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Colazioni e merende...il pane |
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E' bene precisare, per non
creare equivoci, che il termine "merenda" era usato, dalla popolazione
della Valdichiana abitante alla destra e alla sinistra del Canale
Maestro, per indicare lo spuntino che si usava fare verso le 17. Il
pranzo era chiamato "disina" (da desinare). Per le popolazioni delle
colline del cortonese e del "piano" (che è la fascia di campagna in
piano ai piedi delle colline) la merenda era il pasto del mezzogiorno.
La colazione era per tutti il pasto del mattino; e la cena il pasto
della sera. La colazione e le merende erano in fondo i pasti più gustosi
e vari della giornata. Nei giorni in cui si cuoceva il pane (una volta
ogni 10-15 giorni) abbondanti e gradite erano le "ciacce" dei vari tipi.
Negli altri giorni la fantasia poteva sbizzarrirsi. |
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- Bruschetta: fette di pane
abbrustolito, strofinate con aglio, e condite con olio appena uscito dal
frantoio, verde amarognolo, e sale. |
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Si puliscono le interiora della cacciagione minuta (beccaccini, tordi, merli ecc.), si risciacquano nel vino rosso e si triturano sul tagliere con qualche cappero. Intanto si fa rosolare nell'olio un po' di cipolla tagliata fine. Quando la cipolla inizia a imbiondire si aggiungono le interiora e si porta a cottura. Verso la fine si aggiunge succo di limone, un po' di pepe e sale e mezzo bicchiere di vin santo. Si serve mettendo questo impasto su fettine di pane un poco abbrustolite. C'è chi usa bagnare da una parte queste fettine con del brodo. |
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Si mette ad appassire
un battuto finissimo di cipolla con burro e olio. Si aggiunge un trito
di fegatini di pollo e di coniglio, un petto di pollo e si fa cuocere
per qualche minuto. Si aggiunge del vin santo o vino bianco e poi un
tuorlo d'uovo stemperato in un po' di brodo. |
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-I buongustai ci dicono che i crostini preparati con le interiora di questo volatile hanno un sapore particolare molto gradito. A volte, generalizzando, si può fare un po' di confusione sostenendo che si possono mangiare gli intestini dei volatili, è perciò giusto puntualizzare che si tratta solo degli intestini di questo uccello. La beccaccia è prevalentemente carnivora e questa è la caratteristica che produce il suo particolare sapore. Quindi, solo con le interiora di beccaccia.-
Si starnano le beccacce sul tagliere e si raccolgono le loro interiora senza pulirle, fegatini e ventrigli compresi. Si aggiunge cipolla, un paio di acciughe salate, un po' di cognac o vino bianco, sale e pepe. Si trita tutto finemente e si mette a cuocere con burro o olio in un tegamino di coccio, e quando il tutto si colora di scuro, l'impasto è pronto per preparare i crostini. A differenza degli altri tipi di crostini, quelli di beccaccia devono essere preparati tagliandoli molto fini e cuocendoli in olio o burro salati. Quando è possibile, sopra i crostini è ottima la "grattatina" di tartufo bianco o nero. Sono veramente ottimi, se si riesce a vincere la preoccupazione per il mancato lavaggio... |
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Coi prodotti dell'orto
I fagioli per i contadini della Valdichiana, e di tutta la provincia di Siena, erano il cibo di ogni giorno e venivano mangiati da tutti: vecchi, ammalati, puerpere e bambini. Anzi per i bambini piccoli i fagioli, insieme alla "pappa", costituivano, dopo il latte materno, il principale cibo di svezzamento. I fagioli bollivano nel "pignatto", che è una pentola di coccio di colore marrone, molto usata in tutta la Toscana; la massaia sbrigava le faccende domestiche mentre doveva badare a qualche piccolino della famiglia che stava seduto nel seggiolone o muoveva i primi passi col "carruccio" o girello di legno e per farlo star buono via via metteva qualche fagiolo sulla tavoletta e così il bimbo giocava, mangiava e si svezzava. |
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La sera precedente si mettono a bagno i cannellini in acqua fresca in maniera che rinvengano (tre pugni a testa per ogni commensale) e la mattina dopo si mettono a cuocere in acqua salata che sia almeno quattro volte la quantità dei fagioli. Si può aggiungere un odore di salvia e, quando ci sono, anche un po' di cotenne di maiale. La pentola dovrebbe essere di coccio e, quando non si voglia fare all'antica, usare un fiasco svestito. La cottura deve avvenire a fuoco non violento, continuo, possibilmente uniforme. La migliore cottura si aveva quando si potevano cuocere i fagioli nel forno del pane, dopo aver tolto le pagnotte già cotte, utilizzando il residuo calore, intenso ma graduale e uniforme: così i fagioli si cuocevano splendidamente guadagnando in sapore e in bellezza. Il segreto è che cuociano lentamente per 4 lunghe ore. Una volta cotti si mangiano conditi con olio d'oliva di quello verde delle colline, pepe e magari accompagnati da cipolla cruda a fettine. |
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Ingredienti: 350 gr. di fagioli toscanelli - olio d'oliva extra vergine - un rametto di salvia - uno o due spicchi d'aglio - pepe nero appena macinato. La sera si mettono a bagno i fagioli in acqua leggermente tiepida. Il giorno dopo si scolano e s'introducono in un fiasco "svestito" (senza paglia) con la salvia, l'aglio e il sale. Vi si versa tanta acqua che superi di tre o quattro dita i fagioli, poi l'aglio sufficiente che copra la superficie; si chiude l'imboccatura del fiasco con poca ovatta per fare in modo che il vapore possa uscire. Sul fondo di una casseruola piuttosto alta si mette un panno arrotolato a forma di nido, si appoggia il fiasco in modo che resti diritto; si riempie la casseruola d'acqua fino ad arrivare, almeno, al livello dei fagioli. Portare lentamente a bollore e lasciare cuocere finché l'acqua del fiasco sarà quasi tutta evaporata. L'acqua della casseruola dovrà mantenere sempre lo stesso livello; man mano che si consuma, se ne aggiunge dell'altra, sempre bollente. I fagioli così cotti son buoni sia caldi che freddi, con olio, sale e pepe, a piacere, e con cippollotti freschi affettati. |
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Una delle cose che faceva felici tutti quanti era quando la massaia, avendo una bella scorta di pane vecchio, decideva di fare la zuppa di fagioli. Il pane era quello più adatto: fatto in casa con lievito naturale tagliato a fettine sottili, fino ad averne in abbondanza per riempire una grossa zuppiera o due. Non è dato a sapere la quantità di ingredienti, ma come al solito la cucina povera, essendo creativa al massimo, si avvaleva della disponibilità delle verdure secondo la stagione, del numero delle persone, e anche dell'umore della massaia. Per certo, per circa sei persone, la zuppa di fagioli viene bene così. Si mettono in una pentola con un bicchiere d'olio d'oliva due cipolle tagliate non troppo finemente, una decina di carote gialle, due belle costole di sedano con le foglie, un ciuffo di prezzemolo, tutto tagliato grossolanamente e si fa soffriggere. Il soffritto è fatto quando la cipolla diventa trasparente. A questo punto si aggiungono pomodori tagliati a pezzi (4 etti); quando il bollore si è rialzato allora si metterà cavolo nero abbondante, tagliato a listarelle. - Bisogna fare attenzione che il cavolo sia stato colto dopo le gelate invernali altrimenti sarà duro e converrà allora adoperare altre verdure: altro tipo di cavolo, bieta, spinaci. Ma il consiglio è cavolo nero, di quello che si vede poco nei mercati e molto negli orti toscani -. Si aggiungerà un po' d'acqua, sale grosso, e si farà bollire per più di un'ora. Intanto avremo fatto cuocere i cannellini. Ne prenderemo la metà e li passeremo al setaccio e li aggiungeremo alle verdure, già cotte, della pentola con il resto dei fagioli interi, con l'acqua di cottura e un pizzico di pepe. Con il pane raffermo tagliato a fettine sottilissime si farà uno strato spesso nella zuppiera, ci si metterà sopra un ramaiolo o due del brodo di verdura e fagioli e si procederà così a strati fino a riempire la zuppiera. Si dovrà avere l'avvertenza di lasciare per ultimo abbondante verdura così sarà un piatto anche bello a vedersi.
Si può spargerci sopra una
bella cipolla cruda tagliata a fettine. Il piatto è pronto. |
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Certamente fare la zuppa portava via tanto tempo anche se la massaia sapeva bene che non si doveva pensare al secondo essendo essa un piatto unico; ma qualche volta il tempo mancava e il piatto caldo era necessario, specie la sera d'inverno quando tutti rientravano dal lavoro. Occorreva inventare minestre veloci, anche inventate lì per lì. Se la massaia aveva fatto tardi, magari per accudire al pollame o per raccogliere le uova, se gli uomini affamati stavano per tornare, essa non si sgomentava: c'erano i fagioli avanzati del giorno prima, l'olio, l'aglio e l'acqua che bastavano per preparare una minestra di fagioli... Dieci foglie di salvia in poco olio a soffriggere in una pentola con sei spicchi d'aglio. Appena l'aglio imbiondisce, mettere 1 kg di pomodori tagliati a pezzi. Appena il pomodoro è cotto giù i fagioli metà passati e metà interi con la loro acqua di cottura. Quando il bollore si rialza la minestra è pronta per cuocere i tagliatini fatti con l'uovo e la farina sempre pronti dentro la madia per ogni evenienza, oppure, meglio ancora, avanzi di pasta di varie qualità, rigatoni, spaghetti, chioccioline, ecc. spezzati schiacciandoli in mezzo a un panno. Oppure, e questo è l'uso che si è portato fino ai giorni nostri, quella qualità di pasta "comprata" un po' grossa che si chiama "paternostri" o quella più piccola che si chiama "avemmarie". |
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Minestrone di fagioli con la salvia
La sera prima mettere a bagno 200 gr di fagioli in acqua leggermente tiepida. Scolateli e lessateli per un paio d'ore in abbondante acqua senza sale. Quando i fagioli saranno quasi cotti, soffriggere in una casseruola con cinque cucchiai d'olio un trito preparato con 25 g di funghi secchi e ammollati, uno spicchio d'aglio e un po' di salvia, aggiungete concentrato di pomodoro, un litro circa di acqua dei fagioli e i fagioli passati: salate, pepate, unite la pasta e portate a cottura. Dovrà risultare una minestra piuttosto densa. Servitela con olio crudo e altro pepe. Cuocendo questa minestra con meno acqua e con i fagioli interi si ottiene una specie di sugo buono per condire i maccheroni che si faranno bollire con dei pezzi di patate. Un ottimo piatto questo. |
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Le carni e i sughi
La nostra abitudine di mangiare carne quasi tutti i giorni è abbastanza recente e legata alla cosiddetta civiltà dei consumi ed al "benessere". Non c'è dubbio che rispetto ai tempi alle nostre nonne il sistema è cambiato: stiamo meglio finanziariamente ma, manchiamo di tempo e, principalmente, di fantasia. Si sta estinguendo, ed è un gran male, il sano, generoso amore per la cucina, per il buon desinare: un panino, un hanburger e tiriamo via. Oppure si va al ristorante dove si mangia "favolosamente" solo perché - il più delle volte - non si perde tempo ed energia in cucina. Una volta, nelle case dei contadini, la carne era un lusso riservato alle feste ed alle occasioni speciali. Anche nelle case di un certo livello e perfino in quelle signorili l'uso della carne bovina era poco diffuso. Veniva rispettato fra l'altro, rigorosamente, il precetto della vigilia, il venerdì e le altre ricorrenze comandate dalla Chiesa quali il giorno prima delle grandi feste, la quaresima ecc. In genere si ricorreva agli animali da cortile che fornivano, con la caccia, la materia prima per quasi tutti i piatti. Qualunque fosse l'animale, le carni scelte, i pezzi pregiati, quelli tratti dai lombi posteriori degli animali erano destinati ai più ricchi. Ma i più poveri, cui toccavano le parti meno nobili e le interiora, riuscivano con fantasia e amore a trattare da tali ingredienti "secondari" piatti prelibati. Certo ci voleva pazienza, non misurare il tempo e la cura; ma i risultati alla fine erano veramente eccellenti. |
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500 g di carne di bovina ("lucertolo" in un solo pezzo compreso un po' d'osso); 30 g di carne secca tagliata a dadini; 30 g di olio d'oliva; un quarto di cipolla grossa; una carota; due costole di sedano tagliate a pezzi, sale quanto occorre. Si mette ogni cosa al fuoco e quando la carne è rosolata, si aggiunge un pizzico di farina e un po' di sugo. Si porta a cottura, che dovrà avvenire a fuoco lento, per il tempo occorrente variabile e necessario a seconda della quantità della carne, aggiungendo acqua al momento opportuno. Con il sugo che se ne ricava si condiscono i maccheroni fumanti, aggiungendo un tocchetto di burro e una buona spruzzata di parmigiano. Lo stracotto si serve come secondo con contorno di ortaggi e legumi. |
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Pulite, fiammeggiate e svuotate un'anatra muta piccola, lavatela, asciugatela, legatela alle cosce e ripiegate le ali. Rosolatela in una casseruola in due cucchiai di olio, mettete un mazzetto di odori, fate ritirare e versate un bicchiere di vino bianco secco. Appena sarà evaporato aggiungete 300 g di pomodori freschi, salate, pepate e cuocete lentamente col coperchio per un paio d'ore; se necessario aggiungete qualche cucchiaiata di acqua calda. Togliete l'anatra, spellatela, disossatela e tagliate la carne a filetti. Passate il sugo di cottura dal passaverdure e rimettetelo al fuoco aggiungendo 300 g di funghi freschi o 30 g secchi ammollati. Dopo un quarto d'ora circa unite la carne, bollite un paio di minuti e servite su pappardelle o altra pasta fresca, riso lessato o risotto. |
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Un particolare tipo di umido è lo spezzatino (che in alcune regioni prende il nome di stufato), in passato era molto in uso il "polmoncino", realizzato con frattaglie di bovino (polmone, cuore, animelle). Per fare un buon spezzatino si deve tagliare la carne di cui si dispone a piccoli pezzi. Si fa un trito con uno spicchio d'aglio, poco prezzemolo, una bella cipolla tagliata fine, una grossa costola di sedano e pezzi, due foglie di salvia, sale e pepe. Si fa soffriggere in un tegame di coccio con olio d'oliva abbondante; quando la cipolla diventa trasparente si aggiunge la carne tagliata a tocchetti e si fa rosolare lentamente. Quando la carne è rosolata a puntino si mette un bicchiere di vino rosso e, in proporzione di una a commensale, patate a tocchetti. Appena il vino è evaporato si aggiungono i pomodori maturi freschi (uno a testa) o pomodori pelati e un po' di acqua calda. Si termina la cottura a fuoco costante non vivace. |
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Un lepre di circa g 1500, già pulita, con polmoni, fegato e cuore, basterà per sei persone. Occorre inoltre una bottiglia di buon vino rosso. In una terrina si mette il polmone, il cuore e il fegato, 50 g di pinoli, un cucchiaio di zucchero, la buccia di mezzo limone grattugiata, un cucchiaino di cannella in polvere, e si versa sopra del vino fino a coprire. In un'altra terrina si mette la lepre tagliata a pezzi con un rametto di rosmarino, uno di salvia, una foglia di alloro, qualche bacca di ginepro, la buccia di mezzo limone e il rimanente vino. Si rimescola bene e si copre. Così deve rimanere per 24 ore rimestando di tanto in tanto. Le frattaglie vanno tritate fine e rimesse nel vino. In una casseruola soffriggere in tre cucchiai d'olio di oliva 50 g di lardo e mezza cipolla tritati, unire i pezzi di lepre scolati e infarinati; quando saranno ben rosolati unire le frattaglie con il loro vino. Salare, pepare e cuocere a fuoco lento, aggiungendo via via il vino della "marinata" filtrato fino ad adoperarlo tutto. Per la cottura ci vogliono due ore e mezzo circa. |
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Questo piatto era molto diffuso nella zona collinare del territorio della Valdichiana, dove i poderi erano abbastanza piccoli e le case coloniche raggruppate. Esso merita qualche attenzione per le sue origini particolari. Gli uomini qualche volta decidevano di riunirsi per passare una serata insieme senza le donne e ognuno di loro portava ciò che poteva reperire in casa, chi un po' di pollo, chi del coniglio, chi qualche pezzo di faraona o di piccione, chi del maiale, esclusa la cacciagione, perché si era riscontrato che dava un sapore estraneo che non si amalgamava bene con gli altri. Quando erano riuniti nella casa dell'ospite facevano tutto loro: tagliate le carni in pezzi piccoli le mettevano a rosolare in un grosso tegame dove era pronto un soffritto (a fuoco basso) di un trito di odori e cipolla e un peperoncino in olio d'oliva. A carne rosolata salavano e bagnavano con il vino rosso, facevano evaporare a fuoco vivo e aggiungevano pomodori spezzettati.
Di più non sapevano fare;
mentre parlavano si raccontavano barzellette fra un goccio di quello
buono e un altro e nel frattempo, ogni tanto, aggiungevano una
ramaiolata di acqua calda alla pietanza perché il sughetto non si
asciugasse troppo. La cottura giusta era quando le chiacchiere si
protraevano per tre o quattro ore e la carne si staccava completamente
dall'osso. Si può servire anche su fette di pane abbrustolite e sfregate con aglio. |
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Pulite, svuotate, fiammeggiate, lavate e asciugate il pollo, tagliatelo a pezzi e mettetelo in una teglia con aglio, salvia e rosmarino e fate prosciugare l'acqua, quindi aggiungete olio, sale, pepe e odori (cipolla, prezzemolo, basilico, maggiorana o altre erbe odorose che si hanno a disposizione); fate rosolare bene, aggiungete un po' di vino bianco e appena sfumato unite i peperoni e dopo un po' i pomodori e fate cuocere lentamente per circa un'ora, aggiungete ogni tanto dell'acqua. |
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Quando la faina o la donnola, la volpe o la puzzola riuscivano ad entrare in un pollaio facevano strage: mai meno di quindici o venti animali da cortile venivano sgozzati o mangiati parzialmente. Se il visitatore era una donnola, animale molto agile, capace di arrampicarsi sugli alberi grazie alle unghie robuste, che non mangia mai le sue vittime ma le sgozza soltanto, gli animali giacevano morti, ma intatti. Se invece si trattava di una volpe, una parte delle vittime veniva trascinata via e sotterrata per essere utilizzata in tempi di magra; le altre accuratamente dissanguate giacevano qua e là. Minori erano i danni nei grossi poderi del piano, presso Foiano e Bettolle, ove i polli vivevano liberi nei campi, appollaiati vicino al punto dove la massaia andava a governarli e cioè nei pressi del "capanno". Se arrivava la donnola o la volpe o altro animale da preda ne poteva sgozzare uno o due; ma gli altri, non essendo recintati, scappavano. Quando il pollaio veniva decimato il contadino avvertiva il padrone della strage e si rassegnava a mangiare tutto quel ben d'Iddio e, non avendo frigoriferi a disposizione, invitava quanti più vicini poteva. Si faceva un gran fritto che prendeva appunto il nome di "fritto della volpe". La disgrazia faceva finire in bellezza il "giorno dopo". - Tagliare il pollo in piccoli pezzi, infarinarli e poi passarli nell'uovo sbattuto e salato. Mettere in una padella di ferro abbondante olio e quando l'olio è caldo mettere i pezzi preparati lì per lì, farli dorare ben bene e mangiarli caldi accompagnati da insalata mista dell'orto. Quando gli animali uccisi erano abbastanza adulti e quindi un po' duri, si preferiva metterli in pentola per farne un buon brodo dentro cui si cuocevano tagliatini fatti in casa o pasta piccola come la grandinina. |
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Ingredienti: 500 g di polpa di manzo macinata, una salciccia di maiale, due carote, due gambi di sedano, una cipolla media, due spicchi d'aglio, un po' di prezzemolo, olio di oliva, mezzo bicchiere di vino rosso, 350 g di passata di pomodoro, sale. Mettere in una casseruola, meglio se di coccio, le verdure tritate a mano nel tagliere, l'olio sufficiente a coprire il trito e fare rosolare a fuoco moderato. Aggiungere il macinato di manzo e la salciccia di maiale schiacciata con la forchetta. Portare a cottura. Quando la carne sarà rosolata uniformemente ( la carne è pronta quando sui lati della casseruola si forma della "bavetta"), si alza il fuoco e si bagna con il vino. Sfumato il vino si aggiunge la passata di pomodoro. Salate, mettete il coperchio e cuocete a fuoco bassissimo per circa un'ora. A piacimento si possono aggiungere dei funghi tritati freschi cotti separatamente o secchi ammollati precedentemente nell'acqua. Quando il sugo è pronto, servite su pasta, gnocchi o polenta. I pici sono la sua morte. |
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Il pesce in cucina
In Valdichiana, ricca di acque, il pesce d'acqua dolce dei laghi di Chiusi e di Montepulciano, del Canale maestro, dei laghetti artificiali, è stato sempre facilmente a disposizione. Lucci, tinche, gamberetti, persici, regine, sono sempre stati cibo gradito e abbondante. |
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Brustico è il nome di una ricetta etrusca in uso allora come adesso sulle rive dei laghi e dei fiumi della Valdichiana. Ai tempi degli Etruschi e poi dei Romani, e durante l'impaludamento che, a partire dal 1000, durò qualche secolo, le canne, indispensabili per il brustico, crescevano fitte sulle rive dei corsi d'acqua e dei laghi. Anche quando la valle fu risanata, il brustico è rimasto piatto saporito e vincente, uno dei piatti caratteristici della Valdichiana, perché le canne si ritrovano ancora sulle rive del Lago di Chiusi e di quello di Montepulciano.
I pesci appena pescati, preferibilmente lucci - ma anche qualsiasi altro pesce, escluse le anguille alle quali è riservato ben altro trattamento - devono essere messi da parte con tutte le interiora e le lische in attesa che la brace sia pronta. La brace non deve essere di carbone vivo, né di rami secchi lasciati bruciare al momento. Sono le canne del lago a fornire il combustibile per la brace. Aggiunte a quelle secche, le canne fresche bruciano con fatica, restìe a lasciare in libertà il loro profumo acre, alimentate da scintille più vivide all'impatto con qualche foglia secca. Un profumo non adatto ad una bistecca di carne, ma l'ideale per il pesce fresco. Dunque, prima che queste canne diventino cenere, quando ancora agli scoppiettii seguono volute dense di fumo, il pesce viene adagiato su graticole anche provvisorie, anche inventate lì per lì, e poste sopra il fuoco. Una crosticina si forma velocemente intorno al pesce, mentre , dentro, la polpa si cuoce pregna dei suoi stessi umori, aromatizzata con il profumo amaro che viene su dalla brace. Quando sono a cottura si tolgono i pesci dal fuoco, e dopo aver raschiato le scaglie bruciacchiate e gettate via le lische e le interiora, si pongono i filetti in un piatto grande e si condisce con un filo di olio d'oliva, sale e pepe. Questo prelibato piatto "povero" si può mangiare oggi come secondo o anche come antipasto in alcune trattorie poste sulle rive del Lago di Chiusi. |
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Un chilogrammo circa di persico reale o tinche. Squamate, svuotate, lavate e asciugate i pesci; introducete nel ventre di ciascuno di essi un pochino di prezzemolo e aglio tritati. Scaldate in una padella dell'olio di oliva con un pezzetto di peperoncino, mettete il pesce leggermente infarinato, rosolatelo da entrambe le parti, voltandolo delicatamente. Unite 500 gr. di pomodori freschi spezzettati, un trito di prezzemolo e aglio e cuocete a fuoco vivace finché il sugo si sarà addensato. Servite nel recipiente di cottura, che sarà possibilmente di coccio. Potete preparare questo piatto cuocendo prima i pomodori, poi il pesce non infarinato. |
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Tempo di preparazione e di cottura: un'ora circa. Un chilogrammo circa di pesci assortiti (persico reale, persicaccio, lasche, anguille, un pezzo di regina, luccio), otto cucchiai di olio di oliva, mezza cipolla e una manciata di prezzemolo tritati, due spicchi d'aglio interi, foglie di salvia, 500 gr. di pomodori freschi pelati, un peperoncino rosso piccante, un bicchiere di vino rosso, sale, fette di pane abbrustolito. Pulite e lavate i pesci. Lessate le teste in un paio di ramaioli d'acqua. In una casseruola, possibilmente di coccio, soffriggete nell'olio il trito di cipolla e prezzemolo, la salvia, il peperoncino e l'aglio; quest'ultimo va tolto appena imbiondisce. Salate, pepate, mettete i pesci. A cottura quasi ultimata, mettete il vino, fatelo evaporare, aggiungete i pomodori e il brodo delle teste. Cuocete rimuovendo il tegame senza rimescolare. Disponete le fette abbrustolite di pane in una zuppiera o in tegamini di coccio individuali, distribuendovi sopra il pesce con il suo intingolo. A piacimento, per un sapore più robusto, si può strofinare dell'aglio sopra il pane. |
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Ben diceva Lorenzo de' Medici: "Fave arrostite, radici e finocchi non fa mestier che 'l gusto torni loro o granchi o cosce di ranocchi" (Simposio-cap. VII).
Scegliere dei grossi ranocchi, spellarli, lavarli bene in acqua corrente e dopo asciugarli in un canovaccio. Preparare un battuto con cipolla, scalogno e prezzemolo e metterlo a soffriggere con olio in una teglia. Appena il soffritto sarà pronto, metterci dentro per tre minuti le cosce dei ranocchi, sale, pepe, un pizzico di spezie e il sugo di mezzo limone. Prendere ogni coscio di ranocchio e, tenendolo per l'ossicino, passarlo nella farina, poi nell'uovo sbattuto e dopo nel pan grattato mescolato con un po' di parmigiano; ripetere la stessa operazione due volte in modo che il coscio diventi come una piccola pera. Friggere in olio bollente e servire ben caldi con spicchi di limone. |
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Appartenente ad un tipo particolare di merluzzo, guizzante, abile, veloce, abitatore in grandi quantità dei mari del Nord, ha il destino singolare di venire apprezzato particolarmente dai popoli del mediterraneo. Il merluzzo, privato della testa, viene arrotolato, infilato in bastoni e seccato al vento e al sole, che è presente per quasi sei mesi dell'anno ininterrottamente; diventa così stoccafisso. (Stoccafisso: dal tedesco stok fiche, vuol dire "pesce bastone", nome dato in commercio). L'essiccazione al sole avviene fino alla fine di luglio dopo il merluzzo viene raccolto e completato con la salagione che viene fatta in fabbrica: viene spaccato, aperto, salato, e così preparato diventa baccalà. Fin dal '700 divenne piatto diffuso specialmente fra i poveri, perché costava poco e, in mano alle brave massaie, confezionato in mille ricette, era appetitosissimo. Innanzitutto il baccalà dovrebbe essere trattato sempre come facevano i nostri nonni: cioè bisognerebbe comprarlo gerbido, così come esce dalla fabbrica e dissalarlo in casa, tenendolo a bagno un giorno e una notte, cambiando l'acqua due o tre volte: la carne deve rimanere consistente ed anche un po' salata, tanto che non si dovrebbe, durante la cottura, aggiungere sale. Ecco alcune ricette.
Baccalà lesso con prezzemolo e aglio
Dopo aver lessato circa 800 gr. di baccalà, si condisce con abbondante olio d'oliva, aglio e prezzemolo tritato e una bella spruzzata di di aceto di vino. Variante: a volte per fare un piatto più completo, si può aggiungere qualche patata bollita tagliata a pezzi assai grossi e due o tre pomodori cotti a vapore. (Basta metterli su un colino posto sopra la pentola fino a completa cottura del pesce).
Baccalà con la bietola
Tagliare a pezzi il baccalà dissalato (circa 800 gr.) e infarinarlo, facendolo poi rosolare in padella. Preparare a parte un sughetto, rosolando con olio prima la cipolla affettata finemente, e poi il sedano, prezzemolo ed un buon mazzo di bietola tritata. Si fa caldellare il tutto, si aggiungono i pomodori freschi e un ramaiolo di acqua calda. Quando il tutto ha bollito un po', si aggiunge il baccalà precedentemente rosolato e si continua la cottura per circa un'ora. Va servito ben caldo.
Baccalà con le cipolle
Tagliate il baccalà, circa 800 gr. già ammollato, a pezzi quadrati, infarinateli e friggeteli in abbondante olio. Intanto preparate a parte quattro grosse cipolle tagliate a fettine e fatele soffriggere con olio d'oliva. Quando cominciano a imbiondire, aggiungete 300 gr. di pomodori freschi pelati. A sughetto quasi pronto, aggiungete il baccalà e fate insaporire per altri dieci minuti, aggiungendo acqua calda se il sugo risultasse troppo asciutto. Servite ben caldo. |
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Sugo con le anguille e anguille saporose al sugo
Spellate, togliete le interiora, lavate e tagliate a pezzetti circa 300 gr di anguille. In un tegame fate soffriggere in quattro cucchiai d'olio un trito di due spicchi d'aglio, prezzemolo e qualche foglia di basilico. A questo punto unite le anguille a pezzetti e appena rosolate, aggiungete una generosa spruzzata di di vino bianco secco, le bietole (200 gr) tagliate a listarelle e 100 gr. di pomodori freschi pelati; salate e pepate. Fate cuocere per mezzora finché le bietole saranno pronte e il sugo sarà limpido. Condite con questo sugo spaghetti o bavettine. Aumentando le dosi potrete preparare un ottimo secondo piatto. Mettete al fuoco un tegame con una cucchiaiata d'olio e due fette di prosciutto o pancetta di maiale tagliata a dadini. Appena l'olio sarà caldo aggiungete due anguille non troppo grosse, pulite e tagliate a pezzi, sale, pepe, un pizzico di noce moscata, cipolla e prezzemolo tritato. Quando le anguille saranno appena rosolate bagnate con un bicchiere di vino bianco. Dopo circa dieci minuti il pesce sarà cotto, sbattete in una scodella un uovo intero con due cucchiai di crema di latte e aggiungete il composto alle anguille rimescolando e facendo attenzione che non alzi il bollore. Appena la salsa sarà cremosa servire. |
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Pulite e lavate bene il pesce persico, possibilmente di buona pezzatura. Mettete in una pirofila una cucchiaiata e un pizzico di battuto di cipolla. Accomodatici sopra il pesce e condite con un pizzico di sale e di pepe, bagnate con una cucchiaiata di vino bianco secco e mettete la pirofila in forno, ben caldo, per circa dieci minuti. Appena il pesce sarà cotto, cospargetelo con prezzemolo tritato e bagnatelo con qualche goccia di succo di limone. Servite nella pirofila di cottura. |
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I dolci
Passare allo staccio circa mezzo chilo di farina dolce di castagne e metterla in una zuppiera. Aggiungete due cucchiai di zucchero, un pizzico di sale, mezzo litro abbondante d'acqua fredda rimescolando finché sarà una farinata piuttosto liquida e senza grumi. Aggiungete un paio di cucchiai d'olio e lasciate riposare per circa un'ora. Ungete una teglia e versateci la pastella (non deve essere alta, massimo un dito). Cospargete la superficie con foglioline di rosmarino, l'uvetta ammollata, i pinoli e le noci sgusciate e spezzettate. Versateci sopra due cucchiai d'olio e cuocete in forno caldo per circa 40 minuti. Sarà cotto quando avrà preso un bel colore marrone e si sarà formata una crosta croccante con piccole fratture. |
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E' un tipico dolce della campagna senese. Mettere la farina, 1 kg tipo 00, su una spianatoia di legno. Fare una buca al centro della farina e schiacciarvi quattro uova, aggiungere quattro cucchiai di zucchero, la buccia di un limone grattata, un bicchierino di vermouth e un pizzico di sale. Unire 500 g di burro spezzettato e cominciare a impastare. Intanto, in una casseruola, sciogliere una bustina di lievito in un mezzo bicchiere di latte tiepido e aggiungere il tutto all'impasto. Lavorare bene, fino a quando la pasta si possa tirare con il mattarello. A questo punto formare una sfoglia alta circa tre millimetri. Tagliarne piccole figure romboidali servendosi di una rotella dentata. Mettere al fuoco una padella con molto olio; appena è in ebollizione, buttare i pezzi di pasta e, con estrema sveltezza, rigirarli e tirarli fuori con l'apposita ramina. Vanno adagiati sopra un vassoio coperto con carta gialla doppia (o altra carta da cucina assorbente) allo scopo di togliere al massimo l'unto. Cospargerli di zucchero vanigliato. Sono buoni sia freddi che caldi. |
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Cuocete 500 g di riso in un litro e mezzo di latte, aggiungendo quattro cucchiai di zucchero e la buccia di un limone grattata. Appena il riso è cotto, versatelo in un insalatiera, aggiungendoci un bicchierino di liquore (alkermes), cento grammi di farina doppio zero, i tuorli di sei uova e un pochino di sale. Mescolare, accertarsi che sia il sapore giusto e lasciar freddare in ambiente naturale. Sbattere intanto le chiare d'uovo rimaste, e aggiungerle all'impasto insieme a una presa di lievito in polvere. In una padella con molto olio bollente versare l'impasto usando un mestolo di legno; da ogni mestolata deve venir fuori una frittella. Friggere rapidamente: devono essere bionde a giusta cottura, non marroni. Toglierle dal fuoco e adagiarle su carta gialla affinché l'unto sia assorbito. Cospargete con zucchero vanigliato e servite. Sono ottime calde ma buone anche da fredde. |
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Schiacciare 2 chilogrammi di uva nera e lavorare un chilogrammo di pasta di farina lievitata con un po' d'olio di oliva. Mettere la pasta spianata, alta circa un dito, in una teglia e coprirla d'uva. Si possono fare anche due strati di pasta con uno strato di chicchi d'uva fra l'uno e l'altro e qualcuno sopra, per bellezza. Far lievitare, zuccherare la superficie e infornare per circa mezz'ora. |
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L'alkermes era un liquore famoso perché, come il rosolio, lo si poteva fare in casa. La cocciniglia è un insetto di piccolissime dimensioni, parassita di molte piante, che veniva essiccato in grandi quantità ed era poi usato per fabbricare il carminio che colorava anche le stoffe. Nel caso dell'alkermes questo insetto serviva per dare il caratteristico colore rosso al liquore e, insieme al colore, dava anche il nome perché in spagnolo la cocciniglia viene chiamata "alquermes", dall'arabo "quirimiz" che vuol dire scarlatto. Tagliare una stecca di vaniglia a piccoli pezzi e pestare tutte le altre droghe (13 g di cannella, 10 g di coriandolo, 3 g di macis, 3 g di chiodi di garofano; 5 g di scorza di arancio, 3 g di fiore di anice, 10 granelli di cardamomo, 10 cocciniglie seccate) in un mortaio. Mettere il tutto in un bottiglione insieme a seicento grammi di alcool puro e aggiungere un terzo di acqua di fonte. Tappare ermeticamente il recipiente, lasciare in fusione per due settimane ricordandosi però di agitare due volte al giorno. Dopo quindici giorni, sciogliere a freddo seicento grammi di zucchero in acqua e unire all'infuso. Agitare bene e lasciar fermo per altri due giorni. Poi filtrare con panno di lino e aromatizzare con cento grammi di acqua di rose. |
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