Canti
Monostrofici

 

 

 

 

 

 

 

 

   Stornelli

     
 

Lo stornello, fra le forme di poesia popolare, è quella che meglio esprime sentimenti semplici ed elementari. La sua monostrofe distica che inizia con la denominazione di un fiore, solitamente, permette l'espressione spontanea del versatile umore popolare. 

Lo stornello si è diffuso nel diciottesimo secolo quando il popolo cominciava a scuotersi il giogo politico-culturale delle dominazioni straniere e a dare forma diretta ai propri sentimenti privati e sociali. Infatti, anche se è l'amore a predominarvi, con tutte le sue sfumature che vanno dalla delusione all'entusiasmo, dai primi approcci all'abbandono, quelli sotto riportati cantano della coscrizione e del carcere, della fuga dalle campagne e della migrazione stagionale, atti a chiarire la situazione storica del contadino.

 

Il lavoro stagionale a tagliare « la macchia » nelle « france Maremme » non è qui documentato come nei rispetti; al contrario lo stornello contiene sentimenti di sdegno e protesta, in modo chiaro o allusivo, per l'emigrazione nei suoi aspetti più generali e per la rottura dell'equilibrio sentimentale, morale e sociale che questa determinava e tuttora determina.

« Oh porto di Livorno traditore » potrebbe essere un sottotitolo, una didascalia certamente esemplare di questo tipo di composizioni.

È altrettanto evidente che lo stornello, a differenza del rispetto, porta avanti un'istanza più « moderna » proprio perché tratta di un fenomeno di sottosviluppo di massa proprio della seconda metà del diciannovesimo secolo.

 

Anche il fenomeno dell'industrializzazione, dell'inurbamento, fu trattato essenzialmente dallo stornello. Per chiarire: il paleocapitalismo, con le sue « sirene » urbane attirava le « contadine » le quali non volevano più maritarsi nel proprio paese, fra la propria gente che - a volte - si riduceva al parentado col conseguente impoverimento fisiologico della stirpe; le campagnole volevano « un damo cittadino », si rifiutano concretamente al podere, alla vita rustica ed agli usi all'aria aperta che questa comporta.

Rompevano - diciamo - la molecola sociale costringendo il « contadino » a cercare moglie in montagna, determinando così un movimento centrifugo dalla montagna alla città: un esempio locale del più ampio fenomeno di proletarizzazione tipico del contado meridionale che emigra al nord.

Vi sono appunto stornelli in cui la ragazza chiede e preferisce un damo forestiero, napolitano, ecc. a testimonianza del crollo della quiete arcaica.

 

Anche il clero, i potenti ed in genere i sopraffattori sono presi a bersaglio con queste spigliate composizioni che non assurgono alla dimensione politica, ma documentano di una resistenza amara e sarcastica contro chi godeva « la bella vita » a danno e per mezzo dei « contadini » stessi.

Dunque, per quanto anche questa forma monostrofica muoia nella prima metà del secolo ventesimo sotto l'azione del capitalismo e del fascismo censorio, lo stornello è veramente l'ultimo canto - per antonomasia - della civiltà rurale.

 

 
     
 

Senza Amore

Se prendi un muratore, tu l'hai fatta!

Il giorno delle nozze ti cazzotta,

e il giorno dopo tu diventi pazza.

 

Giovanottino dalla cacciatora

e dentro ci tenete la miseria,

la vostra signoria non m'innamora.

 

E lo mio amore si chiamava Beppe:

gli è stato il primo giocator di carte,

e gioca per bisogno e perde sempre.

 

Fiorin fioracci!
La voi fare all'amor, la va co' porci:

se la guardate ben, l'è tutta stracci.

 

O bella, vienci
sotto la mia finestra a co' gli aranci:

tu sei una fagottaccia tutta cenci.

 

E lo mio damo lo fa l'imbianchino,

tutte le stanze le vuole imbiancare,

ma da lontano sembra un barroccino,

non ha nemmen del pane da mangiare.

 

Giovanottino che a veglia tu vai,

tu hai bevuto alla pila de' buoi:

dalle ragazze canzonar ti fai.

 

Brutto spetezzo!
All'andatura tu mi sembri un razzo,

ed hai il vestito che puzza di lezzo.

 

Te lo sei fatto il vestitino a strisce,

te lo sei guadagnato tra le fosse,

a forza di bacini e gote rosse.

 

Fiorino giallo!
E con le buone rendimi l'anello,

con le cattive ti convien pagallo.

 

Tu vai dicendo che tu non mi vuoi,

né ville né poderi tu non hai,

e figlia d'un marchese tu non sei.

 

Fior di melina!
A far la contadina non sei buona,

perché ti levi tardi la mattina.
 

 

Il Lavoro Stagionale

Oh porto di Livorno traditore!
M'hai portato il mi' amore in alto mare,
me l'hai portato al porto di Tolone.

 

Il porto di Livorno bandiera nera,

ragazze preparate la pezzola,

chi vi voleva bene ora s'invola.

 

Oh luna che fai lume a' « quattro mori »,

fa' lume al bastimento e ai marinari,

fa' lume all'amor mio che va in Algeri.

 

Maledetta la ferrovia

e l'ingegnere che la disegnò,

lo mio amore è andato via

e chi sa quando lo rivedrò.

 

Se io diventar potessi una rondinella

e visitare la terra italiana,

un bacio gli vorrei dare alla mia bella,

stringere gli vorrei la destra mana.

 

Se tu mi amavi come mi dicevi,

all'isola dell'Elba non andavi:

parola data me la mantenevi.

 

Amami bella questa settimana

che di quell'altra me ne vado via,

vo' travarca' la barca americana

e me ne voglio anda' nella Turchia.

 

Fior di lupini,
ragazze son tornati i maremmani

bisogna licenziare i contadini.

 

Se tu sapessi dove sono stata,

alle saline dove fanno il sale,

se tu sapessi quanto io son salata

ed uno sciocco non ho idea d'amare.

 

E l'acqua dello mare l'è turchina,

la casa del mio amore l'è lontana,

ma un dì verrà che io l'avrò vicina.

 

 

 



 

 
     
 

Lo scontento

Sia maledetto chi disse miseria!

Soltanto a raccontarla fa ribrezzo;

mi pare che la sia 'na cosa seria:

son pigionale con due donne a mezzo.

 

Se tu sapessi quanto l'è amara

la vita di quel povero lanino!

Tutta la settimana a cerca' lana

e nella tasca nemmeno un quattrino.

 

Le genti che mi sentono cantare

dirranno: quello gli è un cuor contento,

ma quelli non lo sanno il mio fare

che quando io canto piango e mi lamento.

 

Voglio cantare e mi vo' da' al bel tempo

e più malinconia non mi vo dare,

i miei pensieri li vo' dare al vento

e le fatiche a chi le vuol durare.
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Segate, battete la falce:

avete una bella raccolta,

il padrone ve l'accorda.

 

Cosa m'importa a me dei tuoi bacini

se a casa non mi porti da mangiare,

guarda come piangono i bambini,

gridano - babbo e mamma, si vuole i' pane -

 

E s'è rannuvolato e par che piova
giovanottino comprati l'ombrello,
e dalle scarpe tu perdi le suola
e al « quarantotto » comprati l'ombrello.
 

 

La Coscrizione

E questa strada la faccio piangendo

e sospirando per tutta la via:

di farlo il militare non l'intendo

e di lasciarla la bellona mia.

 

Rosina, senti il suon degl'istrumenti.

C'invitano a marciare tutti quanti!

Non serviran né pianti né lamenti.

 

Vittorio Manuelle cosa fai?
La meglio gioventù tutta la vói.
E l'amor mio quando me lo ridai?

 

E' giunto un bastimento di Turchia,

i giovanotti li vuole il Granduca:

piangete, ragazzine, si va via.

 

Dopo tre anni di un sincero amore

al fianco lo tenevo come bandiera;

non posso sopportare il gran dolore:

vado a morir sul Piave come infermiera.

 

E prima questa strada l'era un fiore

ed ora l'è un castello rovinato,

prima ci passava lo mio amore,

ora non passa più gli è richiamato.

 

E lo mio amore lo comando io:

a fallo il militare un deve andare:

se parte lui, allora parto anch'io,

insieme valcheremo l'alto mare.
 

 

 

 

 
     
 

Io Me Ne Voglio Andar

Io me ne voglio andar verso Fiorenza:
una volta ci avevo la speranza,
ora non ce l'ho più, ci vuol pazienza.

 

Fiorin di giglio,
il damo contadino non lo voglio,
lo voglio cittadino, gli è più bello.

 

Se via da questa vigna posso andare,

io voglio uno sposin di mio piacere,

quant'è grande Firenze vo' girare.

 

Io me ne voglio andar verso Firenze,
tu ci hai una bocca ci si fa tre stanze,
ci si rizza il telaio e ci si tesse.

 

E le ragazze di questo contorno
voglion fare all'amore e i' damo un l'hanno,
li tocca andare a letto senza sonno.
 

E i giovanotti di questa borgata,
li voglio mandare alla fiera all'Impruneta
e li vo' vendere pe' un cesto d'insalata.

 

Chi dice che Firenze non è bello

lo dice chi non ci ha la sempatia,

io l'ho trovato un gran morino bello

che li ho donato il cuore e la vita mia.

 

E in questo posto non ci voglio stare,

non ci son nata e non ci vo' morire,

neppure mi ci voglio maritare.

 

Canta canta morin, tu canti invano;

un bel biondo l'ho trovato giù nel piano;

mi sposa presto e mi porta a Milano.

 

Io me ne voglio andar verso Pistoia;

questo mestiere m'è venuto a noia,

e specialmente a far la pecoraia.


 

Oh Prete Oh Prete

In piazza di Rifredi c'è una vite
che matura l'uva d'inverno e d'estate,
le meglio ragazzine le son del prete.

 

Oh prete, oh prete non baciar le donne,

non t'hanno messo nemmeno a guardarle, t'hanno messo a guardare le madonne.

 

Fior di patate,
la meglio vita l'è quella del prete,

mangiare bere e far delle girate.

 

Ma quando muoio io non voglio cristi,

non voglio avemarie né paternostri,

voglio la società dei socialisti.

 

Ma quando muoio io non voglio bara,
voglio Firenze illuminata a cera
e dietro quattro biondine con la fanfara.

 

Fior di mortella,
e quando muoio io ci voglio la banda

e quattro socialisti alla barella.

 

 

 
     
 

Il Vestito Rosso

Quanto mi piace di rosso vestire,
di rosso vo' vestir la fidanzata,
di rosso vo' la camera parata
e di rosso voglio i' letto per dormire.

 

Quanto mi piace di rosso vestire,

di rosso vo' la camera parata,

di rosso vo' guanciali per dormire

e di rosso vo' vesti' la fidanzata.