Canti  Epico-Lirici

E' comune idea,  priva di qualsiasi fondamento oggettivo, che il canto epico-lirico sia patrimonio sostanziale dell'Italia del Nord.

Ma:

 

"Il fatto che il Piemonte possa essere riconosciuto come un centro di creazione del canto epico-lirico non esclude che quel tipo di canto si sia prodotto anche in altre zone d'Italia".

 

Così afferma il Cocchiara. Ed il medesimo aggiunge:

 

« Il problema è tuttavia un altro: ed è quello dell'intensità che una forma ha avuto rispetto alle altre nelle varie regioni. Ora non vi è dubbio che in questo senso il canto epico-lirico ha avuto in Piemonte uno svolgimento più intenso che altrove ».

 

Detto questo, bisogna riconoscere che il canto epico-lirico ha avuto largo sviluppo anche in Toscana. Da « Donna lombarda », che può reperirsi in numerose versioni che risolvono il racconto in modo diverso ed addirittura opposto, a « In do' stetti iersera » che riprende il tema dell'amore tradito dilungandosi però sul dettaglio sociale, dal diffuso « La pastora » all'autoctono « Il pecoraro », ecc. si può compilare un nutrito elenco di testi che non sempre discendono dalla matrice piemontese e, in ultima istanza, francese, ma vivono anche di vita propria caratterizzandosi come cultura antropologica regionale.

 
   

Da questi canti appare evidente lo spaccato sociale in cui si innervano: ed è il mondo, povero e favoloso ad un tempo, dei mezzadri radicati alla propria terra come alberi e intricati de una drammatica rete di sentimenti negativi.

In conclusione, il canto epico-lirico, per la sua ripetitività strofica e per i suoi contenuti spesso "fuori dal tempo" rimane la forma più poetica e radicata, insieme al canto monostrofico che si caratterizza in senso opposto, del folclore popolare, per cui è evidente la sua origine autoctona e accentrata.

 

 
 

Donna Mondana

 

« Donna mondana, perché non mi ami? »
« Perché ho mari!
Perché ho mari! »

« Se tu hai marito fallo morire
t'insegnerò!
t'insegnerò!

Vai giù nell'orto del signor padre
che vi è un serpen,
che vi è un serpen.

Prendi la testa di quel serpente schiacciala ben,
schiacciala ben.

Quando tu l'ha schiacciata ben bene
prendila e mettila in un bicchier,
quando torna daglielo a ber ».

Torna il marito stanco e sudato
e chiede da ber,
e chiede da ber.


« Di quale vuoi, del bianco o del nero? »

« Dammi del nero che sarà me',

dammi del nero che sarà me'

 

Cosa ha fatto questo vino

che intorbidiè

che intorbidiè"

 

Saranno i tuoni di l'altra sera

che intorbidiè

che intorbidiè"

 

Risponde un bimbo di nove mesi:

"Oh babbo non ber

che c'è il velen,

che c'è il velen"

 

E poi quando l'ebbe bevuto

un gran male si sente morì

"E prendetelo l'ago e l'anello

per cucirli lo cappuccin,

per cucirli lo cappuccin;

 

punti lunghi e ben tirati

che ci vada lo poco fil,

che ci vada lo poco fil".

 

La Pastora

 

« Buon dì e buon giorno mia bella pastora ».
« Buon dì e buon giorno si rende e si dà,
mio bel cavaliere si tiri più in là ».


« Ci avete punti figlioli grandi? »
« E ce ne ho uno nel regno di là
che sta' guerreggiando me l'hanno ammazza».


« Ci avete punte figliole grandi? »
« E ce n'ho una su quel monticel
che sta pascolando le sue pecorel ».


« Che giudizio di padre e di madre
avere una figlia lontano così,
la gente che passa la posson tradir ».


« La mia figliola l'è savia e onesta,
le gente che passa le lascia passar, mio bel cavalier si tiri più in là ».

« Buon dì e buon giorno mia bella pastora ».
« Buon dì e buon giorno si rende e si dà
mio bel cavaliere si tiri più in là ».


« Avete punti fratelli grandi? »
« E ce n'ho uno nel regno di là
che sta' guerreggiando, me l'hanno ammazza».


« Nel mio baule ce l'ho un vestitin

andrebbe bene al suo bel dossin;
mia bella pastora, lo vuole gradi'? »

 

« E' tredici anni che fo la pastora

vestiti a garbo non ho mai porta;

mio bel cavaliere, si tiri più in là ».


« Nel mio baule ce l'ho le scarpine andrebbero bene pel suo bel piedin:

mia bella pastora, le vuole gradi? »

 

« E' tredici anni che fo la pastora

scarpine a garbo non ho mai porta.

Mio bel cavaliere, si tiri più in là ».


« Nel mio baule ce l'ho un cappellin

andrebbe bene al suo bel capin;

mia bella pastora, lo vuole gradi? »

 

« E' tredici anni che fo la pastora
cappelli in capo non ho mai porta;
mio bel cavaliere si tiri più in là ».


« Nel mio baule ce l'ho un anellino

andrebbe bene al suo bel ditin;
mia bella pastora, lo vuole gradi? »

 

« E' tredici anni che fo la pastora

anelli in dito non ho mai porta;

mio bel cavaliere, si tiri più in là ».


« Ma te lo voglio dare, ma dare sì sì,

perché riconosca so' il tuo fratellini »
 

In do' stetti iersera

 

« In do' stetti iersera,
caro figliolo,
ricco tesoro,
savio e gentil?
In do' stetti iersera? »


« A veglia dalla dama.
Caro mio padre,
il mio cuore sta mal,
ma male mi sta.
A veglia dalla dama ».


« Che ti dett'ella a cena,

caro figliolo,
ricco tesoro,
savio e gentil?
Che ti dett'ella a cena? »


« Un'anguillina arrosto.

Caro mio padre,
il mio cuore sta mal,
ma male mi sta.
Un'anguillina arrosto ».


« In do' te la coss'ella,
caro figliolo,
ricco tesoro,
savio e gentil?
In do' te la coss'ella? »

 

« Nel tegamin dell'olio. Caro mio padre,

il mio cuore sta mal,

ma male mi sta.
Nel tegamin dell'olio ».

 

« In do' te la chiappò,

caro figliolo,

ricco tesoro, s

avio e gentil?
In do' te la chiappò? »


« Sul muricciol dell'orto. Caro mio padre,

il mio cuore sta mal,

ma male mi sta.
Sul muricciol dell'orto ».


« Che parte la t'ha dato,

caro figliolo,

ricco tesoro, s

avio e gentil?
Che parte la t'ha dato? »


« La parte della testa.

Caro mio padre,

il mio cuore sta mal,

ma male mi sta.
La parte della testa ».


« La t'ha dato veleno,

caro figliolo,

ricco tesoro,

savio e gentil.
La t'ha dato veleno ».
 

 

 

« Che lasci tu a tua madre, caro figliolo,

ricco tesoro, s

avio e gentil?
Che lasci tu a tua madre? »


« La rocca per filare.

Caro mio padre,

il mio cuore sta mal,

ma male mi sta.
La rocca per filare ».


« Che lasci tu a tuo padre, caro figliolo,

ricco tesoro,

savio e gentil?
Che lasci tu a tuo padre?


« Il baston per la vecchiaia. Caro mio padre,

il mio cuore sta mal,

ma male mi sta.
Il baston per la vecchiaia»

 

« Che lasci tu al fratello, caro figliolo,

ricco tesoro,

savio e gentil?
Che lasci tu al fratello? »


« La zappa per zappare. Caro mio padre,

il mio cuore sta mal,

ma male mi sta.
La zappa per zappare ».


« Che lasci alla sorella, caro figliolo,

ricco tesoro,

savio e gentil?
Che lasci alla sorella? »


« La dote pe' sposarsi. Caro mio padre,

il mio cuore sta mal,

ma male mi sta.
La dote pe' sposarsi ».


« Che lasci tu alla dama, caro figliolo,

ricco tesoro,

savio e gentil?
Che lasci tu alla dama? »


« La corda pe' strozzarsi. Caro mio padre,

il mio cuore sta mal,

ma male mi sta.
La corda pe' strozzarsi ».

 

 
 

 

Il Pecoraro

« Quando ci vai in Maremma

bel pecoraro?

D'amor sei caro,

ohimè!
quando ci vai in Maremma
vo' venir con te! ».

 

« Ventitré di settembre,

bell'Angelina,

rosa meschina,

ohimè!
ventritrè settembre,

io vo' venir con te ».

 

« Che vuoi venire a fare,
bell'Angelina,
rosa meschina,
ohimè!
che vuoi venire a fare?

e vuoi venir con me! »

 

far l'erba al tuo cavallo,

bel pecoraro,

d'amor sei caro,

ohimè!
far l'erba al tuo cavallo,

io vo' venir con te! »

 

« Con che la segherai,

bell'Angelina,

rosa meschina,

ohimè!
con che la segherai?

e vuoi venir con me ».
 

 

« Con la falce del grano,

bel pecoraro,

d'amor sei caro,

ohimè!
con la falce del grano,

io vo' venir con te ».


« Dove là dormirai,

bell'Angelina,

rosa meschina,

ohimè!
dove là dormirai?
e vuoi venir con me ».


« Accanto al tuo costato,

bel pecoraro,

d'amor sei caro,

ohimè!
accanto al tuo costato,

io vo' venir con te ».


« Ti verranno i figlioli, bell'Angelina,

rosa meschina,

ohimè!
ti verranno i figlioli

e vuoi venir con me ».


« Saranno i miei e i tuoi,

bel pecoraro,

d'amor sei caro,

ohimè!
saranno i miei e i tuoi,

io vo' venir con te ».
 

 

« Du le farai le pezze,
bell'Angelina,
rosa meschina,
ohimè!
du le farai le pezze?

e vuoi venir con me ».

 

« Le tue bianche camicie,

bel pecoraro,

d'amor sei caro,

ohimè!
le tue bianche camicie,

io vo' venir con te ».


« Du le farai le fasce,

bell'Angelina,

rosa meschina,

ohimè!
du le farai le fasce?

e vuoi venir con me ».


« La tua cintura d'oro,

bel pecoraro,

d'amor sei caro,

ohimè!
la tua cintura d'oro,

io vo' venir con te ».


« Du li battezzerai,

bell'Angelina,

rosa meschina,

ohimè!
du li battezzerai?
e vuoi venir con me ».
 

 

« In nel fiume Giordano,

bel pecoraro,

d'amor sei caro,

ohimè!
in nel fiume Giordano,

io vo' venir con te ».


« Duve l'allatterai,

bell'Angelina,

rosa meschina,

ohimè!
duve l'allatterai?
e vuoi venir con me ».

 

« L'attacco al mio costato,

bel pecoraro,

d'amor sei caro,

ohimè!
l'attacco al mio costato,

io vo' venir con te ».

 

« Duve li cullerai,

bell'Angelina,

rosa meschina,

ohimè!
duve li cullerai?
e vuoi venir con me »


« Sul basto del cavallo,

bel pecoraro,

d'amor sei caro,

ohimè!
sul basto del cavallo,

io vo' venir con te ».
 

 
 

La Violina

 

Oh Violina chi te l'ha tinto il viso?

oh babbo mio sono state le more.


Oh Violina insegnami le more,
oh babbo mio sono in vetta a que' pruni.


Oh Violina insegnami que' pruni,

oh babbo mio la capra li ha mangiati.


Oh Violina insegnami la capra,

oh babbo mio il lupo l'ha mangiata.


Oh Violina insegnami quel lupo,
oh babbo mio gli è in vetta a que' monti.


Oh Violina insegnami que' monti,

oh babbo mio la neve li ha coperti.


Oh Violina insegnami la neve,

oh babbo mio il sole l'ha distrutta.


Oh Violina insegnami quel sole,
oh babbo mio gli ha travarcato il mare.


Oh Violina insegnami lo mare,

vecchio coglione t'ha' andare a vedere.
 

 

 

 

 

    Non è propriamente un canto narrativo, il Goni lo colloca fra le filastrocche, il Fornari fra i canti a dialogo, ecc.

Ma la sua sostanziale storicità (il trapasso fra due generazioni) lo rende omogeneo ai testi che lo precedono.
    Questa versione, originaria della zona di Pontassieve, meglio di altre rappresenta nell'apostrofe della ragazza al padre (« vecchio coglione ») un sentimento di amoroso rimprovero per il suo assurdo radicamento al podere.