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Dalle sorgenti dell'Amiata l'acqua pura per Siena
La lunga storia della ricerca di acqua per Siena
Ma questo bene primario a Siena scarseggiò sempre. Già mentre si
iniziava lo scavo delle prime gallerie, si ricercavano altrove sorgenti
più copiose: nel 1298 fu proposto di creare un collegamento con il
torrente Merse, qualche anno dopo si pensò alla Tressa. Nei secoli
successivi le sorgenti dello Staggia apparvero le più adeguate e per il
loro allacciamento vennero predisposti studi e progetti, fino a quelli
elaborati nel 1 835 da Giuseppe Pianigiani, ripresi nel 1 867 da
Girolamo Tarducci. A causa delle infiltrazioni dei liquami dai pozzi neri, il tifo era diventata una malattia endemica e periodicamente seminava la morte, soprattutto nei quartieri dove giungeva poco più di un rivolo di acqua da sfruttare per tutti gli usi quotidiani.
La sorgente Ermicciolo, che scaturisce sul versante nord del Monte
Amiata nei pressi de paese di Vivo d'Orcia nel comune di Castiglione
d'Orcia a poco più di mille metri su livello del mare, venne indicata
per la prime volta come sola capace di risolvere il problema del
rifornimento di idrico di Siena nel 1890, dagli ingegneri della
Società Italiana di condotte d'acqua di Roma. Alla fine del 1894 il Consiglio, riaffermando l'assoluta necessità di provvedere Siena di una maggiore quantità di acqua, sollecitava la Giunta a compiere una scelta precisa. Per acquisire dati certi fu deciso di effettuare analisi scientifiche sulle acque, incaricando il professor Bordoni Uffreduzzi di accertare le caratteristiche di quelle del Vivo e di quelle che sgorgavano attraverso i bottini Fontebranda e Fonte Gaia. Giudizi negativi sulla qualità di queste ultime erano stati spesso ripetuti dagli scienziati, ma grazie all'evoluzione delle tecniche di analisi, l'illustre batteriologo torinese poté stabilire che in ambedue i condotti, ma soprattutto nel secondo esclusivamente destinato all'alimentazione umana, erano presenti molti microorganismi, fra cui il bacillus proteus, derivante dalla putrefazione di sostanze organiche di origine animale, pericoloso per la salute. In sostanza, a causa della scarsa profondità delle gallerie e della permeabilità del terreno circostante "sia l'acqua di Fontebranda come quella di Fonte Gaia non corrispondono ai requisiti che l'igiene richiede per un'acqua potabile, salubre e pura". Al contrario i campioni prelevati alle sorgenti del Vivo "in tubi di vetro saldati alla fiamma" e sottoposti a "4 saggi di culture in gelatina nei tubi alla Esmarch" sia in loco che nel laboratorio batteriologico dell'Ufficio d'Igiene di Torino, risultarono perfettamente sterili e privi assolutamente di microrganismi.
Le risorse idriche alternative alle
sorgenti del Vivo vennero studiate con particolare attenzione dalla
Commissione tecnica composta da tre dei massimi ingegneri idraulici
dell'epoca (Giacinto Turazza della Scuola di Ingegneria di Padova,
Giovanni Cuppari esperto di idraulica di Pisa e Ettore Paladini del
Politecnico di Milano), che nel 1896 fu costituita con l'incarico
principale di studiare il progetto della Fonderia del Pignone di Firenze
basato sulla captazione dal Vivo. La soluzione proposta comportava
infatti una spesa rilevante e il Comune non voleva trascurare la
possibilità di raggiungere lo scopo con minore impegno finanziario. Si proponeva invece di abbandonare il bottino di Fonte Gaia perché troppo superficiale, quindi più facilmente inquinabile, e con una portata modestissima di soli 2 litri al secondo. Lo studio geologico delle colline plioceniche senesi comprese fra il Chianti e la Montagnola aveva messo in evidenza un importante strato argilloso fuori la Porta Camollia, che conservava le precipitazioni formando un serbatoio sotterraneo che alimentava, a causa delle profonde incisioni del terreno, i torrenti Bozzone, Bolgione, Riluogo e Tressa. Da qui si poteva sperare di captare anche acqua per il bottino di Fontebranda, che sarebbe rimasta comunque di qualità scadente per l'eccessiva durezza, pari a 30 gradi francesi.
La Commissione indicò alcune località da sottoporre a verifica per accertare una eventuale disponibilità di acqua ma dopo accurati studi fu ritenuto conveniente orientarsi sulla zona di Marciano, S.Dalmazio e Uopini, verso i torrenti Bolgione e Bozzone e verso Macialla (escludendo però le acque della zona di Scacciapensieri e le Tolfe, dalla durezza intollerabile). Il vecchio condotto avrebbe dovuto essere completamente ristrutturato, soprattutto rivestendo i cunicoli per evitare pericolose infiltrazioni esterne, più probabili a seguito dell'aumento delle coltivazioni agricole. La spesa necessaria per questo intervento sarebbe stata allora quasi simile a quella per la costruzione della condotta dal Vivo, senza garantire peraltro acqua nella medesima quantità abbondante e di ottima qualità. A conclusione dell'indagine la Commissione dichiarò concordemente che per risolvere i problemi idrici di Siena bisognava assicurare alla città almeno 40 litri d'acqua al secondo, e che solo le sorgenti del Monte Amiata avevano una portata adeguata. In particolare la più idonea risultava quella del Vivo, perché situata alla distanza minore dal capoluogo, con un deflusso copioso non condizionato da altri prelievi, di qualità buonissima grazie alle migliori condizioni di altitudine e all'ubicazione in un territorio scarsamente abitato.
Mentre si svolgevano tutte queste indagini il Comune decise di rompere gli indugi e il 14 settembre 1895 l'assessore Guido Sarrocchi, insieme ai consiglieri Ercolano Cantini e Remigio Bartalini, sottoscrivevano un compromesso con i conti Cervini, proprietari dei terreni in cui sgorgava la sorgente Ermicciolo. Oggetto dell'acquisto era una porzione di queste acque, pari ai 40 litri al secondo, ritenuti come necessari e sufficienti per la città di Siena. Si trattava all'incirca di un quarto della sua capacità e quindi, considerato il valore dell'intera sorgente in 120.000 lire, corrispondente a 30.000 lire. Tale valutazione venne confermata dalla perizia compiuta nel 1898 dall'ingegnere Vincenzo Ciani e dall'architetto Vittorio Mariani, che valutarono l'uso effettivo di quell'acqua e il danno economico che poteva derivare dal sottrarne anche una parte alle attività dislocate lungo il ripido corso del torrente Vivo. Si trattava di industrie modeste, spesso ad andamento stagionale, che utilizzavano solo parzialmente le effettive potenzialità che la sorgente avrebbe offerto come forza motrice. Le segherie Battistini e Depratti impiegavano ruote a palette piane di tipo antico, cercando di sfruttare l'energia di cadute successive, la Ferriera Franchi (che in realtà era una falegnameria) appariva in pessime condizioni e lavorava saltuariamente, così come il Molino di Campiglio dove si macinavano granturco e castagne; solo un molino da cereali era continuamente in attività, grazie al motore a "ritrecine". Apparivano meno preoccupanti gli effetti sull'attività del mulino di Seggiano che avrebbe potuto utilizzare maggiormente l'acqua del torrente Vetra. In ogni caso il Comune di Siena si impegnava a garantire una sufficiente quantità di acqua almeno alla Ferriera Franchi, e a rifondere i danni alle altre attività. Il compromesso aveva validità di 2 anni, ma in questo periodo non si pervenne a nessun atto concreto.
Nell'imminenza della scadenza, l'8
settembre 1897, il sindaco Enrico Falaschi e i conti Cervini ne
stipularono un altro. Rispetto al precedente si prevedeva di aumentare
il prelievo fino a 60 litri al secondo, che corrispondevano ai 3/7 della
sorgente, per il prezzo di L.51.428 (cioè i 3/7 dello stesso valore di
L. 120.000 stabilito nel 1895). Il compromesso venne approvato dal
Consiglio Comunale il 17 settembre 1897, ma a causa dell'inconcludenza
del Comune di Siena e del ritardo con cui i Cervini liberarono il fondo
da ipoteche a favore del fondo per il culto, si dovette aspettare ancora
un anno per definire l'acquisto definitivo delle sorgenti. Nel dicembre
1898 il Prefetto autorizzò l'operazione e il 4 gennaio 1899 Carlo
Cervini e i suoi figli Leopoldo e Alessandro, firmarono presso il notaio
Alfredo Ricci il contratto di vendita al sindaco di Siena Enrico
Falaschi per Lire 51.428, da saldare entro il 1902.
I risultati dell'Analisi
La scelta era ormai compiuta ed a
confermare il Comune di Siena della sua giustezza, giunse la notizia che
anche Firenze progettava di valersi delle acque dell'Armata, dopo aver
concluso un compromesso con i conti Sforza Cesarini proprietari delle
sorgenti del Fiora. L'altra questione cui prestare la necessaria cura
riguardava l'effettiva portata e la continuità del regime della
sorgente. Le rilevazioni compiute annualmente dal 1896 al 1899
consentirono di accertare un'oscillazione della portata fra 274 e 151
litri al secondo, in rapporto all'andamento delle piogge e delle
nevicate, e l'ingegner Conti, pur continuando a tenere sotto controllo
l'andamento stagionale anche dopo l'inizio dei lavori, si dichiarava
tranquillo sulle sue potenzialità rispetto alla richiesta di Siena. La
quantità di acqua prelevabile per l'acquedotto senese nel 1908 venne
aumentata da 60 a 64,7 litri al secondo per far fronte a nuove
forniture: le Ferrovie dello Stato avevano chiesto di poterne utilizzare
500 metri cubi al giorno (pari a 5,79 litri al secondo) per le stazioni
di Siena e Monte Amiata, mentre i Comuni di Montalcino, Buonconvento e
Murlo, posti lungo il tracciato della condotta, ne domandarono
rispettivamente sei, due e 1,5 litri al secondo, impegnandosi ad
acquistare la loro porzione di acqua dai Cervini e a contribuire alle
spese di costruzione. Di fronte a questo incremento l'ingegner Conti
progettò maggiori lavori all'edificio di presa per evitare ogni perdita
e l'uso di tubi più grandi, di 375 mm e di 250 mm al posto di quelli
inizialmente previsti di 350 e di 225 mm. L'adeguamento dell'edificio
era in stretto rapporto anche con la qualità dell'acqua, su cui nel
giugno 1909 Conti chiese ulteriori analisi complete affidate al prof.
Donato Ottolenghi, delegato dal prof. Achille Sciavo, e al prof. Siro
Grimaldi. In base agli esami batteriologici sulle tre sorgenti risultò
che nella sorgente più a valle si erano sviluppate 131 colonie di
batteri e 4 di muffe per centimetro cubo di acqua; in quella più a monte
4 colonie di batteri e molte di muffe e in quella intermedia 18 colonie
di batteri e alcune di muffe. Per evitare questo leggero inquinamento,
dovuto alle condizioni delle sorgenti esposte agli stillicidi di acqua
piovana che trasportavano residui di terra e foglie, era necessario
raggiungere per la captazione un punto più profondo all'interno della
roccia.
Nell'autunno 1890 la Società Italiana per
Condotte d'acqua di Roma, su sollecitazione del Prefetto di Siena e del
direttore della Sanità Pubblica Paglioni, cominciò ad elaborare un
progetto di massima per realizzare una condotta capace di fornire 30
litri al secondo di acqua potabile a Siena. [...] Nel 1892 si era
fatta avanti la Compagnia inglese dell'Amene, rappresentata dall'ing.
Alessandro Pancrazi di Firenze, mentre rimaneva in corso la trattativa
con la Società Condotte d'acqua di Roma che nel 1894 si diceva
disponibile a consegnare il progetto definitivo al Comune entro 8 mesi
dall'affidamento, per una spesa di Lire 2.800.000. Però nell'agosto 1895
entrò in scena la Società Anonima delle Fonderie del Pignone di Firenze
che propose al Comune di elaborare un progetto tecnico per la condotta
idrica dall'Armata.
L'esame tecnico del progetto venne
affidato nel 1896 alla Commissione tecnica composta dagli ingegneri
Turazza, Cuppari e Paladini cui venne richiesto di esprimersi sulla
convenienza tecnica delle sorgenti del Vivo, sul tracciato preferibile
fra i sei proposti, sulle modifiche che potessero ridurre la spesa, ma
anche sul progetto sommario a suo tempo presentato dalla Società per le
Condotte d'acqua di Roma. Si attribuiva quindi un ruolo decisivo alla
Commissione, le cui elevate competenze tecniche avrebbero assicurato
all'amministrazione il parere più autorevole per procedere alla scelta
migliore. Il ponte esistente sul primo, soggetto a vibrazioni e oscillazioni, non avrebbe potuto garantire la stabilità di una tubatura ad alta pressione, mentre sull'altro rimaneva un piccolo ponte ormai in rovina, in passato utilizzato dalla ferrovia privata di Murlo. Secondo i tre ingegneri appariva preferibile il tracciato indicato con il numero 3, che scendeva dal Vivo alla Stazione Monte Amiata, il dirigendosi poi verso Poggio alle Forche, quindi verso Casciano per raggiungere infine Siena. Questo percorso offriva sufficiente sicurezza di stabilità dei terreni di posa e buone e condizioni di attraversamento di fiumi e fossi ma soprattutto riduceva i pericoli dovuti al notevole dislivello fra il punto di captazione e quello di arrivo, prevedendo un maggiore sviluppo delle tratte in pressione sotto le 10 atmosfere e minore di quelle con pressione superiore, nonché un solo piccolo tratto con pressione superiore a 30 atmosfere. In base a questi criteri era stato invece giudicato inadeguato il progetto della Società Italiana di condutture d'acqua, perché avrebbe attraversato terreni non idonei e con molti chilometri ad alta pressione. [...].
All'inizio del 1908 cominciarono finalmente i lavori per la costruzione dell'acquedotto: il 13 gennaio vennero dati i primi colpi di piccone alla dura roccia trachitica da cui scaturiva la sorgente dell'Ermicciolo per costruire l'edificio di presa, prima da operai direttamente reclutati dal Comune poi da una squadra dell'impresa Marzocchi, vincitrice della gara d'appalto. Altri due gruppi di lavoratori della stessa ditta avviavano il 7 giugno i lavori per la costruzione del ponte sul fiume Orcia e il 2 luglio lo scavo della fossa dove sarebbero stati collocati i tubi. Nel frattempo si erano compiute le procedure di espropriazione dei terreni interessati al progetto situati nel comune di Castiglione d'Orcia, appartenenti a 10 piccoli proprietari e soprattutto, per 2 ettari e mezzo, al conte Alessandro Cervini, che ricevette un indennizzo di 1.000 lire. Ma i lavori proseguivano con eccessiva lentezza e la verifica fatta nei primi mesi del 1909 dalla Commissione Permanente, costituita nell'aprile proprio per esercitare un maggiore controllo sull'andamento della costruzione, evidenziò che l'allacciamento della sorgente erano stati scavati 20.000 metri cubi di roccia arrivando ad una profondità di 13 metri, per il ponte sull'Orcia apparivano quasi ultimate solo le fondazioni, mentre il tratto di fossa scavato fino a luglio raggiungeva i 3 chilometri. L'impresa Marzocchi giustificava il ritardo con l'imprevista consistenza della roccia intorno alla sorgente, che aveva rallentato lo scavo e imposto il ricorso all'uso di esplosivi. Durante la visita effettuata dalla Commissione il 30 giugno 1909, fu verificata effettivamente la particolare complessità dell'opera, assolvendo il Conti da ogni responsabilità. Sciolti i contratti di appalto prima con l'impresa Marzocchi, poi con la Vianini, il Comune assunse la gestione in economia per il completamento dell'edificio di presa che nel giro di qualche mese avanzò molto più rapidamente, grazie allo scavo che aveva raggiunto lo strato impermeabile di sostegno della falda acquifera da cui scaturivano le tre polle della sorgente.[...].
[...]. Diverse difficoltà di tipo ambientale incidevano sul prosieguo dei lavori, perché il cantiere era dislocato in una zona impervia e priva di abitazioni, resa ancora più inospitale dalle continue piogge di quell'inverno, che avevano costretto gli operai a lunghe soste sotto le tende da campo.
Lì era problematico anche il trasporto dei materiali, soprattutto dei
pesantissimi e delicati tubi di ghisa per i quali ci si affidò
inizialmente alla disponibilità di carri colonici. Ma i contadini li
potevano mettere a disposizione solo quando non servivano per i lavori
poderali, e quindi per avere maggiore autonomia si decise di acquistare
direttamente due paia di buoi e varie bestie da soma.
[...]. Nel corso del 1912 e del 1913 i
lavori procedettero con regolarità. Dopo aver definito le procedure per
gli espropri dei terreni su tutto il percorso, la condotta completa ad
aprile 191 2 superava 31 chilometri, ad ottobre 1912 sfiorava i 50
chilometri, a marzo 1913 toccava i 55 chilometri, a luglio 1913 i 61
chilometri, raggiungendo infine porta San Marco a marzo 1914. Nel corso
del 1913, con l'allacciamento dell'ultima sorgente, era praticamente
completato l'edificio di presa dell'Ermicciolo, mentre si cominciava ad
acquistare una parte di tubi e pezzi speciali per realizzare la rete di
distribuzione interna alla città e si procedeva con le espropriazioni
per il serbatoio di Vico Alto e per la colonna piezometrica. Sempre in
quell'anno venivano portati a termine i ponti in cemento armato
sull'Orcia e quello a tre archi sull'Ombrone, mentre risultavano da
completare gli attraversamenti dei fossi Donea, Fogna, Sorra e Tressa
vicini a Siena ed erano sistemati solo per 45 chilometri i pozzetti, le
ventose e gli sfiati liberi. Dopo la lunga attesa e le velenose diatribe
in Consiglio e sui giornali, l'arrivo dell'acqua del Vivo avvenne quasi
nell'indifferenza dei cittadini, forse preoccupati dai venti di guerra
sempre più vicini. Ne parlò solo la "Gazzetta di Siena", che trascurando
l'opera instancabile del Falaschi, del Barduzzi, del Bruchi, del Conti e
dei tanti che avevano seguito momento per momento la concretizzazione di
un opera così decisiva per Siena, fu solo capace di polemizzare con l'ex
sindaco Mario Bianchi Bandinelli, accusato di aver fatto spese
eccessive. Anzi in un articolo di qualche mese dopo, finì per dare il
merito della conclusione dei lavori al commissario prefettizio Cerilli,
che aveva disposto di far confluire l'acqua del Vivo nel pozzo di
S.Marco, per metterla a disposizione subito degli abitanti del
quartiere. Il Comune era infatti affidato ad un commissario, dopo che il
sindaco Bianchi Bandinelli si era dimesso, disgustato dalle accuse che
ne avevano messo in dubbio la correttezza amministrativa nella gestione
dei lavori per l'acquedotto. Per il completamento dell'acquedotto
mancava ancora la colonna piezometrica, che venne completata nel 1917, e
il serbatoio che fu costruito nel 1926 secondo il progetto più semplice
redatto dall'ingegner Mario Vanni. L'edificio sarebbe stato poi
distrutto dalle mine dei soldati tedeschi nel luglio 1944 e ricostruito
successivamente su progetto dell'ingegner Andrea Mascagni, rifacendosi
al disegno originale di Conti.[...].
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