza attraversarlo (ad oriente la Cassia Nova che congiungeva Firenze a Chiusi passando per il Valdarno da Figline a Bucine, ad occidente la Francigena che da Lucca raggiungeva Siena per la Valdelsa contribuendo in modo decisivo a favorirne lo sviluppo), ma dalla principale caratteristica di questa terra, quella di essere una zona di frontiera. In primis incrocio di diocesi, essendo qui la linea di cerniera tra i vescovadi di Arezzo, di Fiesole, di Firenze, di Siena, di Volterra. E poi mentre nel corso del XII secolo le schiatte signorili, incarnate principalmente dai Firidolfi, avevano dovuto abdicare alla loro preminenza con atti di sottomissione forzata, fu soprattutto terra di confine tra Firenze e Siena in competizione per accrescere i loro nascenti stati territoriali.
Il Castello di Barbischio sovrasta il paese di Gaiole In Chianti, nel medioevo, capoluogo di un terziere della Lega del Chianti. Le sue prime notizie risalgono intorno alla fine dell’anno mille e se ne ha prove certe, provenienti dagli archivi abbaziali di Badia a Coltibuono, e nel 1220 il castello e la sua curtis furono date in feudo dall’imperatore Federico II di Svevia, ai conti Guidi di Battifolle. La signoria dei Guidi è ricordata anche da Giovanni Villani nella sua Nova Cronica e ricorda che gli abitanti del luogo si ribellarono a causa del "malo reggimento che il giovane conte Guido di Ugo di Battifolle facea a' suoi fedeli d'opera di femmine". Nel 1230 un incursione dell’esercito di Siena, danneggiò gravemente la fortificazione. Successivamente, come molti altri edifici della zona, divenne possesso della potente famiglia Ricasoli. E’ un castello di antica tradizione, sempre conteso, osteggiato e bramato dai nemici, occupato anche dagli aragonesi nel 1478. Insieme ai vicini Montegrossi, Vertine e Meleto, tutti collegati a vista, Barbischio, faceva parte delle difese fiorentine, in quest’area di Chianti confinante con i domini senesi. Barbischio è stata sede di “castellare”, denominazione che veniva usata, quando un castello era stato privato dell’impianto fortificato. Dell’antico castello, oggi rimane una torre che sovrasta l’abitato, che testimonia l’antico romanico. Negli anni ottanta, alla parete della torre originaria, venne addossata una struttura che ha consentito il recupero a fini abitativi. Sono ancora visibili anche parte delle mura del recinto, ma soprattutto si può ancora apprezzare in pieno il dominio che da qui si esercita sulla vallata sottostante. Nel borgo sorge anche la chiesa parrocchiale dedicata a San Jacopo. Ai piedi del castello si trova il Molino di Barbischio, un complesso abitativo che presenta caratteri medievali dal quale emerge una torre e si notano anche altri elementi architettonici notevoli, quali un portale ad arco e mensole di apparati a sporgere. Intorno a Barbischio, si snodano le antiche strade che portano da una parte all’altra del comune: sentieri immersi tra i boschi, regno di daini, cinghiali e allevamenti di maiali di Cinta Senese. Una strada fa arrivare fino a Montegrossi, paesello sormontato dalla diroccata torre dell’anno mille, mentre dal lato opposto, si arriva sia nel Valdarno che a Monte Luco. Oggi il piccolo borgo vive del turismo enogastronomico.
Nel mese di settembre, a Barbischio, si svolge una tradizionale festa paesana nella quale la fanno da padrone i piatti tipici della zona: alla sera le donne servono crostini e primi nell’aia e dopo balli, gioco della pentolaccia e la grande sfida del palo della cuccagna. Palo unto in maniera così evidente che per arrivare a prendere i salumi fin sulla cima, ai baldi giovani ce ne vuole di allenamento. Rinomati sono i crostini neri delle “barbischiesi” fatti alla vecchia maniera, così come i crostini “verdi” con aglio, burro e prezzemolo, e quelli rossi con il sugo di pomodoro piccante.
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