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Scrivere di Acquedotto del Fiora è raccontare una parte della storia di un tratto di paese straordinario che si estende dal Chianti alla Maremma, dove la grande sfida di riuscire a produrre economia senza alterare l'essenza del territorio ha avuto successo anche attraverso il contrasto tra la limpidezza dell'acqua delle sorgenti amiatine e quella paludosa e malarica della pianura grossetana. Non è affatto esagerato sostenere che in questo prezioso elemento si riassume parte della continuità della storia che lega il territorio grossetano e senese, attraverso vicende ora liete ed a volte tristi, dove le acque malariche e quelle straripanti delle alluvioni sono state modellate con maestria dal lavoro dell'uomo e quelle sorgive e dei pozzi sono state con sapiente cultura utilizzate per le necessità degli esseri umani, degli animali e delle colture. Di questa storia fa parte l'Acquedotto del Fiora, che segna la sua data di nascita nel generoso tentativo fatto da 17 comuni, nell'anno 1938, di dar vita ad un Consorzio per la realizzazione e gestione di un acquedotto, mentre nel versante senese gli illuminati amministratori del tempo avevano intrapreso, all'inizio del '900, i lavori per la costruzione di una condotta che dalle sorgenti del Vivo sull'Amiata portò l'acqua alla città di Siena. [...]

 

Claudio Ceroni

il Presidente del Consiglio di Amministrazione

di Acquedotto del Fiora S.P.A.

 

 

 

L'Acquedotto del Vivo è l'esempio emblematico dell'importanza che la programmazione di "grandi opere" ed il coraggio di realizzarle rivestono per lo sviluppo e la qualità della vita di interi territori.

Basti pensare alle difficoltà che furono affrontate 100 anni fa, con mezzi neppure paragonabili a quelli che abbiamo oggi a disposizione: furono realizzati oltre 62 Km. di condotte attraversando colli boscati, territori in frana, fiumi, borgate ed assicurando così alla comunità senese quella risorsa fondamentale per la crescita civile, sociale ed economica che è l'acqua potabile.

Una "grande opera" resa possibile dallo straordinario ingegno del progettista e dalla lungimiranza degli amministratori dell'epoca. [...]

 

Moreno Periccioli

Presidente AATO 6 Ombrone

 

 

Dalle sorgenti dell'Amiata l'acqua pura per Siena

 

 

La lunga storia della ricerca di acqua per Siena


La carenza di risorse idriche naturali, fin dal XIII secolo spinse il Comune di Siena ad effettuare grandi lavori per trovare acqua sufficiente alle esigenze dei cittadini. Grazie ad un impegno continuo e ad investimenti pubblici consistenti, venne realizzato un sistema idrico complesso basato su fonti e pozzi, alimentati da ogni più piccola vena, dalla pioggia e dalla rete sotterranea dei bottini che si estendevano fino alle colline a nord della città verso il Chianti, per raccogliere l'acqua filtrata dal terreno.

Ma questo bene primario a Siena scarseggiò sempre. Già mentre si iniziava lo scavo delle prime gallerie, si ricercavano altrove sorgenti più copiose: nel 1298 fu proposto di creare un collegamento con il torrente Merse, qualche anno dopo si pensò alla Tressa. Nei secoli successivi le sorgenti dello Staggia apparvero le più adeguate e per il loro allacciamento vennero predisposti studi e progetti, fino a quelli elaborati nel 1 835 da Giuseppe Pianigiani, ripresi nel 1 867 da Girolamo Tarducci.
I costi apparvero sempre eccessivi rispetto alle disponibilità del Comune e quindi i progetti rimasero nel cassetto; eppure dal bottino di Fonte Gaia arrivava nei pozzi e nelle fonti poca acqua malsana, rendendo disastrosa la condizione igienica e sanitaria della popolazione urbana, molto aumentata negli ultimi decenni del XIX secolo.

A causa delle infiltrazioni dei liquami dai pozzi neri, il tifo era diventata una malattia endemica e periodicamente seminava la morte, soprattutto nei quartieri dove giungeva poco più di un rivolo di acqua da sfruttare per tutti gli usi quotidiani.

 

La sorgente Ermicciolo, che scaturisce sul versante nord del Monte Amiata nei pressi de paese di Vivo d'Orcia nel comune di Castiglione d'Orcia a poco più di mille metri su livello del mare, venne indicata per la prime volta come sola capace di risolvere il problema del rifornimento di idrico di Siena nel 1890, dagli ingegneri della Società Italiana di condotte d'acqua di Roma.
Prima che le sue acque purissime venissero convogliate verso Siena, passeranno più di vent'anni, perché gli oltre 60 chilometri che la separavano da Siena per terreni accidentati dal variabile andamento altimetrico, facevano apparire l'acquedotto come un'opera "relativamente grandiosa e tecnicamente non consueta", che avrebbe richiesto un investimento finanziario sproporzionato rispetto alla scarsa popolazione che doveva servire.
Mentre in consiglio comunale e in città si creavano due schieramenti opposti, più attento l'uno alle questioni finanziarie e l'altro a quelle igieniche, si studiavano sistemi meno onerosi per migliorare il rifornimento idrico, ipotizzando anche un maggiore sfruttamento del bottino di Fontebranda. Per qualche anno il Comune oscillò fra queste due posizioni, senza decidere nulla.

Alla fine del 1894 il Consiglio, riaffermando l'assoluta necessità di provvedere Siena di una maggiore quantità di acqua, sollecitava la Giunta a compiere una scelta precisa.

Per acquisire dati certi fu deciso di effettuare analisi scientifiche sulle acque, incaricando il professor Bordoni Uffreduzzi di accertare le caratteristiche di quelle del Vivo e di quelle che sgorgavano attraverso i bottini Fontebranda e Fonte Gaia. Giudizi negativi sulla qualità di queste ultime erano stati spesso ripetuti dagli scienziati, ma grazie all'evoluzione delle tecniche di analisi, l'illustre batteriologo torinese poté stabilire che in ambedue i condotti, ma soprattutto nel secondo esclusivamente destinato all'alimentazione umana, erano presenti molti microorganismi, fra cui il bacillus proteus, derivante dalla putrefazione di sostanze organiche di origine animale, pericoloso per la salute. In sostanza, a causa della scarsa profondità delle gallerie e della permeabilità del terreno circostante "sia l'acqua di Fontebranda come quella di Fonte Gaia non corrispondono ai requisiti che l'igiene richiede per un'acqua potabile, salubre e pura". Al contrario i campioni prelevati alle sorgenti del Vivo "in tubi di vetro saldati alla fiamma" e sottoposti a "4 saggi di culture in gelatina nei tubi alla Esmarch" sia in loco che nel laboratorio batteriologico dell'Ufficio d'Igiene di Torino, risultarono perfettamente sterili e privi assolutamente di microrganismi.

 

Le risorse idriche alternative alle sorgenti del Vivo vennero studiate con particolare attenzione dalla Commissione tecnica composta da tre dei massimi ingegneri idraulici dell'epoca (Giacinto Turazza della Scuola di Ingegneria di Padova, Giovanni Cuppari esperto di idraulica di Pisa e Ettore Paladini del Politecnico di Milano), che nel 1896 fu costituita con l'incarico principale di studiare il progetto della Fonderia del Pignone di Firenze basato sulla captazione dal Vivo. La soluzione proposta comportava infatti una spesa rilevante e il Comune non voleva trascurare la possibilità di raggiungere lo scopo con minore impegno finanziario.
La Commissione, con la collaborazione dell'ingegnere comunale Vincenzo Ciani, prese in esame le risorse idriche di un'area piuttosto vasta, comprendente la provincia di Siena e il territorio confinante con le province limitrofe di Firenze, Pisa, Grosseto e Arezzo. L'analisi delle 18 sorgenti selezionate venne compiuta con il supporto della Carta Idrografica d'Italia e degli studi specialistici svolti in passato, mentre Vincenzo Ciani verificò personalmente ogni sor-gente e torrente, misurando le portate, prelevando campioni e chiedendo informazioni sull'andamento stagionale agli abitanti e soprattutto ai mugnai, che lavoravano nei mulini situati lungo i corsi d'acqua.
Escluse tutte le sorgenti per svariate ragioni, i tecnici avevano studiato il possibile prolungamento degli antichi bottini, essenzialmente del condotto di Fontebranda che, per la maggiore profondità dei cunicoli, già riusciva a raccogliere una maggiore quantità di acqua, pari a 9 litri al secondo.

Si proponeva invece di abbandonare il bottino di Fonte Gaia perché troppo superficiale, quindi più facilmente inquinabile, e con una portata modestissima di soli 2 litri al secondo. Lo studio geologico delle colline plioceniche senesi comprese fra il Chianti e la Montagnola aveva messo in evidenza un importante strato argilloso fuori la Porta Camollia, che conservava le precipitazioni formando un serbatoio sotterraneo che alimentava, a causa delle profonde incisioni del terreno, i torrenti Bozzone, Bolgione, Riluogo e Tressa. Da qui si poteva sperare di captare anche acqua per il bottino di Fontebranda, che sarebbe rimasta comunque di qualità scadente per l'eccessiva durezza, pari a 30 gradi francesi.

 

La Commissione indicò alcune località da sottoporre a verifica per accertare una eventuale disponibilità di acqua ma dopo accurati studi fu ritenuto conveniente orientarsi sulla zona di Marciano, S.Dalmazio e Uopini, verso i torrenti Bolgione e Bozzone e verso Macialla (escludendo però le acque della zona di Scacciapensieri e le Tolfe, dalla durezza intollerabile). Il vecchio condotto avrebbe dovuto essere completamente ristrutturato, soprattutto rivestendo i cunicoli per evitare pericolose infiltrazioni esterne, più probabili a seguito dell'aumento delle coltivazioni agricole. La spesa necessaria per questo intervento sarebbe stata allora quasi simile a quella per la costruzione della condotta dal Vivo, senza garantire peraltro acqua nella medesima quantità abbondante e di ottima qualità. A conclusione dell'indagine la Commissione dichiarò concordemente che per risolvere i problemi idrici di Siena bisognava assicurare alla città almeno 40 litri d'acqua al secondo, e che solo le sorgenti del Monte Amiata avevano una portata adeguata. In particolare la più idonea risultava quella del Vivo, perché situata alla distanza minore dal capoluogo, con un deflusso copioso non condizionato da altri prelievi, di qualità buonissima grazie alle migliori condizioni di altitudine e all'ubicazione in un territorio scarsamente abitato.

 

Mentre si svolgevano tutte queste indagini il Comune decise di rompere gli indugi e il 14 settembre 1895 l'assessore Guido Sarrocchi, insieme ai consiglieri Ercolano Cantini e Remigio Bartalini, sottoscrivevano un compromesso con i conti Cervini, proprietari dei terreni in cui sgorgava la sorgente Ermicciolo. Oggetto dell'acquisto era una porzione di queste acque, pari ai 40 litri al secondo, ritenuti come necessari e sufficienti per la città di Siena. Si trattava all'incirca di un quarto della sua capacità e quindi, considerato il valore dell'intera sorgente in 120.000 lire, corrispondente a 30.000 lire. Tale valutazione venne confermata dalla perizia compiuta nel 1898 dall'ingegnere Vincenzo Ciani e dall'architetto Vittorio Mariani, che valutarono l'uso effettivo di quell'acqua e il danno economico che poteva derivare dal sottrarne anche una parte alle attività dislocate lungo il ripido corso del torrente Vivo. Si trattava di industrie modeste, spesso ad andamento stagionale, che utilizzavano solo parzialmente le effettive potenzialità che la sorgente avrebbe offerto come forza motrice. Le segherie Battistini e Depratti impiegavano ruote a palette piane di tipo antico, cercando di sfruttare l'energia di cadute successive, la Ferriera Franchi (che in realtà era una falegnameria) appariva in pessime condizioni e lavorava saltuariamente, così come il Molino di Campiglio dove si macinavano granturco e castagne; solo un molino da cereali era continuamente in attività, grazie al motore a "ritrecine". Apparivano meno preoccupanti gli effetti sull'attività del mulino di Seggiano che avrebbe potuto utilizzare maggiormente l'acqua del torrente Vetra. In ogni caso il Comune di Siena si impegnava a garantire una sufficiente quantità di acqua almeno alla Ferriera Franchi, e a rifondere i danni alle altre attività. Il compromesso aveva validità di 2 anni, ma in questo periodo non si pervenne a nessun atto concreto.

 

Nell'imminenza della scadenza, l'8 settembre 1897, il sindaco Enrico Falaschi e i conti Cervini ne stipularono un altro. Rispetto al precedente si prevedeva di aumentare il prelievo fino a 60 litri al secondo, che corrispondevano ai 3/7 della sorgente, per il prezzo di L.51.428 (cioè i 3/7 dello stesso valore di L. 120.000 stabilito nel 1895). Il compromesso venne approvato dal Consiglio Comunale il 17 settembre 1897, ma a causa dell'inconcludenza del Comune di Siena e del ritardo con cui i Cervini liberarono il fondo da ipoteche a favore del fondo per il culto, si dovette aspettare ancora un anno per definire l'acquisto definitivo delle sorgenti. Nel dicembre 1898 il Prefetto autorizzò l'operazione e il 4 gennaio 1899 Carlo Cervini e i suoi figli Leopoldo e Alessandro, firmarono presso il notaio Alfredo Ricci il contratto di vendita al sindaco di Siena Enrico Falaschi per Lire 51.428, da saldare entro il 1902.

Anche l'ambiente scientifico si muoveva senza incertezze in questa direzione: l'Ufficiale Sanitario Giorgio Bartali, il 16 maggio 1903, ribadiva in una relazione al Sindaco che l'acqua piovana raccolta in cisterne e pozzi, così come quella dei bottini, erano pericolose per la salute umana, mentre l'acqua del Vivo appariva la migliore fra tutte quelle presenti nel territorio senese. A documentarne con precisione le qualità il prof. Siro Grimaldi, docente di chimica bromatologica dell'Università di Siena e Direttore del Laboratorio Chimico, che nel maggio 1903 effettuò due analisi successive, in base alle quale attestò che "l'acqua del Vivo è chimicamente pura e offre i più invidiabili requisiti richiesti ad un'ottima acqua potabile. [...] L'eccellente acqua del Vivo, che a tutte le buone qualità igieniche unisce una mite temperatura e la grande abbondanza, autorizza a ritenere fortunata la città che ne sarà alimentata."

 

I risultati dell'Analisi

 

Durezza totale

 

grad: francesi 3,7

Durezza permanente

 

grad: francesi 3,3

Residuo secco a 120°

per litro gr. 0,1032

Residuo secco a 180°

 

gr.0,1022

Ossido di potassio

 

gr. 0,0063

Ossido di sodio

 

gr. 0,01645

Ossido di calcio

 

gr. 0,0090

Ossido di magnesio

 

tracce

Ossido di ferro

 

tracce

Anidride fosforica

 

manca

Anidride silicica

 

gr. 0,0439

Anidride solforica

 

gr. 0,0229

Anidride carbonica

 

gr. 0,0019

Cloro

 

gr. 0,0078

Reazione dei nitrati

 

nulla

Reazione dell'ammoniaca

nulla

 

 

La scelta era ormai compiuta ed a confermare il Comune di Siena della sua giustezza, giunse la notizia che anche Firenze progettava di valersi delle acque dell'Armata, dopo aver concluso un compromesso con i conti Sforza Cesarini proprietari delle sorgenti del Fiora. L'altra questione cui prestare la necessaria cura riguardava l'effettiva portata e la continuità del regime della sorgente. Le rilevazioni compiute annualmente dal 1896 al 1899 consentirono di accertare un'oscillazione della portata fra 274 e 151 litri al secondo, in rapporto all'andamento delle piogge e delle nevicate, e l'ingegner Conti, pur continuando a tenere sotto controllo l'andamento stagionale anche dopo l'inizio dei lavori, si dichiarava tranquillo sulle sue potenzialità rispetto alla richiesta di Siena. La quantità di acqua prelevabile per l'acquedotto senese nel 1908 venne aumentata da 60 a 64,7 litri al secondo per far fronte a nuove forniture: le Ferrovie dello Stato avevano chiesto di poterne utilizzare 500 metri cubi al giorno (pari a 5,79 litri al secondo) per le stazioni di Siena e Monte Amiata, mentre i Comuni di Montalcino, Buonconvento e Murlo, posti lungo il tracciato della condotta, ne domandarono rispettivamente sei, due e 1,5 litri al secondo, impegnandosi ad acquistare la loro porzione di acqua dai Cervini e a contribuire alle spese di costruzione. Di fronte a questo incremento l'ingegner Conti progettò maggiori lavori all'edificio di presa per evitare ogni perdita e l'uso di tubi più grandi, di 375 mm e di 250 mm al posto di quelli inizialmente previsti di 350 e di 225 mm. L'adeguamento dell'edificio era in stretto rapporto anche con la qualità dell'acqua, su cui nel giugno 1909 Conti chiese ulteriori analisi complete affidate al prof. Donato Ottolenghi, delegato dal prof. Achille Sciavo, e al prof. Siro Grimaldi. In base agli esami batteriologici sulle tre sorgenti risultò che nella sorgente più a valle si erano sviluppate 131 colonie di batteri e 4 di muffe per centimetro cubo di acqua; in quella più a monte 4 colonie di batteri e molte di muffe e in quella intermedia 18 colonie di batteri e alcune di muffe. Per evitare questo leggero inquinamento, dovuto alle condizioni delle sorgenti esposte agli stillicidi di acqua piovana che trasportavano residui di terra e foglie, era necessario raggiungere per la captazione un punto più profondo all'interno della roccia.
In virtù di qualche intervento successivo ma soprattutto del mutevole andamento stagionale, al momento del collaudo della condotta nel 1922 risultò che dalla sorgente sgorgavano verso Siena 86 litri al secondo per cui, detratti i 16 ceduti nel percorso, ne giungevano in città più di 71.

 

Nell'autunno 1890 la Società Italiana per Condotte d'acqua di Roma, su sollecitazione del Prefetto di Siena e del direttore della Sanità Pubblica Paglioni, cominciò ad elaborare un progetto di massima per realizzare una condotta capace di fornire 30 litri al secondo di acqua potabile a Siena. [...]  Nel 1892 si era fatta avanti la Compagnia inglese dell'Amene, rappresentata dall'ing. Alessandro Pancrazi di Firenze, mentre rimaneva in corso la trattativa con la Società Condotte d'acqua di Roma che nel 1894 si diceva disponibile a consegnare il progetto definitivo al Comune entro 8 mesi dall'affidamento, per una spesa di Lire 2.800.000. Però nell'agosto 1895 entrò in scena la Società Anonima delle Fonderie del Pignone di Firenze che propose al Comune di elaborare un progetto tecnico per la condotta idrica dall'Armata.
L'interlocutore parve stavolta più affidabile e già a settembre 1895 veniva firmata una convenzione nella quale la società si impegnava a presentare entro due mesi un progetto che prevedesse vari tracciati, affidando la direzione degli studi ad un professionista di sua fiducia, l'ingegnere Luciano Conti. Alla metà di novembre giungevano al Comune le proposte preliminari che, per l'allacciamento della sorgente, si rifacevano alle ricerche della Società Condotte d'Acqua, mentre prevedevano sei diversi percorsi.

 

L'esame tecnico del progetto venne affidato nel 1896 alla Commissione tecnica composta dagli ingegneri Turazza, Cuppari e Paladini cui venne richiesto di esprimersi sulla convenienza tecnica delle sorgenti del Vivo, sul tracciato preferibile fra i sei proposti, sulle modifiche che potessero ridurre la spesa, ma anche sul progetto sommario a suo tempo presentato dalla Società per le Condotte d'acqua di Roma. Si attribuiva quindi un ruolo decisivo alla Commissione, le cui elevate competenze tecniche avrebbero assicurato all'amministrazione il parere più autorevole per procedere alla scelta migliore.
Effettivamente le osservazioni formulate risultarono molto meditate, a cominciare da quelle relative all'edificio di presa. Secondo la Commissione per "disturbare il meno possibile lo stato naturale" era necessario costruire solo un semplice un fabbricato intorno alla sorgente per proteggerla dal riscaldamento e dalla mescolanze con altra acqua. Si consigliava anche di sistemare la tubazione almeno ad 1 metro e 70 di profondità, e di costruire ex novo i due ponti per l'attraversamento dei fiumi principali Orcia e Ombrone.

Il ponte esistente sul primo, soggetto a vibrazioni e oscillazioni, non avrebbe potuto garantire la stabilità di una tubatura ad alta pressione, mentre sull'altro rimaneva un piccolo ponte ormai in rovina, in passato utilizzato dalla ferrovia privata di Murlo. Secondo i tre ingegneri appariva preferibile il tracciato indicato con il numero 3, che scendeva dal Vivo alla Stazione Monte Amiata, il dirigendosi poi verso Poggio alle Forche, quindi verso Casciano per raggiungere infine Siena. Questo percorso offriva sufficiente sicurezza di stabilità dei terreni di posa e buone e condizioni di attraversamento di fiumi e fossi ma soprattutto riduceva i pericoli dovuti al notevole dislivello fra il punto di captazione e quello di arrivo, prevedendo un maggiore sviluppo delle tratte in pressione sotto le 10 atmosfere e minore di quelle con pressione superiore, nonché un solo piccolo tratto con pressione superiore a 30 atmosfere.

In base a questi criteri era stato invece giudicato inadeguato il progetto della Società Italiana di condutture d'acqua, perché avrebbe attraversato terreni non idonei e con molti chilometri ad alta pressione. [...].

 

All'inizio del 1908 cominciarono finalmente i lavori per la costruzione dell'acquedotto: il 13 gennaio vennero dati i primi colpi di piccone alla dura roccia trachitica da cui scaturiva la sorgente dell'Ermicciolo per costruire l'edificio di presa, prima da operai direttamente reclutati dal Comune poi da una squadra dell'impresa Marzocchi, vincitrice della gara d'appalto. Altri due gruppi di lavoratori della stessa ditta avviavano il 7 giugno i lavori per la costruzione del ponte sul fiume Orcia e il 2 luglio lo scavo della fossa dove sarebbero stati collocati i tubi. Nel frattempo si erano compiute le procedure di espropriazione dei terreni interessati al progetto situati nel comune di Castiglione d'Orcia, appartenenti a 10 piccoli proprietari e soprattutto, per 2 ettari e mezzo, al conte Alessandro Cervini, che ricevette un indennizzo di 1.000 lire. Ma i lavori proseguivano con eccessiva lentezza e la verifica fatta nei primi mesi del 1909 dalla Commissione Permanente, costituita nell'aprile proprio per esercitare un maggiore controllo sull'andamento della costruzione, evidenziò che l'allacciamento della sorgente erano stati scavati 20.000 metri cubi di roccia arrivando ad una profondità di 13 metri, per il ponte sull'Orcia apparivano quasi ultimate solo le fondazioni, mentre il tratto di fossa scavato fino a luglio raggiungeva i 3 chilometri. L'impresa Marzocchi giustificava il ritardo con l'imprevista consistenza della roccia intorno alla sorgente, che aveva rallentato lo scavo e imposto il ricorso all'uso di esplosivi. Durante la visita effettuata dalla Commissione il 30 giugno 1909, fu verificata effettivamente la particolare complessità dell'opera, assolvendo il Conti da ogni responsabilità. Sciolti i contratti di appalto prima con l'impresa Marzocchi, poi con la Vianini, il Comune assunse la gestione in economia per il completamento dell'edificio di presa che nel giro di qualche mese avanzò molto più rapidamente, grazie allo scavo che aveva raggiunto lo strato impermeabile di sostegno della falda acquifera da cui scaturivano le tre polle della sorgente.[...].

 

[...]. Diverse difficoltà di tipo ambientale incidevano sul prosieguo dei lavori, perché il cantiere era dislocato in una zona impervia e priva di abitazioni, resa ancora più inospitale dalle continue piogge di quell'inverno, che avevano costretto gli operai a lunghe soste sotto le tende da campo.

Lì era problematico anche il trasporto dei materiali, soprattutto dei pesantissimi e delicati tubi di ghisa per i quali ci si affidò inizialmente alla disponibilità di carri colonici. Ma i contadini li potevano mettere a disposizione solo quando non servivano per i lavori poderali, e quindi per avere maggiore autonomia si decise di acquistare direttamente due paia di buoi e varie bestie da soma.
Alla metà del 1910 la condotta era posata per meno di 14 chilometri, anche perché i proprietari dei terreni posti nel comune di Montalcino avevano ostacolato le procedure di esproprio. Era così compiuto solo il tratto iniziale dalla sorgente al fiume Orcia e da qui verso Castelnuovo dell'Abate. Mancava però il ponte, perché l'impresa Marzocchi al giugno 1909, prima di rescindere il contratto, era riuscita a ultimare solo le fondazioni. I lavori erano proceduti con molta difficoltà, segnati dal mortale incidente che era costata la vita all'operaio Giuseppe Pieri, ma anche dalle polemiche giornalistiche sulla cattiva qualità della malta impiegata. Quando i lavori furono ripresi nel 1910, la nuova ditta appaltatrice proseguì la costruzione in cemento armato ma durante i lavori, forando i pilastri con pali di ferro per innestarvi gli altri, trovò le fondamenta impregnate di acqua, tanto che nel gennaio 1911 venne lanciato l'allarme sull'effettiva sicurezza del ponte. Dalle pagine del giornale "Nel Campo di Siena" si sollecitò addirittura di abbandonare il vecchio progetto e costruire il ponte ad una sola arcata senza appoggiarlo a quelle pile, ma subito la Giunta Comunale replicò smentendo risolutamente ci potesse essere pericolo, in quanto il ponte aveva già resistito a diverse piene dell'Orcia. Alla stessa Società per Costruzioni Cementizie di Firenze venne affidata anche la realizzazione della condotta interrata che avrebbe proseguito dopo il ponte, passando al di sotto dei binari della ferrovia all'altezza della vicina Stazione Monte Amiata e quindi altri interventi, come il completamento dei ponti sullo Scodellino e sull'Ansedonia e all'edificio di presa. Intorno alla sorgente tutto si era fermato per alcuni mesi nel 1910, dopodiché erano ripresi i lavori per rafforzare il fronte roccioso, costruire le platee di fondazione e gli incanalamenti provvisori.[...].

 

[...]. Nel corso del 1912 e del 1913 i lavori procedettero con regolarità. Dopo aver definito le procedure per gli espropri dei terreni su tutto il percorso, la condotta completa ad aprile 191 2 superava 31 chilometri, ad ottobre 1912 sfiorava i 50 chilometri, a marzo 1913 toccava i 55 chilometri, a luglio 1913 i 61 chilometri, raggiungendo infine porta San Marco a marzo 1914. Nel corso del 1913, con l'allacciamento dell'ultima sorgente, era praticamente completato l'edificio di presa dell'Ermicciolo, mentre si cominciava ad acquistare una parte di tubi e pezzi speciali per realizzare la rete di distribuzione interna alla città e si procedeva con le espropriazioni per il serbatoio di Vico Alto e per la colonna piezometrica. Sempre in quell'anno venivano portati a termine i ponti in cemento armato sull'Orcia e quello a tre archi sull'Ombrone, mentre risultavano da completare gli attraversamenti dei fossi Donea, Fogna, Sorra e Tressa vicini a Siena ed erano sistemati solo per 45 chilometri i pozzetti, le ventose e gli sfiati liberi. Dopo la lunga attesa e le velenose diatribe in Consiglio e sui giornali, l'arrivo dell'acqua del Vivo avvenne quasi nell'indifferenza dei cittadini, forse preoccupati dai venti di guerra sempre più vicini. Ne parlò solo la "Gazzetta di Siena", che trascurando l'opera instancabile del Falaschi, del Barduzzi, del Bruchi, del Conti e dei tanti che avevano seguito momento per momento la concretizzazione di un opera così decisiva per Siena, fu solo capace di polemizzare con l'ex sindaco Mario Bianchi Bandinelli, accusato di aver fatto spese eccessive. Anzi in un articolo di qualche mese dopo, finì per dare il merito della conclusione dei lavori al commissario prefettizio Cerilli, che aveva disposto di far confluire l'acqua del Vivo nel pozzo di S.Marco, per metterla a disposizione subito degli abitanti del quartiere. Il Comune era infatti affidato ad un commissario, dopo che il sindaco Bianchi Bandinelli si era dimesso, disgustato dalle accuse che ne avevano messo in dubbio la correttezza amministrativa nella gestione dei lavori per l'acquedotto. Per il completamento dell'acquedotto mancava ancora la colonna piezometrica, che venne completata nel 1917, e il serbatoio che fu costruito nel 1926 secondo il progetto più semplice redatto dall'ingegner Mario Vanni. L'edificio sarebbe stato poi distrutto dalle mine dei soldati tedeschi nel luglio 1944 e ricostruito successivamente su progetto dell'ingegner Andrea Mascagni, rifacendosi al disegno originale di Conti.[...].
 

 

Tratto da: "VIVA L'ACQUA DEL VIVO" Ad un secolo dall'inizio dei lavori per l'acquedotto di Siena

 

Catalogo pubblicato in occasione della mostra:

Viva L'Acqua Del Vivo

Ad un secolo dall'inizio dei lavori per l'acquedotto di Siena

 

Promossa da:

Comune di Siena

AATO 6 Ombrone

Acquedotto del Fiora spa

Comune di Castiglione d'Orcia

Associazione "La Diana"

Comunità Montana Amiata Val d'Orcia

 

 

 
   

Operai impegnati nella costruzione della galleria per l'edificio di presa

 

Il laghetto formato dalla sorgente Ermicciolo prima della captazione

 

Il torrente Vivo formato dalla sorgente Ermicciolo

 

Una veduta dell'ambiente scosceso attraversato dall'acquedotto

 

Il complesso sistema di impalcature realizzato per costruire il ponte sull'Orcia

Operai impegnati nella costruzione della galleria per l'edificio di presa

 

Il vigoroso getto della sorgente

 

Il torrente Vivo formato dalla sorgente Ermicciolo

 

Il tracciato della condotta che correva all'interno del ponte sull'Orcia

 

L'alto getto formato dall'acqua che attraversa in condotta forzata il ponte sull'Orcia

 
 

 

Per facilitare il trasporto del materiale scavato alla sorgente venne costruito un binario deacauville

su cui si muovevano i vagoncini

 

Il complesso lavoro di centinatura con legname per costruire la galleria interna dell'edificio di presa.

 

 

La condotta che scende dalla montagna per inserirsi nel ponte sul torrente Scodellino

 

 
   

Lo scavo nella roccia per posare un tratto di tubazione

 

La tubazione dell'acquedotto posata nella fossa

La tubazione dell'acquedotto posata nella fossa

 

In primo piano il rudimentale argano utilizzato per sostenere il peso del tubo.

 
   

Nel cantiere lavorarono oltre 200 operai al giorno, soprattutto manovali e sterratori.