San Vito in Osenna o in Ofenna |
San Vito in Osenna o in Ofenna: cioè in Foenna ricevette il toponimo Osenna, non riscontrato nel territorio senese, e che diverrà Ossina, Osanna, Auxenna, Nosinna e Rosenna (nelle Rationes Decimarum), probabilmente dal canonico aretino Gerardo, che trascrisse, intorno al 1040, le carte longobarde riguardanti la famosa lite, e che, non nuovo ad interpolare i documenti, si autorizzò a cambiare il toponimo Foenna in Ofenna e poi in Osenna.
Potrebbe essere identificarlo con la chiesa della Madonna del Rosario, sotto Montagutolo, presso S. Gimignanello, già esistente durante la Visita Apostolica alla diocesi di Arezzo del 1583 e che sorge presso un edificio in pietra non identificato. Tuttavia appare più probabile che il battistero di S. Vito, che aveva giurisdizione da Farnetella e Rigomagno, a Rapolano ed Armaiolo compreso, sorgesse nell'attuale podere Le Pievi.
Come dopo il 1000 saranno contese tra i vescovi di
Arezzo e quelli di Siena le Pievi di Rapolano e di S. Stefano in Vico
Duodecim, così dovette essere oggetto di lite fin dal 714 tutto quel
territorio compreso tra Farnetella e Rapolano, incluso nel contado di
Siena e soggetto ad uno dei 19 battisteri elencati in quell'anno.
Nell'881, l'antico battistero, caduto probabilmente in rovina, una volta ristrutturato e ingrandito, dovette perdere il Santo titolare S. Vito e il toponimo "in Osenna", passato, nelle carte degli anni 881 e 998, alla nuova chiesa di S. Quirico "in Osenna" e dovette essere denominato con il nuovo appellativo: "S. Stefano in Vico Duodecim", come appare per la prima volta in una carta del 1053, anche se in una carta aretina del 1189 viene detto: "Plebs S. Stefani in valle de Foienne", documenti tutti pubblicati dal Pasqui. Rimangono imponenti avanzi della facciata e della parete di fondo con 2 finestre originali, la quale, secondo Gabbrielli, poteva avere un'abside semicircolare. Il nome Foenna deriva dal nome del dio etrusco Voltumna.
Rimane tuttavia inspiegabile il toponimo "in Vico Duodecim" annesso alla pieve di S. Stefano. Volendo considerare quel 12 un numero ordinale indicante il 12s miglio della Cassia e quindi riportato al posto di "ad Duodecimum", sorgerebbe la difficoltà che a 12 miglia sulla Cassia non esisteva nessuna città romana che giustificasse tale numerazione.
Più convincente potrebbe apparire l'ipotesi che con
quel numero si volesse ricordare un cippo in pietra con inciso il numero
XII, ivi collocato per ricordare le 12 miglia della Cassia dal confine
del territorio chiusino, fatta lastricare di nuovo dall'Imperatore
Adriano nel 123 d.C. |