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Il Repetti, nel suo Dizionario Geografico, Fisico e Storico della Toscana, ce lo racconta così:

 

RIPA D’ORCIA in Val d’Orcia. Castellare con Villaggio e chiesa plebana (S.Maria della Neve) nella Comunità e circa miglia toscane 1 e 1/2 a maestrale di Castiglion d’Orcia, Giurisdizione di Montalcino, già Chiusi, compartimento di Siena. Risiede sopra un poggio sulla ripa destra del fiume Orcia, dirimpetto a Rocca d’Orcia che trovasi sull’opposta rupe di là dal fiume. La Signoria di Siena fino dal 1271 deliberò che in Ripa d’Orcia risedesse un giusdicente minore sotto gli ordini del potestà di Siena; lo chè indica che cotesto paese a quel tempo erasi liberato perentoriamente dai suoi antichi dinasti. La parrocchia di S. Maria della Neve e Ripa d’Orcia nel 1833 aveva 165 abitanti.

 

 

 
 

 

Pochi sono oggi i luoghi testimoni della vita medievale e ancor più rari sono i castelli, dove l’appassionato può tentare di comprendere le glorie passate, gli eroici ardimenti e le fiere lotte fratricide che hanno segnato l’epoca più suggestiva e misteriosa della nostra storia.
Tra i castelli toscani, simbolo di spirito di indipendenza e di ardimento individuale, è da annoverarsi senza dubbio il Castello di Ripa d’Orcia, il Castello Piccolomini-Clementini, che sorge remoto, solitario, maestoso in faccia a Rocca a Tentennano.

 

Sebbene l’indicazione più antica dell’esistenza di un abitato in località Ripa d’Orcia, talora con la variante Ripa al Cotone, risalga, secondo il Dizionario geografico fisico storico della Toscana del Repetti, al 1271 anno nel quale si trova inviato sul posto “un giusdicente minore sotto gli ordini del potestà di Siena”, F. Salimei riporta che i Salimbeni “dovettero possedere fin dal secolo XII in Val d’Orcia fra l’altro i castelli di Chiarentana e della Ripa d’Orcia” e che questi furono “interamente opera loro (dei Salimbeni)”. Ulteriori notizie anticiperebbero al 18 Luglio 1213 la prima comparsa della Ripa nei documenti, mentre certo è che la Ripa, tra il 1250 e il 1258, fu venduta dalla consorteria dei Tinniosi alla Repubblica di Siena data la sua importanza militare e strategica durante le numerose ed aspre lotte fra le potenti famiglie e il governo cittadino.

 

Nel 1274 il Castello di Ripa d’Orcia, insieme a molti altri possedimenti, è di proprietà della famiglia Salimbeni la quale si pone in Val d’Orcia a capo di un vero e proprio Stato. La Ripa al Cotone di Valdorcia, pur essendo valutata meno di altri possedimenti della Consorteria, assume fin da subito un enorme significato strategico-militare tanto da essere attestato nella Tavola delle Possessioni del 1316 quale “Roccham et fortilitiam de Ripa Cotone” di proprietà di Niccolò e Stricca di Giovanni di Salimbene.

La Consorteria si consolida in Val d’Orcia dopo aver ottenuto il riconoscimento dell’imperatore Carlo IV sulla Signoria di fatto già ampiamente esercitata : in particolare il 21 aprile 1355 Giovanni d’Agnolino ottenne “il riconoscimento e la conferma sui feudi della Ripa con i relativi territori e distretti e con tutti i diritti di giurisdizione trasmissibili agli eredi legittimi”.
Mentre nel 1410 i capitoli della pace fra la Repubblica e i Salimbeni stabilirono che ad Antonia de’ Salimbene spettasse, fra gli altri, la Ripa al Cotone “con tutte le case e le possessioni”, il 17 Novembre 1417 fu proprio Niccolò di Cione di Sandro (detto Cocco) a vendere ai senesi, grazie all’intervento dell’ospedale di S. Maria della Scala, per 5000 fiorini d’oro la fortezza e il territorio della Ripa del Cotone e Bagno Vignoni “con torre, casamenti, case e gualtiera”.
Successivamente il Capitolo dello Spedale deliberò la vendita (1437) a tal Compagno di Bartolomeo della Agazzara, i cui discendenti nel 1484 alienarono la Tenuta avente “per confino da un lato l’Asso, dall’altro l’Orcia, dall’altro la corte di Sancto Quirico e dall’altro la corte di Vignone” a madama Francesca, vedova di messer Pietro di Bartolomeo Piccolomini. Dal 1484, quindi, il Castello con il borgo fortificato ed i terreni circostanti entrarono in possesso della famiglia Piccolomini del ramo dei Carli a cui in seguito si aggiunsero i rami dei Clementini e dei Febi.

 

Al termine del XIX secolo il Conte Pietro Piccolomini Clementini, appassionato cultore dell’arte e delle sue manifestazioni più elette, intraprese, avvalendosi della valente opera dell’Ingegner Savino Cresti, i lavori di restauro (continuati con non minore intelletto dalla vedova sua consorte Contessa Marianna), grazie ai quali il Castello di Ripa d’Orcia si presenta oggi nella sua primitiva e caratteristica originalità, mantenendo con vero gusto d’arte le forme antiche.

 

Collocato in altura, il Castello di Ripa d’Orcia, ha una cinta di torri, di mura merlate e di bastioni che rendevano difficile l’accesso al borgo e al torrione più alto e più solido. La cinta muraria esterna occupa l’estremo limite di un poggio proteso sulla valle dell’Orcia. Essa racchiude un gruppo di case (borgo) articolato lungo due strade parallele poste a due livelli secondo l’andamento del rilievo collinare.
Oltre alle case, la Chiesa dedicata a S. Maria delle Nevi, una fila di giardini e di orti ed, infine, il Castello vero e proprio composto da tre elementi distinti.

La strada interna ci conduce attraverso un percorso a ritroso alla scoperta degli antichi modi di vivere, dei mestieri e di una organizzazione economica autarchica (si rimanda alla visione della pianta leopoldina). In effetti ogni edificio era dedicato ad una attività necessaria al mantenimento e alla sussistenza della popolazione interna e del contado esterno : gli alloggi dei lavoranti, degli amministratori e del pievano, il panificio, la falegnameria, l’officina del fabbro, i mulini per il grano e per le olive, i granari, le cantine e la caciaia, gli orti e i cortili, … tutto qui è testimonianza di una società e di un’economia autosufficiente ed organizzata secondo regole e statuti interni.

 

La piccola e unica chiesa del borgo (sul cui campanile a vela l’unica campana reca scritto: “Riccardus Florentinus Me Fecit A.D. MCCCXXXIII”) nel corso dei secoli si arricchì di dipinti del pittore senese Antonio Bonfigli (1680 – 1750) e di dipinti del secolo XVIII raffiguranti i santi Sebastiano, Rocco, Antonio Abate e Luigi Gonzaga, il tempo e le depredazioni subite durante l’ultima guerra mondiale la spogliarono di queste tracce dell’ingegno artistico dei nostri predecessori.
 

La struttura centrale (l’alta torre quadrilatera) in tutta la sua imponenza, domina il panorama, a precipizio, sul fiume Orcia.

 

http://www.castelloripadorcia.com/storia_tempiantichi.htm