Da "il Giornalino della Domenica" del 1911 due racconti giovanili del costituzionalista Piero Calamandrei, ambientati in Valdichiana.

 

 

 

   

 

 

 
 

Il rospo

Maternità

 

 

 

 

I

 

Sul clivo di una collina di tufo, che domina dall' alto tutta la verde Valdichiana fino al luccichio del Trasimeno e al tenero viola dei monti umbri, Dindo del Sorbi lavorava verso il tramonto a quel suo magro poderetto, che, coltivato da lui a mezzadria, gli produceva tanto di chi sfamare alla meglio sé stesso e la moglie Massima e il loro citto (1) Angiolino.  - 

Era ferma credenza tramandata religiosamente di padre in figlio nella famiglia dei Sorbi, che la terra, se non si vuol mandarla a male, non deve esser poi stuzzicata tanto e rivoltata con troppo mal garbo: e Dindo, piamente ligio all'accorto insegnamento degli avi, usava sempre trattarla con molto delicato ritegno, ch'essa non s'avesse a sdegnare.


Così, verso il tramonto di un giorno di novembre, ei ripuliva senza scalmanarsi, a forza di regolari e pacati colpi di pala, il formello di confine, che, lungo la siepe d'acacie, divideva i suoi asciutti campicelli dalle terre più fonde e più polpute dei Fiorbelli — una numerosa famiglia di mezzadri d'altro padrone: le ultime pioggie di ottobre, precipitate quest'anno con violenza insolita, sì da far mugghiare a scroscio tutti i balzi dei fossi e brontolar cupo il torrente in fondo alla valle, avean colmato il formello di una fanghiglia rappresa, oscuro deposito di erbe macerate e di pula annerita, che i voraci acquazzoni rubano ai campi da poco ingrassati; e il contadino affondava in quella fanghiglia la pala larga ed affilata, dolcemente, che spalar la terra quand'è umida è proprio un gusto, e, traendone su certe piote larghe quanto la pala, stagliate di netto a' margini come fette di polenta, le scodellava via via dalle due parti del fossatello, che restava, così, modellato più profondamente nel bruno color del tufo pastoso, e protetto da questi due minuscoli argini di zolle deposte in fila.

 

Dindo con incosciente monotonia ripeteva ad ogni colpo di pala gli stessi movimenti della persona, l'incurvamento della schiena, il puntar del piede, lo scatto delle braccia; ma ogni tanto interrompeva l'opra e s'appoggiava con le due palme sul manico della pala confitta al suolo, per dare in giro uno sguardo scrutatore con quei suoi occhietti pungenti, che parevan proprio, nel viso appuntito e spelacchiato, gli occhi astuti di una lucertolina: uno sguardo scrutatore alla sua poca terra già tutta seminata a grano nei solchi assai fitti, che in due giorni soli s'era fatto fare da un paio di buoi presi a nolo, poiché di suo egli non aveva bestie da lavoro, e agli olivi, che cominciavan già a lustreggiar di frutti rossigni, e alle viti, così desolate e scheletrite con que' loro tralci spogli abbandonati giù come volevano andare.

Ma, più che guardare le cose sue, Dindo del Sorbi guardava in basso, oltre la siepe d'acacie, i larghi campi altrui, ove i Fiorbelli lavoravano anch'essi, a poca distanza dal confine, affrettanto la sementa ch'era in ritardo: e vedeva laggiù, or si or no tra le frasche, Rigo bifolco, figlio del vecchio capoccia vedovo, che reggeva l'aratro a' buoi, incitandoli con alte grida, e dietro a lui la sua moglie Rosa, entrata da poco a far da massaia nella casa del suocero, che, seguendo china il passar del vomero, raccattava per farne foraggio invernale le erboline sradicate a fior di terra.

 

Dindo li guardava pensoso senza esser visto, e una espressione maligna di rancore passava nelle sue pupille: era inutile, via, egli non poteva posar l'occhio su quella terra e su quella gente, senza che un amaro d'odio gli salisse alla gola, al ricordo di tutto quello che era accaduto: e specialmente al ricordo delle birbanterie di quella Rosaccia, secca, gialla e velenosa come il demonio, che sapeva cosi bene (oh, c'era da raccontarne a veglia !) menar pel naso come un bambino quel tondo di Rigo, buono soltanto a spalancare i suoi occhioni rintontiti e slavati come fiori di radicchiella.

Era una ruggine vecchia, quella ch'esisteva tra i Sorbi i e i Fiorbelli, poiché le due famiglie, addette come erano alla coltivazione di terreni confinanti, e alloggiate, per di più, a uscio e uscio, in due quartieri dello stesso casolare, avevano da un pezzo iniziato regolarmente le discordie e le zuffe, al mo' che s'usa tra buoni vicini.

 

Dindo, con quella dura tenacia contadinesca che non dimentica e non perdona, ripeteva a sé stesso tutti i miserevoli episodi di quella guerricciuola di vicinato: un primo dissidio per via de' polli dei Fiorbelli, che varcavano ad ogni momento il confine, a ingrassarsi dell'altrui povera mèsse; poi, una sequela di scenate violente tra la sua donna e quella maledetta Rosa chiacchierona, un fischiante grandinìo d'improperii che le due massaie si lanciavano da balcone a balcone, guardandosi con occhi di basilisco, dietro a vasi di fiorito basilico.... E, alla fine, il malocchio.

 

Questo, il pensiero che, più d'ogni altro, rinfocolava l'ira nel cuore del contadino superstizioso. Ei rivedeva quel suo bel maialetto dell' inverno di là, ch'era tondo e lucido e sodo da farvi su la speranza di un guadagno fuor dell' ordinario, e che poi, a un tratto, aveva cominciato ad arricciare il grugno, a smagrire, a buttarsi giù per le terre tutto allocchito: e un giorno, alla fine, senza saper perché (Dindo lo sapeva, sì, il perché !), era cascato morto come un cencio, stralunando gli occhietti setolosi e mandando un gemito fioco, come se volesse parlare.... O la bambina? O la bambina di Dindo, morta da un anno, che a un tratto, anche lei, da grassa e vispa che era, aveva cominciato a struggersi e a fare il visino lungo senza voler più neanche un po' di pappa coll'olio, o non era stata tocca, anche lei, dal malocchio di quella stregaccia? E perfino contro di lui, contro Dindo del Sorbi che non era né bimbo né bestia, quella buona lana aveva tentato il malefizio: gli aveva fatto bere a tradimento, in un bicchier di vino, una mistura d'ossa di rospo; e per poco non gli ci aveva fatto rimetter la pelle....

 

Qui il contadino si rimise al lavoro, ancor più svogliatamente, seguendo ancora il corso di quei suoi pensieri amari, che ricadevano in tante maledizioni sugli indemoniati vicini. Quand'ecco, un incidente venne a tagliare il filo del suo interno discorso, e a riannodarlo, poi, naturalmente, nello stesso ordine d'idee. Egli scòrse nella cavità del fossetto, a pochi palmi dalla sua pala, una forma grossa e grigiastra che si muoveva tra l'erba fangosa faticosamente: un rospo, un di quegli enormi rospi solitari, che quand'è umido, amano uscir dalle tane e trascinar la loro mostruosa goffaggine sulle prode delle terre arate.

L'uomo dei campi si protese, per veder meglio la bestia: schiacciato e largo come una mano, scabroso sul dorso di verruche e di pustolette, il rospo ansimava, si gonfiava, trasudava da' pori torbide stille e faticava colle corte gambuccie, per dar la scalata a un de' lati del formello e sottrarsi cosi all'uomo che lo aveva scoperto: poiché esso, cogli occhietti rotondi e vitrei quasi nascosti sotto un ammasso di viscida pelle grinzosa, aveva scorto l'uomo e aveva forse, nel suo istinto di bestia immonda, riconosciuto in lui un nemico.

Dindo l'osservò per un istante, con un ghigno misto insieme di disgusto e di gioia: poi si raddrizzò d'un tratto; piantò in terra con un colpo risoluto la pala, che vi rimase infitta tentennando, e pronunciò due sole parole: « Ah, rospo ! » ; ma, col rapido accento di ferocia vendicativa, queste due parole sole rivelaron chiaramente l'animo del contadino, per il quale i rospi, animali buoni soltanto a fornir beveraggi alle streghe, devono esser perseguitati e distrutti da ogni cristiano per bene. ..

 

Dindo, senza perder di vista l'animale, che invano, in fondo al forniello, tentava di superare la cavità sdrucciolevole, trasse di tasca un ronchetto, fu d'un salto alla siepe, ove, con un colpo solo, tagliò un dritto virgulto d'acacia: poi, tornando ancora verso il fosso, ripulì con cura questo virgulto d'ogni rametto o foglia che fosse ai nodi, e l'aguzzò alle due estremità, provandone l'acutezza sul polpastrello del pollice: infine, quando l'arma fu perfetta, ei rimise in tasca la roncola ripulita sul ginocchio, cansò, con un piede, una pietra che gli dava noia, e si preparò al colpo, tenendo una gamba di qua ed una di là dal fossatello e avendo così più facile il bersaglio tra le due gambe aperte...il virgulto, brandito a due mani come se fosse una asta pesante, calò giù con gran forza, sul povero rospo acquattato, piantandosi a fondo in quella carne molliccia, per il peso dell' uomo che vi gravava sopra con tutta la persona.

Il contadino si raddrizzò con un riso di trionfo: il palo si era infisso nel fianco del batrace, vicino ad una delle coscie, e l'aveva trapassato da parte a parte, con un sordo gorgoglìo di visceri schiantati, riapparendo poi colla vetta arrossata presso un degli occhi, che ne rimaneva quasi sbalzato fuor dall' orbita.

Il rospo, a bocca aperta, rantolava dentro senza morire, e sgambettava, così impalato, raspando la terra; e nella melma, giù dalla ferita della testa, colava un filo di sanguiccio scolorito.
 

Il più era fatto.

Dindo, superbo del colpo maestro, prese per l'estremità libera il virgulto che aveva dall'altra cima quel vivo trofeo, e, avanzando tra' solchi, lo piantò dritto nel terreno umido: dritto, che il rospo rimanesse in vetta, a imparare a volare; e misurò ogni sua mossa per bene, badando che il prigioniero non gli stillasse sulle mani qualche goccia di quel suo sanguaccio velenoso.
Il contadino fece tre passi indietro per rimirare da una certa distanza l'effetto dell'opera sua, e, rimirando borbottò: - Ecco ! - con un accento convinto di soddisfazione, di superiorità appagata, quasi di indulgente commiserazione per quella bestiaccia sciocca, che ora soltanto si accorgeva quanto sia riprovevol cosa l'ostinarsi a esser rospo per forza.
Poi Dindo riprese la pala, la giacchetta lasciata sotto un olivo e s'avviò verso casa, che il sole era già sotto da un pezzo e su da' fondi, ove squittiva la civetta, vaporavan l'ombre; ma, da lontano, si volse a dare ancora un' ultima sguardata: a' Fiorbelli, laggiù, che anch'essi si preparavano a rimenare i buoi, e al rospo giustiziato che, dal solco, volgeva a lui il piatto ventre verdastro, e si profilava netto sul cielo purpureo, arrancando annaspando nel vuoto in vetta al ramo d'acacia, con molto giocondi stiramenti di ranocchia che si sbizzarrisca a nuotare.

 

II

 

Quando, la mattina dopo, Dindo del Sorbi apparì sbadigliando sull'altana del casolare a guardar la giornata, il sole era forse levato già da una mezz'ora, ma non si mostrava punto, nascosto come era da un di quei nebbioni fitti di novembre che rimpiccioliscono il mondo entro un breve giro limitato da grigi fantasmi.

La Massima, la Massima bella che nel viso trentenne conservava ancora il puro tipo chianino, gentile toscanamente e romanamente forte ad un tempo, era già in piedi da bruzzico (2), per sbrigar le faccende di casa; e vedendolo comparir così tardi e con quell'aria assonnata, gli disse, dandogli del voi come tra i contadini della Chiana usano le mogli ai mariti:
- Acciderba ! Badate che non v'abbia a guasta', questa levataccia! - 
L' uomo non rispose, che non aveva voglia di motteggiare (3), quella mattina: s'era svegliato male, con un vago senso di accidioso malessere addosso; e quando li gallo aveva cantato, egli non era saltato giù di schianto, come soleva, ma era rimasto lì a smaniare, in un penoso dormiveglia....

 

Scese pian piano la scaletta di mattoni, grattandosi la testa arruffata e guardando con occhio torbido il torbido cielo: e senza saper dove andare, si avviò verso l'aia, con passo vacillante di uomo malato. La nebbia aveva fatto sparire non pure il lontano ampio cerchio di pianure e di monti, non pur le torri del paese vicino, ma perfino il cipresso ch'era a mezzo il declivo, perfino i pagliai col loro pentolino in vetta allo stollo, sì gaiamente rilucente di sole, nelle mattine di bel tempo.

Dindo si fermò un istante sotto la larga ficaia ch'era lì, vicino a casa, preso dall'idea di mangiare un fico, un degli ultimi superstiti fichi dell'anno; ma poi si sentì cader la voglia: ce n'era, sì, ancora qualcuno, pendulo sotto le larghe foglie accartocciate, ma sì brutti, lavati come erano da tante pioggie, e viscidi e tremolanti, con la buccia ingiallita e picchiettata di muffa. E allora andò oltre: venivano, da invisibili rami perduti tra la nebbia, i lunghi trilli dei lodolini, sospiri dell'autunno fuggente: e tra gli stecchi nudi dei cespugli, innumerevoli tele di ragno eran merletti coi fili ingemmati di stille. Il contadino aveva voglia di dormire: e come se anche in lui, creatura nata e cresciuta in continua dimestichezza colla madre terra, si facesse sentire quel torbido desìo di riposo che addormenta il mondo vegetale al cominciar dell'inverno, egli, affidato ormai il suo poco grano alle zolle, voleva dormire lungamente, come i tronchi, fino al ritorno della stagione buona.

 

Tornò verso casa, molto scontento per un tedio non ben definito: la Massima, ora, gettava il becchime ai suoi polli.
— Massima, l'hai governata la bestia?
— E come avevo a fa' ? — chiese un po' risentita la donna che vedeva brulicar sotto le sue mani le faccende, e più ne faceva e più ce n'erano.

— Pensateci voi, che state costi colle mani in mano.
Con un gesto d'impazienza Dindo entrò nella stalla ove tenevano una vitella giovine, per ingrassarla e venderla alla prima fiera, che bestie da lavoro non ci campavano in quel podere ristretto: e, gettato nella mangiatoia un po' di foraggio secco triturato col tagliafieno, se ne ritornò fuori senza degnar neanche della solita carezza nella giogaia vellutata la vitella che pur lo guardava con occhio di fidente amicizia.


Dinanzi al forno, la Massima, aiutata dal ritto, preparava fascine per far fuoco. Dindo le passò accanto senza guardarla, e s'andò a piantare sugli scalini di casa, con la testa tra le mani.

Che grigia tristezza, in quel mattino di novembre! La nebbia, ora, cadeva in goccioline minutissime, che non scendevano dal cielo, ma si condensavano lì, vicino alla terra, come un gelido sudore dell' aria....
— Accidenti al tempo! Non fa' e manco lascia fa'! (4) — brontolò irato il contadino, senza muoversi dalla sua posizione d'abbandono; ma d'un tratto si drizzò e ordinò con tono violento: 
— Massima, da mangiare !

 

Rientrarono in casa: la moglie, docilmente, che non s'attentava tenergli testa ne' giorni neri, tolse dalla madia una scodella fiorita d'azzurro, ov'eran due fette di polenta avanzata del giorno prima; e, unitevi due cipolle crude, gliela pose davanti, sulla rustica tavola, innanzi alla quale egli, puntandovi su i gomiti, s'era seduto.


— Polenta, cipolle.... Sempre la stessa robaccia....


Segui un lungo silenzio: poi, senza toccare i cibi, il contadino die colla mano una spinta al piatto per scostarlo da sé, e si rizzò, in mezzo alla cucina, dandosi intorno uno sguardo smarrito....

 

— Ma che avete, stamani, in nome di Gesù?:..
Il tono della Massima fu così amorevole e accorato, che Dindo si pentì di quei suoi modi: e, rimessosi a sedere, mormorò con voce sorda:
— Ho.... ho.... che non mi sento a modo mio.
— Vi sentite male ?
— Già, mi sento male.
— E che vi sentite:
— Che mi sento?.. Mi sento male, ecco. Un gran limìo allo stomaco, un dolorino qui, nella testa, una gran fiacca ne' ginocchi.... E poi, e poi.... una gran voglia di buttarmi giù, come se fosse di mietitura e avessi lavorato tutto il giorno al solleone.... E tutto questo da stanotte, all' improvviso....
— Avrete preso fresco; — interruppe la moglie con affettuoso rimprovero — volete a tutti i costi andare a' campi senza giubbone, anche ora che ci si inzuppa tutti all'umidiccio della guazza (5).... Vedrete, con una buona sudata....
— Sì, altro che fresco, altro che sudata!... — rispose il marito con aria misteriosa. — Lo so io, lo so io, quel che ci cova....
Il figlio lo guardavo,, ritto dinanzi a lui, con grandi occhi curiosi.
— .... è quel solito male, quel solito male dell'altro inverno....
— Quelli là?.... — domandò la moglie con viso d'odio pauroso, accennando di fuori.
— Già.... quelli là.,.. Quel solito vino avvelenato.... —

 

E, di fronte alla moglie ed al ragazzo che lo ascoltavano in silenzio, come si ascoltano in silenzio le storie di fantasmi o di assassini, Dindo liberando il suo cuore da un peso insopportabile che da qualche ora lo opprimeva, ricominciò a narrare la storia tante volte narrata:

 

— La colpa fu anche tua.... Fosti tu, scema a farmi credere che facessero sul serio ... « S' ha a far la pace, s'ha a tornare amici.... > sì, si!

Lei, la Rosacela, faceva la santa: lei, con quella ghigna! E poi me lo fece bere il vino dell'amicizia, ti ricordi?... Ma appena l'ebbi tirato giù.... Madonnina! lo sentii qui nello stomaco il veleno, come un gran fiammata! Gli ossi di rospo.... e ora, vedi, lo risento quel bruciore, proprio qui dentro la gola: e mi consuma.... —

 

Tutti e tre tacevano, ora, come sotto l'incubo di una forza malefica invincibile: ma la donna arrischiò timidamente:


— Eppure Beppone della Giovampaola vi disse che non c' era più pericolo, dopo l'erbe benedette che vi dette lui. O allora?
O che t'ho a di'?... le rispose Dindo stringendosi nelle spalle. - Eppure io mi risento addosso, oggi, quella maledetta bigernia (6) di quei giorni: mi par d'avere il piombo ne' piedi e qui, nel collo, due unghie che mi mozzano il respiro... Ah, da questi malanni non si guarisce: non sono, via, di quei mali da dottori che fuggon via con una cartina di sale ! —

Parlava con una voce di dolore rassegnato, come un uomo condannato senza speranza: e, scuotendo la testa, infilò a barcolloni l'uscio di camera e andò a buttarsi sul letto, un'ora dopo levato, cosi vestito com'era....
La moglie restò lì in cucina, senza riprender le faccende interrotte, e, guardando l'uscio di fuori dal quale si udiva la voce stridula della Rosa che leticava collo sciocco marito, ella fece con la mano un oscuro gesto di minaccia; ma un tratto, dalla camera, la voce di Dindo, imperiosa e concitata, la chiamò:

— Massima ! —
Dindo era sul letto, tutto vestito, sollevato a metà sul gomito: e i suoi occhietti di lucertola, febbrilmente lucidi sul viso che pareva sbozzato coll'ascia nel legno secco, fissavano con aria di terrore un angolo buio della stanza.
— Massima, l'orologio di San Pasquale!
— Dove?!
— Lì, accanto a quel cassone, nel cantuccio.... La donna in punta di piedi, s' appressò al luogo
indicato, e, accennando di non far rumore al bimbo che la seguiva, stette in ascolto: un istante passò di angoscioso silenzio. ..
— Nulla!... sarà stato un tarlo — disse respirando la Massima; ma Dindo, scrollando ancora il capo e buttandosi giù, ripeteva ostinatamente, disperatamente :
— No, era lui, era lui.... Di questi mali non si guarisce..., Morte vicina, morte vicina....

 

 

 

 

III

 

Nel largo letto di legno, Dindo del Sorbi, desto da più di un' ora, si rivoltava e sbuffava nell'ombra, senza poter ritrovar sonno, preso com'era da quella malattia strana che gli rodeva l'anima e il corpo.

Aveva udito da un pezzo suonar limpidamente il mattutino di mezzanotte, su, in vetta al monte dei Cappuccini: e ora udiva soltanto, a quando a quando, il guaiolìo di qualche cane randagio che razzolava a cercare un osso giù nella concimaia, e, li in casa, il respiro della moglie che gli dormiva accanto e il russar sonoro del citto che, nella stanza vicina, riservata anche a far da magazzino per i raccolti, riposava in un letticciuolo navigante su un gran mare di patate distese in serbo sull'impiantito.

Dindo, in quella stanza oscura, ove a lui spasimante nell'insonnia dava un senso di uggia, quasi di timore, quel placido respirar dei due dormenti, spalancava gli occhi nel buio per riuscir a coglier le forme e a distrarsi un po', nel riconoscerle: ma gli veniva fatto di riconoscer soltanto, in un tenue lustrar d'acciaio dovuto al riflettersi di qualche raggio sottile chi sa di dove scaturito, la lama ricurva della falce fienaia, ch'egli, da contadino previdente, custodiva appesa alla parete, li, nel calduccino della camera preservator dalla ruggine.

 

Dindo pensava; quella solita idea gli stava inchiodata nel cervello senza dargli pace: il malocchio, la strega, gli ossi di rospo ingoiati nel passato inverno.... Con quella lucidezza di memoria ch'è propria deIla gente dei campi, ei rivedeva in ogni particolare quella sua malavventura: ricordava le occhiate degli avvelenatori, il tono delle loro parole, perfino il colore di quel vino, torbo come il sangue, e il suo sapore, dolciastro ed allappante, come la polpa delle sorbe non mature....

Poi ricordò la sua visita a Beppon della Giovampaola, lo stregone, un vecchio legnaiolo, che, per esser nato settimo dopo sei fratelli maschi, poteva* ora, tra il rifar la ruota a un carro e il rimettere il manico a una vanga, sciogliere il malocchio, segnar le resipole e dare ogni sorta di profetici consulti alla gente stregata; e si sovvenne, Dindo, con quanta sicurezza quello stregone che aveva capito la causa vera del suo male, lo aveva assicurato, suggerendogli la medicina, che le stregonerie prese per bocca son le più facili a guarire.... O dunque? Perchè questa improvvisa ricaduta del male? Che forse — e in questo pensiero Dindo rabbrividì — che forse i Fiorbelli gli avessero tesa qualche altra rete ?...

 

E allora cominciò mentalmente a riepilogar per bene tutto ciò che aveva fatto nell'ultimo giorno di salute.

Vediamo: al mattino aveva ripulito dai polloni certi piedi d'olive e poi era andato al paese a portar l'uova fresche al padrone... niente di strano... poi, dopo mezzogiorno, aveva seminato un po' di lupinella nelle prode, aveva ripulito il formello di confine.... e poi, null'altro... Null'altro.... cioè....

Qui il contadino ebbe un lampo: si ricordò a un tratto del rospo: aveva infilato un rospo.

Lo rivide a un tratto nella memoria, sgambettante in cima al virgulto d'acacia. E allora senti con irragionevole certezza che tutto il suo male derivava da quel rospo: e un fremito di paura angosciosa fece sobbalzare le sue membra febbricitanti.

Ma come, Gesù benedetto, come e perchè quel rospo infilato poteva fargli tanto male?. .
A infilare i rospi gli aveva insegnato, da bambino, il su' babbo bonanima, Gigi Sorbi, ch'era campato fino all'ottantina, nonostante che dei rospi n'avesse infilati parecchi, pover'uomo.
O allora?... Qui si ricordò ad un tratto di avere udito dire dal su' babbo che se un rospo impalato riesce a fuggire dal palo, tutto il male che prova lui lo fa provare, anche da lontano, al suo feritore: e che, se il rospo muore di quelle ferite, anche l'uomo muore, delle stesse pene, nello stesso minuto....
Gesummaria! O che il suo rospo, laggiù nel solco, si fosse liberato dal paletto?... E, d'un salto, Dindo si drizzò a sedere sul letto, li al buio, stringendo con mano convulsa le coperte. Gesummarial

Ma come, come... Con tanta forza aveva piantato il palo in quella pellaccia, con tanta cura I'aveva posto ritto sul terreno: in che modo la bestia avrebbe potuto, liberarsi da sé? .. Da sé?... da sè?...

0 se qualcheduno....
 

Dindo si passò una mano tremante sui capelli sudati, quasi per iscacciare il pensiero; ma aveva ormai capito.

Una serie di circostanze credute insignificanti gli tornava alla mente con un evidente nuovo colorito.

Non c' era dubbio, erano stati i Fiorbelli: Rosa, anzi, Rosaccia maledetta. Ricordava ora, che ella si trovava nel campo vicino al suo, quella sera, quand'egli aveva infilato il rospo: e che, quando egli s'era alzato su dal solco tutto contento della ben riuscita operazione, gli era parso di vedere, al di là della macchia, Rosa volger le spalle all' improvviso, quasi che non volesse esser sorpresa a spiarlo da lontano.

Ella, certo, aveva visto tutto con quel suo occhio grifagno; e, appena lui se n'era ito, aveva scavalcato il confine, e, colle grinfie di strega, aveva pian piano sfilato il rospo dal suo bastoncello e gli aveva dato la libertà, perché ne venisse al suo nemico un male senza rimedio.

 

E il rospo, certo, s'era allontanato strasciconi per le zolle, vivo ancorché ferito, poiché i rospi son di pelle dura, portando nel suo corpo lacerato il destino del povero Dindo: e forse, ora, s'era nascosto sotto qualche pietrone umido, ove nessuno potesse scovarlo, e li si spegneva a poco a poco, sentendo struggersi i budelli traforati, con un tormento lento e sottile simile a quello che Dindo ora provava: e sarebbe morto, non subito, no, ma tra una settimana, forse tra un mese, traendo per un filo invisibile, insieme ai suoi patimenti e alla sua fine, la gagliardìa e la vita del suo carnefice....

Dindo, atterrito, cacciò un urlo e destò con uno scossone la moglie.

— O Massima!
— Che volete?... — brontolò ella tra il sonno, spaurita.
— Massima, il rospo.. .
— Che rospo ? ! —
Ma egli non dava retta: saltò a terra nell'ombra quasi farneticando: e intanto chiedeva con voce affannosa:
— Il lume, il lume!... —


Quando scorse il vacillante chiarore del mozzicone di candela che la moglie, non sapendo neppur lei s'era ben desta, riuscì a trovare e ad accendere sul rozzo comodino, s'infilò senza parlare i calzoni, gli zoccoli, il giubbone: cercò, in una cassa, una lanterna a vetri che gli serviva per badar l'uva nelle sere di vento, e v'introdusse il candelotto acceso; poi, sempre in silenzio, senza rispondere alle incalzanti domande della moglie, saltò fuor dalla stanza, traversò la cucina, apri l'uscio di fuori. Una violenta folata di vento gelido gli battè sulla testa sudata e fece vacillar la fiamma pur dentro la lanterna: egli usci.


Il vento aveva rasserenato e le stelle rilucevano di quel freddo nitore ch'è vestigio di una pioggia recente: giù, nella valle, gemeva l'assiolo tranquillo. Dindo avanzò con passo da ebro, senza vedere, senza udire, fisso in un solo pensiero: passò la ficaia, passò i pagliai, andò in mezzo ai campi.

I suoi zoccoli affondavano e s'appesantivano in quelle zolle umide tra le quali cantavano malinconicamente i grilli autunnali, tanto più gravi e bassi dei loro fratelli di primavera: la lanterna che dondolava per quell'andatura a balzelloni, gettava capricciosi sprazzi di luce per la campagna nera, e in quelle fuggevoli striscie luminose i tronchi contorti degli ulivi, le viti serpentine, i cespugli, le creste de' solchi assumevano, per uno strano giuoco d'ombre, apparenza e proporzioni di fantasmi dileguanti in corsa.

 

Dindo. finalmente, giunse alla siepe di confine, al formello che aveva ripulito due giorni innanzi.
— Dev'èsser qui... nel secondo solco... — disse a voce alta, con una strana sonorità di echi notturni.

Guardò, fece un passo, cercò, in quella commozione, di precisare i ricordi per orientarsi,... Nulla.

Ancora un passo: tese la lanterna per veder meglio. E alla fine, tra le zolle, ove le scabre asperità parevan montagne ed abissi al lume del candelotto, scorse quel che cercava: il bastoncello d'acacia, nudo e disteso in terra, macchiato soltanto, a una vetta, da brune traccie di sangue raggrumato....


Dindo non volle veder altro: sentì, con un ghiaccio di morte nel cuore, d'esser perduto: e, senza ragionare, si dette a pazza fuga verso casa, per scampare a qualche grande artiglio che voleva ghermirlo nel buio, scuotendo nella disordinata corsa la lanterna che pareva spengersi ad ogni momento e risuonava in quel silenzio con un fragor di latta e di vetri sbattuti....
Come fu giunto dinanzi al casolare che si profilava tutto nero sul cielo stellato, e scòrse, accanto all' uscio spalancato di casa sua, la porta sbarrata dei suoi vicini che dormivano in pace, ei si fermo all' improvviso e, colla voce rantolante per la fatica del correre e per l'angoscia, gridò tre volte, in un ultimo selvaggio impeto di bestia ferita a morte :
— Maledetti! Maledetti! Maledetti!

                 

 


 

 (1) "Bambino" nelle terre senesi -

 (2)  La prima luce dell'alba. -

 (3) Parlare con arguta piacevolezza -

 (4) La frase, raccolta dal vivo, rimprovera la stagione, che senza decidersi a piovere a dirotto, disturba tuttavia i lavori dei campi con una continua minaccia di pioggia.

 (5)  Rugiada copiosamente addensata

 (6) Pigrizia, fiacca: parola del contado senese.