La banca di Siena: Il Monte dei Paschi

   

 

 

   

 

     
 

 

La Repubblica di Siena

 

Le origini di Siena sono incerte: siano comunque stati gli Etruschi o i Galli Senoni i primi organizzatori di un nucleo abitato, furono i Romani che, con la deduzione di una colonia militare, molto probabilmente nella seconda metà del I secolo a.C, dettero vita a una vera e propria città.

La Siena romana, inserita tra i territori degli antichi municipi etruschi di Volterra, di Chiusi e di Arezzo, non raggiunse invero una grande importanza, anche perché piuttosto lontana dalle grandi vie consolari che si diramavano da Roma verso il Nord.
Fu solo nell'alto Medioevo, a partire dall'epoca longobarda, che Siena venne in primo piano tra i centri urbani toscani: l'ampia documentazione rimasta del contrasto che nell'arco di alcuni secoli divise i suoi Vescovi e quelli di Arezzo per i confini delle rispettive diocesi costituisce indubbia testimonianza di una notevole vitalità e di un iniziale slancio espansivo, che potremmo definire anticipatore del futuro spirito comunale.

 

Dopo avere sperimentato l'amministrazione dei Gastaldi longobardi, la Città passò sotto il governo dei Conti franchi e più tardi, sia pure con limitazioni, sotto quello civile dei Vescovi, durante il quale si manifestarono i primi segni del regime autonomo del Comune e dell'espansione nel contado.
Nel 1186 i Senesi ottennero dall'imperatore Federico Barbarossa e da suo figlio Arrigo VI la conferma della loro zecca e della libera elezione dei consoli: questa data viene considerata, giustamente, quella in cui il Comune di Siena ottenne pieno riconoscimento da parte dell'Impero, che esercitava l'alta sovranità sui territori dell'antica Marca di Toscana; ed il diritto di battere moneta allora conseguito, mentre politicamente rappresentò per Siena un simbolo di indipendenza, segnò anche il consolidamento della sua economia che ebbe nei secoli successivi importanza preminente per lo sviluppo sociale e culturale della città.

 

A Siena, anche per l'ostacolo che la scarsità di acqua poneva allo sviluppo delle industrie, fu l'attività mercantile e bancaria che prevalse nel contesto economico.
Nei loro traffici sui mercati europei, i Senesi si trovarono ben presto in aperta concorrenza con i banchieri e i mercanti fiorentini.

Era inevitabile, quindi, che Siena si dovesse urtare con la sua confinante altrettanto potente: e a questo scontro l'impulso di gran lunga prevalente venne proprio dalla volontà delle due repubbliche di decidere con le armi la questione della supremazia commerciale, più che da mire di espansione territoriale.

Le numerose guerre sostenute nella prima metà del secolo XIII tra Firenze guelfa e Siena ghibellina culminarono nella battaglia che si svolse il 4 settembre 1260 a Montaperti, dove l'esercito fiorentino venne annientato da quello senese.

 

La battaglia di Montaperti (4 settembre 1260) in una miniatura di Niccolò di Giovanni Ventura (prima metà XV secolo) Siena Biblioteca Comunale

 

Ma il trionfo di Siena ebbe breve durata, perché l'avvento al trono di Sicilia di Carlo d'Angiò, vincitore nel 1266 di re Manfredi alleato dei ghibellini toscani, segnò la netta ripresa della parte guelfa che, subito riaffermatasi a Firenze, prevalse pochi anni dopo anche a Siena.

 

E da allora, per oltre 80 anni, la Città fu alleata di Firenze, Comune egemone nella Lega Guelfa toscana.

 

L'epoca più feconda per la vita civile senese coincide con il governo dei "Nove" (1287-1355), una magistratura di "gente di mezzo", che non escludeva la collaborazione dei magnati e che dette il massimo impulso alla costruzione di grandiose "fabbriche", come quella del Duomo nuovo, di numerosi palazzi - tra cui quello pubblico - nel caratteristico stile gotico senese, e di gran parte della cerchia muraria: è proprio in questa epoca che la Città venne ad acquistare il suo suggestivo ed inconfondibile aspetto urbanistico.

 

Emblema araldico del Comune di Siena.

Affresco di Ignoto Umbro (inizio sec. XVI).

Siena, collez. Monte dei Paschi


Siena al tempo dei Nove, pur non potendo più aspirare ad una supremazia politica nella regione, vide tuttavia proseguire la prosperità dei suoi banchieri e delle sue case commerciali, anche se il fallimento, nel 1301, della Compagnia dei Bonsignori (la "Gran Tavola") non mancò di far sentire le sue gravi conseguenze sull'economia cittadina. Ma le energie di Siena erano ancora salde (del resto, fallimenti clamorosi si ebbero in quegli anni anche nella vicina Firenze) e fu solo a partire dal 1340 che una serie di eventi perturbatori - le carestie, il primo irrompere delle nefaste compagnie di ventura e, soprattutto, la famosa grande pestilenza del 1348 - potè arrecare un colpo decisivo al più solido governo della storia repubblicana della Città.

 

Attraverso alterne vicende, conobbe ancora tanti momenti di splendore, specie al tempo del pontificato del grande papa umanista Pio II, il senese Enea Silvio Piccolomini, il cui nome resta legato alla edificazione di Pienza, agli ideali generosi della Crociata e, per Siena, ai privilegi concessi al suo antico Studio.

Anche alla fine del XV secolo si verificò in Siena un "esperimento" signorile: quello di Pandolfo Petrucci, patrizio cittadino, che resse le sorti della Repubblica fino al 1512. Durante il suo governo rifiorirono largamente i commerci e risorsero talune industrie che avevano attraversato una fase critica; alla sua morte le lotte interne ripresero, ma esse non impedirono un grande sviluppo culturale, testimoniato anche dall'attività delle Accademie degli Intronati e dei Rozzi.

Siena si avviava ormai al declino della sua libertà politica e, dopo pochi decenni, assalita dalle milizie dell'imperatore Carlo V, perse nel 1555 la sua indipendenza, passando poi, nel 1557, a far parte del dominio di Cosimo I dei Medici, Duca di Firenze.
 

 

Cosimo I De' Medici in armatura, ritratto dal Bronzino

 

Stemma di Casa de' Medici


Quello che per Siena "romana" era stato un fattore di debolezza - la relativa distanza rispetto alle maggiori antiche vie di comunicazione - fu interamente superato per Siena "medievale" con il modificarsi del tessuto viario della Toscana meridionale, conseguente all'impaludamento della Chiana.
La Città, rinvigorita dall'apporto longobardo, venne infatti allora a trovarsi in una posizione stradale favorevolissima, all'incrocio tra la via Francigena o Francesca (asse principale delle comunicazioni fra Roma ed i paesi dell'Europa nord-occidentale) e la strada che muoveva verso Firenze e Bologna. Non si dice certo cosa nuova se si afferma che la vocazione mercantile e bancaria della Città trasse determinante incentivo da questa felice circostanza.
Così come le altre città dell'Italia dei comuni, anche Siena attrasse entro le sue mura le forze più vive del proprio contado: e tra queste, particolare importanza per i futuri sviluppi della vita civile ed economica cittadina ebbero le famiglie che detenevano, a vario titolo, ampi possessi fondiari, comunemente annoverate tra la media e bassa feudalità.

Da questo ceto dotato di elevata potenzialità economica e ben presto assimilato con le famiglie che gravitavano intorno alla curia vescovile (quali i "vicedomini") uscirono le prime grandi casate mercantili senesi.


La famiglia medioevale, infatti, intesa nel senso di ampia consorteria, bene si prestava a una comunione di sforzi, quale appariva necessaria per intraprendere iniziative richiedenti apporti personali e finanziari notevolissimi. E intorno a queste comunioni familiari vennero poi sovente coagulandosi altri contributi, dando così vita alle vere e proprie società in nome collettivo caratteristiche del XIII secolo, mentre è incerta l'evoluzione verso il tipo di società in accomandita: era peraltro possibile a singoli capitalisti limitare il rischio, contribuendo con fondi dati in partecipazione o in deposito.

Solo alcuni esempi: la Compagnia dei Piccolomini, la "Milites et Mercatores Senenses", esistente fin dal 1193; gli Angiolieri, che nella prima metà del '200 giunsero, con Angelerio avo del poeta Cecco, ad essere banchieri della Curia Papale ("campsores Domini Papae"), riscuotendo per conto di questa le decime ecclesiastiche; i Salimbeni, appaltatori delle gabelle dell'Impero, uno dei cui membri, Salimbene, fu in grado - alla vigilia della battaglia di Montaperti - di finanziare larga parte dello sforzo bellico del Comune; e poi i Tolomei, i Gallerani, i Colombini, e nei secoli successivi, gli Spannocchi e i Chigi.

 

 

Stemma Fam. Piccolomini

 

Stemma Fam. Angiolieri

Stemma Fam. Salimbeni

Stemma Fam. Tolomei

Stemma Fam. Gallerani

Stemma Fam. Colombini

Stemma Fam. Chigi

 

     

 

Stemma Fam.Bonsignori

     


La già ricordata "Gran Tavola" dei Bonsignori che, costituita nel 1209 dai membri di questa famiglia, ricchissima di beni in Siena e nel contado, andò poi assorbendo altre energie, fino a trasformarsi nella più grande compagnia bancaria europea del '200, attiva in tutti i centri del potere economico e politico del mondo occidentale. La crisi e il fallimento della Compagnia, tra la fine del XIII secolo e gli inizi del XIV, furono determinati da dissidi tra i soci più che da vere e proprie difficoltà economiche.

Vastissimi furono i traffici intrattenuti dai Senesi con i principali paesi d'Oltralpe, come la Francia, Fiandre, la Germania, l'Inghilterra, gli Stati danubiani.

Assidua fu la presenza dei mercanti banchieri senesi alle famose fiere della Champagne che si svolgevano a Troyes, Provins, Bar-sur-Aube, Lagny e nelle quali essi svilupparono, unitamente alle operazioni più propriamente mercantili, le proprie attività di cambiatori di valuta.
Con l'esercizio del cambio, e dei relativi arbitraggi tra le varie monete correnti, si venne delineando una più specifica attività bancaria.

Tipica espressione ne fu il largo sviluppo della "lettera di cambio", vera propria moneta scritturale che permetteva di effettuare pagamenti nelle più lontane località da parte di chi avesse depositi presso un banchiere in rapporti di corrispondenza con operatori all'estero.

Il cambio e la compravendita erano utilizzati, altresì, per porre in essere veri e propri prestiti con corresponsione di interessi.

 

Le compagnie, attraverso queste attività, vennero in possesso di grosse disponibilità finanziarie, tali da consentire cospicui e lucrosi prestiti ai potentati politici; i minori banchieri - i cosiddetti "Lombardi" - si dedicarono, dal canto loro, al piccolo credito, sovente in concorrenza con gli ebrei, partendo per lo più da una base mercantile.

Con l'inoltrarsi del XIV secolo, nel generale mutamento delle condizioni politiche ed economiche italiane, la città di Siena vide a poco a poco tramontare il suo ruolo di primario rilievo in campo bancario.

Le grandi famiglie che ne avevano determinato la fioritura andavano sempre più orientando il proprio interesse verso gli investimenti nell'agricoltura, mentre altre avevano concentrato la loro attività nei principali centri politici della penisola.
 

 

"Grosso"

senese d'argento

(prima metà del XIII secolo)

 

Fiorino senese d'oro

1340

 

Scudo d'oro della Repubblica di Siena, ritirata a Montalcino

(1558)

 

 

Tuttavia, seppure su di un piano di minor respiro, l'attività creditizia delle Compagnie private di Siena proseguì per secoli: ed anche nella prima metà del '500 sono presenti, in importanti centri commerciali italiani e stranieri, banchieri appartenenti alle famiglie senesi degli Spannocchi, dei Borghesi, dei Colombini, dei Petrucci e dei Piccolomini.
Questa attività continuò, sulla scia della relativa ripresa economica italiana della seconda metà del XVI secolo, anche dopo che Siena fu parte integrante del nuovo Stato granducale toscano, esaurendosi poi nel '600, man mano che l'economia italiana si inoltrava nella lunga fase di recessione e di stagnazione caratteristica di quel periodo.
 

 

 

Madonna della Misericordia e Santi. .

Affresco fatto eseguire nel 1481 dal Magistrato del Monte a ricordo della fondazione (1472) dell'Istituto.

La parte centrale è attribuita a Benvenuto di Giovanni del Guasta (1436-1518); le parti laterali raffiguranti S. Antonio da Padova e la Maddalena (a sinistra). S. Bernardino da Siena e S. Caterina da Siena (a destra)

sono attribuite a Bernardino Fungai (1460-1516). Siena, colle:. Monte dei Paschi.

 

 

 

La fondazione del Monte


La sopravvivenza dell'antica tradizione bancaria cittadina era stata peraltro assicurata nell'ultimo scorcio del Quattrocento soprattutto a seguito di una profonda innovazione, consistente nella introduzione di un orientamento in senso pubblicistico nell'esercizio del credito a Siena.
Alla base di questa determinante svolta si pone la fondazione del "Monte della pietà", il quale, anche perché sorto su di un terreno reso propizio da una esperienza varie volte secolare, potè sviluppare nel suo ambito i germi di una costante e qualificata evoluzione, oltre che di una cospicua espansione.
L'esigenza di concedere prestiti - anche di entità piuttosto modesta - su corresponsione di una garanzia pignoratizia, era ovviamente molto antica. Trattandosi per lo più di operazioni con persone veramente bisognose, appare evidente come l'allora vigente divieto ecclesiastico di richiedere interessi sulle somme di denaro mutuate dovesse valere in questi casi in maniera particolarmente rigorosa: da qui il prevalere delle "condotte", concesse da parte degli organi comunali a prestatori ebrei, i quali ovviamente non erano soggetti ai divieti canonici.

Questo, anche se molti soggetti di religione cristiana si dedicavano a questa attività, usando di norma varie cautele per dissimulare l'autentica natura delle operazioni che compivano.


Comunque, una cosa appariva certa: la notevole onerosità per i bisognosi di questa forma di credito. Ciò spiega il diffondersi in Italia, nella seconda metà del '400, dei Monti di Pietà: istituzioni che si prefiggevano appunto di combattere l'usura in un'epoca (quella del primo Rinascimento) nella quale le sperequazioni del reddito, e, più ancora, del tenore di vita tra le classi sociali, andavano notevolmente accentuandosi.
Furono i Frati Minori Osservanti che si fecero per lo più promotori di queste iniziative, da loro concepite con finalità esclusive di beneficenza.

Tipica era pertanto la gratuità dei prestiti in questo quadro concessi, e conseguente la necessità, per poterli effettuare, che le nuove istituzioni fossero dotate di fondi acquisiti senza onere di corrispettivi.

 

 

Campanello del "Maestrato del Monte", recante lo stemma del Monte dei Paschi,

quello del Provveditore in carica, conte Cosimo Pnnocchieschi d'Elci e la data 1750.

Opera commissionata dai reggitori del Monte a Pavolo Agazzini (sec. XVIII)

Siena, collezione Monte dei Paschi.

 

 

In tale contesto, quindi, risultò del tutto caratteristico per il Monte senese l'essere stato organizzato al di fuori di un qualsiasi intervento diretto, od indiretto, dei Minori Osservanti: l'Istituto fu infatti emanazione soltanto della volontà delle Magistrature repubblicane della Città.

Il 4 marzo 1472 il Consiglio Generale del Comune di Siena, nell'approvare lo statuto della nuova Istituzione, così si esprimeva:

 

 "Considerato quanto honore et laude si attribuisca ad ogni republica ad provedere che le povere o miserabili o bisognose persone ne li loro bisogni et necessità sieno aiutati et subvenuti, et quanto sia ad Dio accepto, desiderando sopra questo fare qualche utile provisione, provviddero et ordinaro che per lo advenire ne la città di Siena sia di continuo il Monte de la Pietà ordinato ecc.".


Mentre le finalità dichiarate della istituzione erano, pertanto, comuni a quelle dei coevi Monti, la natura più strettamente pubblicistica e laica dell'Istituto senese (voluta dalle stesse Magistrature della Repubblica), unitamente alla vocazione bancaria ancora viva nella città, concorsero a differenziarlo in maniera determinante dagli altri, sorti come enti più di carità che di credito. E questo fu un aspetto fondamentale per gli sviluppi che poi ebbe il Monte senese nel trascorrere del tempo.

Per sopperire alle spese di esercizio, era stabilito che i beneficiari dei prestiti corrispondessero un interesse annuo del 7,50%: tasso questo, che, per quei tempi e per quel genere di operazioni, poteva essere considerato molto modesto.
Il Monte ebbe la propria sede, insieme ad altri pubblici uffici, nel Castellare già appartenuto ai Salimbeni, famiglia che aveva svolto un ruolo di primo piano nella vita politica ed economica di Siena nei secoli XIII e XIV e le cui proprietà immobiliari erano state confiscate nel 1419 dalla Repubblica.
 

Il concorso di coloro che domandavano prestiti fu subito larghissimo, e ne seguì uno sviluppo del Monte veramente considerevole: così, ad esempio, per l'esercizio 1483-84 il Monte erogò 7.392 prestiti per 7.500 fiorini. Ma in prosieguo di tempo, la relativa limitatezza della base finanziaria non consentì una adeguata espansione dell'Istituto, e fu questa circostanza, aggravata dalle note vicende politiche della prima metà del Cinquecento con le loro ripercussioni economiche, ad indurre il Governo della Repubblica a rinnovare ai privati l'autorizzazione ad esercitare su larga scala il prestito ad usura.

A parte queste vicende, resta fondamentale il fatto che nel Castellare duecentesco di una delle più potenti famiglie di banchieri e mercanti senesi era stata in quel tempo insediata una pubblica istituzione creditizia, che doveva rappresentare un ruolo ragguardevole per la vita e lo sviluppo di Siena e del suo territorio, e, in un futuro allora remoto, di regioni sempre più numerose in ogni parte d'Italia.

Tale evento venne celebrato, nel 1481, dai reggitori del Monte con un affresco che tuttora si conserva in ottimo stato nella sede dell'Istituto: la Madonna della Misericordia, dipinta da Benvenuto di Giovanni del Guasta.

 

 

 

Salone della Rocca Salimbeni

 


Riforma e potenziamento del Monte

 

La guerra combattuta con eroico ma sfortunato valore da Siena contro le preponderanti forze dell'imperatore Carlo V e del duca Cosimo dei Medici lasciò la città in condizioni di grave depressione. Il nuovo sovrano Cosimo, secondo gli accordi di pace, ottenne lo Stato senese in feudo da Filippo II di Spagna, figlio di Carlo V, e mantenne al nuovo territorio, che si veniva ad aggiungere al Ducato fiorentino, una notevole autonomia amministrativa.
La precaria situazione economica di Siena e la necessità di riorganizzare il nuovo dominio indussero ben presto Cosimo dei Medici ad una serie di interventi legislativi e amministrativi, spesso sollecitati dalle stesse Magistrature senesi.

Tra le istanze da queste avanzate, particolare importanza rivestiva il rafforzamento del Monte Pio, la cui attività aveva inevitabilmente risentito delle vicissitudini attraversate da tutte le strutture ed istituzioni della Repubblica nella prima metà del Cinquecento. In particolare, un adeguato potenziamento del Monte appariva tanto più necessario per dar sollievo alla parte più povera della popolazione di Siena, anche in considerazione della insostituibile funzione costantemente svolta da tale ente per il contenimento del tasso dei prestiti.

 

Cosimo dei Medici, accogliendo le richieste senesi, provvide il 14 ottobre 1568, mediante un suo rescritto, a dettare i criteri per la riforma del Monte della Pietà, impostandone una diversa organizzazione in vista soprattutto della mutata situazione politica.

La volontà dei nuovi ordinatori del Monte si collegò tuttavia con chiaro intendimento agli originari statuti dell'istituzione repubblicana: ciò risulta esplicitamente, tra l'altro, da una delle prime deliberazioni prese dagli Ufficiali preposti all'Istituto, i quali il giorno 11 agosto 1569 decidevano di aumentare l'importo dei crediti stabilito "secundum formam antiquorum et primorum capitulorum Montis...".

Una delle più interessanti innovazioni apportate dalla riforma del 1568 fu certamente l'attribuzione agli Ufficiali preposti al Monte della giurisdizione penale verso soggetti che fossero clienti del Monte stesso o suoi dipendenti. Questa competenza giurisdizionale del Monte Pio limitata appunto originariamente alla procedura penale - i Deputati del Monte potevano giungere fino alla pronuncia di sentenze di morte - fu poi perfezionata ed estesa al campo civile a partire dal 1624.

 

Anche nella riforma del 1568, così come era stato effettuato nel 1472, si ricorse, per l'acquisizione dei fondi necessari alle operazioni del Monte, agli avanzi disponibili di Comunità dello Stato Senese, di Confraternite, di Opere Pie e di Ospedali, che vennero remunerati con la corresponsione di interessi nella misura del 5%.

La sede rimase nei medesimi locali del Castellare Salimbeni ed in questi tuttora si conserva un affresco commissionato nel 1569 al pittore senese Lorenzo Rustici da parte del Magistrato del Monte, a ricordo della riforma intervenuta l'anno precedente.
 

 

 

La Pietà, affresco commissionato dai reggenti del Monte a Lorenzo Rustici

 


Nel corso di un cinquantennio, e cioè fino al 1620, il Monte fu caratterizzato da una progressiva, sintomatica evoluzione che, dal credito pignoratizio, ne orientò l'attività verso operazioni tipicamente di banca. Il rinnovato Monte ebbe ben presto, infatti, per il continuo afflusso dei depositi fruttiferi, larghe disponibilità di capitali.

La limitazione della operatività al credito pignoratizio fu però ben presto superata: si ebbero infatti, sin dai primissimi anni, operazioni a lungo termine non connesse a garanzie reali.

Basti citare al riguardo, a titolo di esempio, alcuni prestiti accordati a imprese per il rinnovo degli impianti ed i crediti concessi all'Università senese ad un tasso del 5%. La più caratteristica forma di credito extra-pignoratizio consentita al Monte a partire dal 1574 - si manifestò, tuttavia, nelle "prestanze" agli allevatori di bestiame della Maremma, attraverso le quali fu data vita, in sostanza, ad autentiche operazioni di credito agrario.

Di queste particolari operazioni, destinate a favorire lo sviluppo zootecnico di quella parte allora tanto depressa del territorio senese, poterono beneficiare coloro che, avendo preso in affìtto l'uso dei pascoli demaniali maremmani, si fossero impegnati ad allevarvi per tutta la durata della locazione (in genere quattro anni) un adeguato numero di scrofe. L'entità dei prestiti veniva commisurata al numero degli animali, e la scadenza doveva coincidere con la fine del contratto di locazione dei pascoli.

 

Nel 1580, poi, venne affidato al Monte (in sostituzione del Banco privato dei Ballati) il suo primo servizio di esattoria, quello dell'Abbondanza di Siena per la riscossione del 5% del valore del grano accertato presso i fornai.

Essendosi presto manifestata una notevole eccedenza di disponibilità, il Governo nel 1574 aveva dato disposizioni all'Istituto di non accettare ulteriormente depositi fruttiferi, ma dopo pochi anni (nel 1583) il Magistrato del Monte domandò al Granduca l'autorizzazione di poter tornare a raccoglierne, al fine di estendere gli impieghi "a persone idonee e con idonea promessa, o di banco o altra buona et idonea da approvarsi dal Magistrato, o sopra pegni equivalenti. .. fino alla somma di scudi 150 per un anno solamente li quali sieno tenuti pagare li meriti a ragione di sei per cento... Pagando il Monte cinque per cento a chi fa tali depositi, per le spese che ci bisognano e per qualche tempo che possono stare otiosi in Cassa".

Neppure questa istanza venne accolta; essa portò tuttavia, in prosieguo di tempo, a una nuova riforma degli statuti, intesa a realizzare un maggior controllo governativo sulla gestione amministrativa, nonché a consentire che venissero effettuati prestiti con garanzia fidejussoria ai coltivatori (oltre che agli allevatori) della Maremma ed alle Comunità dello Stato Senese che necessitassero di approvvigionarsi di grano e di farina.

Venne in tale occasione autorizzata, altresì, la raccolta dei depositi pur senza corresponsione di frutto, e fu stabilito che in caso di occorrenze l'Istituto potesse essere provveduto di capitali da parte della Depositeria Granducale, a valere sugli avanzi delle Comunità.


Queste concessioni si dimostrarono, tuttavia, inadeguate a fronteggiare le necessità pressanti dell'economia cittadina e, pertanto, visto l'esito negativo delle precedenti richieste intese ad estendere e potenziare l'attività bancaria del Monte di Pietà, la Balìa di Siena (il principale organo di governo locale) avanzò istanza per la istituzione, ad integrazione di questo, di "altro Monte" il quale assolvesse le funzioni di vera e propria banca (1619).

Si palesava, infatti, indispensabile che - riprendendo e valorizzando siffatte funzioni già entro certi limiti esercitate dal Monte Pio - si inserisse nel sistema economico senese un organismo dotato di più ampie possibilità operative e di capitali tali da ridare energia all'artigianato, all'agricoltura ed ai traffici allora in stato di persistente ristagno.
 

 

 

Le storie della casta Susanna. Dipinto di Francesco Vanni (1563-1610)

Siena collez. Monte dei Paschi

 


Il Monte non vacabile de' Paschi della Città e Stato di Siena

 

L'aggravarsi delle disagiate condizioni in cui versava l'economia senese, e la considerazione dell'affidamento e del prestigio conseguiti in tanti anni di operoso lavoro dal Monte della Pietà fecero sì che la domanda avanzata dalla Balìa senese fosse finalmente accolta dal Granduca Ferdinando II di Toscana, regnante sotto la tutela della madre Maria Maddalena d'Austria e dell'ava Cristina di Lorena.
Il Governo granducale agì tuttavia con notevole cautela nel soddisfare tali richieste e, sulla base di uno "strumento" tanto prudente quanto originale, addivenne alla costituzione del cosiddetto "Monte non vacabile de' Paschi della Città e Stato di Siena". Per la raccolta dei fondi operativi il Granduca concesse la garanzia dello Stato, vincolando a tale scopo le rendite dei pascoli demaniali della Maremma (i cosiddetti "Paschi", da cui l'Istituto trasse la sua propria denominazione), e cioè una delle più sicure fonti dell'erario granducale, già di pertinenza della cessata Repubblica: e questo fino a un ammontare annuo pari a 10.000 scudi, corrispondente, al tasso del 5%, ad un capitale di dotazione di 200.000 scudi.

La costituzione in garanzia di tali rendite permise il collocamento presso il pubblico di titoli nominativi al 5% del valore unitario di 100 scudi, per un importo globale di 200.000 scudi, equivalente appunto al valore capitale delle rendite vincolate.
 

Formalmente questi titoli (i "Luoghi di Monte") vennero configurati quali quote o "luoghi" delle rendite dei pascoli maremmani, ma tale complessa costruzione, a ben guardare, sostanzialmente non si ridusse che ad una mera finzione giuridica necessaria ad assicurare la legalità canonica (che presupponeva la presenza di un fondo "certo e sicuro") del funzionamento dell'Istituto.

La ricordata garanzia era, infatti, istituzionalmente destinata ad essere più nominale che reale, in quanto nel medesimo "strumento" il Monte ed ogni suo diritto vennero esplicitamente dichiarati, assieme al Magistrato dei Paschi (per le rendite vincolate), "inviolabilmente obbligati a favore dei compratori di detti Luoghi di Monte, e di coloro che in qualsiasi modo li havessero acquistati".

E specialmente, con il massimo rigore, venne assunto da parte dei deputati della Balìa di Siena, a ciò autorizzati, l'impegno di conservare e rilevare indenne il Granduca ed i suoi successori da ogni danno eventuale e consequenziale alla prestazione della garanzia, fino alla somma indicata.

Per il caso che qualche danno il medesimo Granduca avesse dovuto eventualmente risentire per tale cagione, furono espressamente obbligati per la piena reintegrazione:

- tutti gli effetti, cose, persone e diritti, comunque competenti in presente ed in futuro al Monte;
- tutti i sopravanzi del Monte della Pietà;
- tutti i crediti che il Comune di Siena avesse nei confronti dello stesso Monte della Pietà.
Qualora queste garanzie fossero risultate insufficienti, si sarebbero dovuti ritenere obbligati alla rilevazione verso il Granduca

- a complemento - addirittura "le persone e tutti e singoli i beni mobili ed immobili, diritti ed azioni, presenti o avvenire, nonché retrospettivi frutti di tutti e singoli cittadini e gli abitanti della Città e di chiunque altri di diritto e di fatto potessero in detto nome essere obbligati. .., fatta eccezione tuttavia per le sole persone ecclesiastiche e per i beni loro".
Tale sussidiaria obbligazione generale dell'intera cittadinanza senese doveva intendersi "divisa tra i singoli, non solidalmente, ma in rata proporzionale ai beni immobili posseduti, ed in rapporto al criterio della giustizia distributiva".
Anche i membri delle altre Comunità dello Stato Senese (corrispondente all'incirca alle attuali province di Siena e Grosseto) avrebbero potuto fare operazioni col Monte, purché, beninteso, si fossero assoggettati a prestare le medesime garanzie richieste ai cittadini senesi.

 

Il 2 novembre 1624 venne stipulato l'apposito strumento ufficiale e il giorno successivo furono approvati con rescritto sovrano gli "Statuti" o "Capitoli" dell'Istituto, i quali dettavano norme particolareggiate ed appropriate per l'amministrazione del Monte dei Paschi, fissando che ad esso dovesse presiedere un Magistrato (l'attuale Deputazione Amministratrice), composto da otto cittadini appartenenti alla nobiltà e di particolare distinzione per censo, integrità ed esperienza negli affari; nessuno di questi avrebbe dovuto trovarsi nella condizione di "figlio di famiglia", e cioè privo di posizione propria, né essere di età inferiore ai 35 anni.

Lo stesso Magistrato del Monte dei Paschi avrebbe amministrato il Monte di Pietà. Si stabilivano, al contempo, le incompatibilità e si fissava la durata della carica.

Il Magistrato aveva giurisdizione civile e penale per gli affari riguardanti l'Istituto ed il Monte della Pietà.

 

 

 

Il Corteo Storico delle Contrade nel Campo di Siena

in occasione del Palio corso per la venuta del granduca Ferdinando III (18/19 Agosto 1818).

Dipinto di Francesco Nenci (1781-1830) - Siena collez. Monte dei Paschi

 



Nel 1737, con la morte del Granduca Gian Gastone de' Medici, la Toscana passò sotto la dinastia dei Lorena.

I Medici avevano governato lo Stato Senese dal 1557 al 1737 ed il loro nome restò legato in Siena a quello del Monte dei Paschi, che in questo periodo, prima con la riforma del Monte della Pietà e poi con l'entrata in funzione del Monte non vacàbile, venne assumendo le caratteristiche di una grande azienda di credito.
Il nuovo sovrano, Francesco II di Lorena, si interessò ben presto alle sorti dell'Istituto, consentendo (1747) un ulteriore aumento, per un ammontare di 25.000 scudi, del limite di emissione dei "Luoghi di Monte", e rafforzando altresì il controllo statale sull'amministrazione dell'Istituto stesso.

Il suo successore Pietro Leopoldo, poi, dando inizio ad una importantissima serie di riforme, aumentò ancora (1765) di 25.000 scudi la possibilità di emettere "Luoghi di Monte", che fu così portata a 300.000 scudi.
Somme di rilievo vennero successivamente corrisposte dal pubblico erario alla Banca a titolo di prestito, onde consentire sovvenzioni gratuite ad imprenditori che si fossero impegnati ad aumentare la produzione con assorbimento di mano d'opera.

In tal quadro, di particolare rilievo per Siena è il notevole appoggio finanziario dato dal Monte - su precise istruzioni governative - all'opera di bonifica del cosiddetto Pian del Lago, vasta pianura impaludata a pochi chilometri a nord ovest della Città.
L'ingerenza del Governo granducale si fece, intanto, sempre più intensa, mirando a costituire il Monte quale strumento per l'attuazione del vasto piano di riforme ideato da Pietro Leopoldo.
Fra queste ultime, particolarmente importante per l'Istituto, deve essere ricordata l'alienazione, avvenuta nel 1778, dei pascoli demaniali della Maremma, le rendite dei quali erano state in parte vincolate, come si è visto, a garanzia dei portatori dei "Luoghi di Monte".
Nel 1783, poi, un "motu proprio" del Granduca introdusse una modifica ancor più sostanziale nell'organizzazione medesima dell'Istituto, con la fusione in un solo organismo delle due amministrazioni del Monte della Pietà e del Monte dei Paschi, fino ad allora rimaste dotate di una certa autonomia, sia pure prevalentemente formale (tra l'altro, il "Magistrato" che le reggeva era unico).

L'organismo così ristrutturato prese il nome di "Monti Riuniti" (così venne chiamato fino al 1872) e i dipendenti dell'Istituto assunsero la qualifica di impiegati governativi.

 

 

 

Frontespizio del libro del Camarlengo del Monte

raffigurante gli stemmi Lorena (Granduchi di Toscana).

Monte dei Paschi Marsili (Camarlengo in carica) a. 1778/9.

Miniatura di ignoto senese, sec. XVIII

Siena arch. storico Monte dei Paschi

 


Sempre in questi anni, nel quadro generale delle riforme che miravano ad abolire gli ormai anacronistici residui delle strutture pluralistiche di origine medioevale, fu tolta all'Istituto la giurisdizione penale e civile, che passò ai tribunali granducali.

Fu del pari soppresso nel 1784 il Magistrato degli "Otto Signori di Balìa sopra gli ordini del Monte" (organo di vigilanza della Balìa senese sull'andamento del Monte dei Paschi) e venne, quindi, ulteriormente e notevolmente accresciuto il diretto controllo del Governo sulla Banca.

Di particolare rilievo per l'organizzazione amministrativa cittadina fu la costituzione della Comunità Civica di Siena (1786), per effetto della quale tutte antiche istituzioni locali sopravvissute al periodo repubblicano vennero abolite. Siena, che - pur annessa al Granducato di Toscana - aveva mantenuto il vecchio ordinamento amministrativo, perdette, pertanto, il carattere di capoluogo di uno Stato nello Stato per assumere, nell'organico complesso della riforma leopoldina, quello di semplice Comune, nel moderno significato del termine.
La pur benefica ingerenza governativa cessò praticamente con l'assunzione di Pietro Leopoldo al trono imperiale nel 1790.

Il nuovo Granduca Ferdinando III, dopo un breve periodo di governo, venne, com'è noto, spodestato dall'invasione francese.

Le susseguenti vicende della Toscana, con la proclamazione del Regno di Etruria e la successiva annessione all'Impero Francese, e con i gravi sconvolgimenti politici che le accompagnarono, non poterono non influire sull'attività del Monte.

L'Istituto, infatti, dovette limitare in quegli anni la concessione dei prestiti e fu costretto ad elevare il tasso di interesse, mentre, per la scarsità dei fondi, venne momentaneamente abbandonata la vecchia tradizione detta "risoluzione dei Luoghi di Monte" a richiesta degli interessati.

 

Tra il 1830 e il 1840 l'intervento dell'Istituto, tornato rapidamente alla prosperità dei periodi migliori, rese possibile la realizzazione di opere pubbliche, anche di notevole mole.

Nel frattempo il Monte aveva chiesto di istituire in Siena una "Cassa di Risparmio" aggregata.

L'autorizzazione fu concessa con rescritto granducale del 23 agosto 1833, e la nuova "Cassa", che venne organizzata come sezione della Banca, iniziò la sua attività il 4 gennaio 1834.
I fermenti politici del 1848 e gli eventi connessi all'instaurazione del Governo Provvisorio Toscano ed al successivo ritorno del granduca Leopoldo II non poterono scuotere la fiducia meritatamente acquisita dall'Istituto presso il pubblico.

Da questa ulteriore prova, anzi, l'Azienda creditizia uscì rafforzata, perché - superato quel periodo di generale alterazione anche nella vita economica e sociale della regione - i capitali tornarono ad affluire alla Banca senese in misura tale da rendere possibile una riduzione del saggio di interesse.
Tra le varie iniziative prese dal Monte negli anni antecedenti l'Unità, sembra degno di particolare segnalazione l'appoggio concesso alla costruzione della Strada Ferrata Centrale Toscana, destinata a collegare Siena con Empoli, dove passava la Strada Ferrata Leopolda (Firenze - Livorno).
Nel decennio immediatamente precedente l'unione della Toscana al Regno d'Italia, i depositi del Monte raddoppiarono la loro consistenza e, compresi quelli raccolti dalla affiliata Cassa di Risparmio, raggiunsero i 22 milioni di lire, cifra decisamente ragguardevole per quei tempi.

L'Istituto fu quindi in grado, negli anni successivi al 1859, di inserirsi validamente nell'economia della nuova unitaria compagine nazionale con una situazione patrimoniale più che cospicua, oltre che con una struttura operativa consolidata da quasi quattro secoli di positiva esperienza.

 

 

 

Piazza Salimbeni con i palazzi della sede del Monte dei Paschi di Siena.

Da sinistra Palazzo Tantucci, Palazzo Salimbeni e Palazzo Spannocchi

 



Il Monte dei Paschi dopo l'Unità d'Italia
 

Con l'annessione della Toscana al Regno d'Italia e con il conseguente trapasso di poteri, si affacciarono problemi importanti anche per il Monte dei Paschi: primo fra tutti, quello dell'autorità cui dovevano essere demandate le competenze fino ad allora di spettanza del Governo granducale.
Si delineò presto un conflitto di attribuzioni, nel quale assunse un ruolo preminente il Comune di Siena, che già con decreto del 17 agosto 1862 era stato autorizzato ad approvare le delibere della Deputazione Amministratrice del Monte dei Paschi (tale era, dal 1786, la nuova denominazione del Magistrato del Monte) concernenti le variazioni del saggio di interesse: controllo, questo, che precedentemente era stato di competenza sovrana.

Frattanto, con R.D. 14 maggio 1863, in accoglimento di analoga proposta formulata dal Consiglio Comunale, venne abolito il privilegio della nobiltà senese di avere riservati gli impieghi e le cariche presso l'Istituto e, con decreto del 18 giugno dello stesso anno, si dispose che la nomina della Deputazione Amministratrice fosse di spettanza del Comune di Siena, mentre l'assunzione degli impiegati fu successivamente demandata al Prefetto.
Nel 1865 vennero adottate norme per l'ammortamento graduale dei debiti dei mutuatari e fu rimosso ogni residuo delle antiche restrizioni al ricevimento ed alla voltura dei depositi: correlativamente andarono in questa occasione implicitamente, in disuso le dizioni "Luoghi di Monte", nonché "vendite" e "risoluzioni" dei medesimi. Nel 1866, poi, fu consentito l'ampliamento della zona operativa dell'Istituto, la quale venne estesa, indipendentemente dall'obbligo della stipula delle "capitolazioni", a tutte le Comunità della regione Toscana.


Ma l'evento più importante in questo periodo fu senza dubbio l'assunzione da parte del Monte dell'esercizio del Credito Fondiario in tutte le province della Toscana e dell'Umbria, oltre che in quella di Pesaro, a seguito della stipula della Convenzione del 4 ottobre 1865.
Dopo l'unificazione della penisola, si era avvertita infatti, in maniera molto più accentuata che non in precedenza, la necessità di garantire un più consistente sostegno finanziario alla proprietà fondiaria specie per potenziare le strutture economiche dell'agricoltura.
I progetti iniziali prevedevano la creazione di un Istituto privato, appoggiato a un potente gruppo finanziario francese: ma il timore di una eccessiva presenza del capitale estero nella vita del nuovo Stato e, ancor più, la stessa realtà storica italiana che presentava pur sempre una così spiccata differenziazione regionale, imposero una soluzione diversa.

Si preferì, infatti, far ricorso all'esperienza di Istituti non aventi caratteristiche di società per azioni e che già godevano di larga fiducia presso il pubblico dei risparmiatori delle rispettive aree di azione: si era così certi che il nuovo titolo - la cartella fondiaria - che doveva essere emesso per la raccolta dei fondi operativi, avrebbe trovato un più facile mercato, nonostante le indubbie difficoltà presentate dall'economia nazionale impegnata nella delicata fase di trapasso dal pluralismo politico ed amministrativo dell'unità.

Le vicende iniziali del Credito Fondiario risentirono invero di queste incertezze, ma le considerazioni che avevano presieduto alla sua istituzione - il dove far ricorso a organismi preesistenti e solidamente affermati - si rivelarono esatte.

Infatti, pur nelle mutevoli vicissitudini legislative ed economiche del tempo, non si sarebbero mai per le più antiche istituzioni, cui il nuovo compito era stato affidato, quelle gravi crisi che frequentemente colpirono, invece, altri enti - ad impronta gestionale più speculativa - che erano stati del pari incaricati di esercitare tale attività.
Sempre a proposito del Credito Fondiario rilevato come l'ordinamento primitivo (del Monte dei Paschi avesse precorso, in quanto le vano i tempi, i criteri informatori della legge f tale italiana istitutiva di questo strumento Esso prevedeva, infatti, sia la mobilizzazioi garanzia immobiliare (quella concessa sui pa Maremma) mediante l'emissione di special "Luoghi di Monte"), sia una stretta correli operazioni attive (prestanze) e passive (vendil ghi), sempre compiute nell'ambito di quella ranzia immobiliare.

 

 

 

Sala dell'Archivio Storico del Monte dei Paschi di Siena

 


Con decreto del 15 giugno 1870 la Cassa di Risparmio del Monte dei Paschi assunse l'esercizio del Credito Agricolo, altra attività questa, che peraltro l'Istituto già svolgeva, seppure in diversa forma, da secoli. In conseguenza, la Cassa di Risparmio del Monte venne autorizzata all'emissione di speciali titoli di credito pagabili a vista al portatore, denominati "Buoni Agrari".
Questi buoni, che la Banca d'Italia si era impegnata, per convenzione, ad accettare ed a cambiare presso tutte le sue filiali (e che sostanzialmente avevano caratteristiche di "carta moneta"), circolarono largamente in Italia ed incontrarono notevole favore presso il pubblico.

Essi cessarono di avere corso legale con il 31 dicembre 1911, dopo aver raggiunto il loro massimo importo nel 1878 con 1.398.720 lire.
Con la dichiarazione del corso forzoso avvenuta nel 1866, l'Istituto era stato autorizzato ad emettere "Buoni di Cassa" fino all'ammontare di 500.000 lire, in tagli da 100, 50, 25 e 10 lire, e ad un interesse trimestrale dello 0,25%.
I buoni di Cassa, che come quelli del Credito Agricolo ebbero subito vasta diffusione, furono poi ritirati a seguito dell'emanazione della legge bancaria del 30 aprile 1874. Con R.D. 8 dicembre 1872 venne approvato, dopo ampie discussioni cui non mancò l'intervento della Deputazione dell'Istituto, il nuovo Statuto del Monte in sostituzione di quello del 1624.

La Banca (che in tale occasione riprese l'antica denominazione, modificata nel 1783, di Monte dei Paschi di Siena), risultò articolata nelle "aziende" autonome del Monte Pio, della sezione Centrale, della Cassa di Risparmio, del Credito Fondiario e del Credito Agricolo.
Unitamente ad alcune Casse di Risparmio ed ai due Banchi meridionali, il Monte dei Paschi contribuì, nel 1883, alla costituzione del Fondo di garanzia per la "Cassa Nazionale di Assicurazione per gli operai colpiti da infortunio sul lavoro", voluta da Luigi Luzzati.

Questa istituzione, eretta quale persona giuridica con legge 28 marzo 1912, dal 1933 divenne l'unico ente gestore dell'assicurazione infortuni per gli operai dell'industria, quale Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (I.N.A.I.L.).

 

All'intenso sviluppo dell'attività bancaria del Monte dei Paschi si era ben presto accompagnata, sin dalla metà del secolo XIX, la dilatazione della sfera operati va territoriale. Già dal 1841 l'Istituto era stato, infatti, autorizzato a "capitolarsi" con le Comunità del Granducato al di fuori dei confini dell'antico Stato senese e dal 1866 aveva potuto estendere la propria attività a tutte le Comunità della regione, indipendentemente dalla stipula degli strumenti di "capitolazione".

Fra il 1865 e la fine del secolo erano state altresì aperte, quali affiliate alla Cassa di Risparmio del Monte, una dozzina di dipendenze nell'ambito delle province di Siena e Grosseto.
A partire dal 1907 ebbe inizio una ulteriore espansione fuori di queste due province, con l'apertura di un'altra decina di filiali, tra cui quella di Firenze.
Ma il maggiore incremento si ebbe dopo la fine della guerra. Nel breve volgere di cinque anni, tra il 1919 e il 1923, furono aperte un centinaio di filiali e furono assunti vari servizi esattoriali.
Nuovi sportelli pervennero, tra le due guerre mondiali, a seguito dell'assorbimento della Banca del Trasimeno, della Banca dell'Umbria e di altre aziende (come la Banca Marscianese, la Banca di Val di Nievole, la Cassa Rurale di Acquaviva, la Banca Pontremolese Industriale e Commerciale, la Banca di Siena e di Ambra), oltre che dal rilievo di alcune filiali toscane della Banca Agricola Italiana.

 

 

 

Salone della Filiale di Siena, Palazzo Spannocchi

 


Nel 1929, su invito della Banca d'Italia, l'Istituto intervenne nella concentrazione tra Credito Toscano e Banca di Firenze in un nuovo organismo che assunse la denominazione di Banca Toscana, Istituto di credito ordinario con sede in Firenze.

Con il R.D.L. 12 marzo 1936 venne, tra l'altro, definita la natura giuridica del Monte dei Paschi, che fu dichiarato, a conferma della importanza nazionale da esso assunta, Istituto di credito di diritto pubblico. Con successivo decreto del 22 ottobre 1936 fu approvato un nuovo Statuto che sancì, tra l'altro, la fusione nell'Istituto della Cassa di Risparmio e del Monte Pio.

La Banca, ha mantenuto nel tempo l'originario carattere pubblicistico realizzando nelle zone alle quali si è progressivamente estesa, cospicue realizzazioni. A solo titolo di esempio, e per l'area di più antica presenza, i numerosi interventi per la realizzazione di opere pubbliche di fondamentale importanza per la città di Siena ed il suo circondario, e per la migliore viabilità della Toscana; l'assistenza ed il consistente sostegno sempre prestati all'antica Università senese e per la istituzione della Facoltà di Scienze Economiche e Bancarie; il decisivo contributo per la vita ed il potenziamento della prestigiosa Accademia Musicale Chigiana; la creazione del Fondo per lo sviluppo economico delle province di Siena e Grosseto e, per le stesse province, di un Fondo di salvaguardia delle opere d'arte.

 

Nel 1972 fu celebrata la ricorrenza del quinto centenario della fondazione della Banca, con l'intervento del Presidente della Repubblica, il quale ha così attestato l'importanza nazionale dell'evento. In tale occasione, sono stati inaugurati i restauri che, con un impegno di lavoro di estrema cura e delicatezza, hanno recuperato e rimesso in evidenza le antiche strutture degli storici palazzi sede della Banca: il duecentesco Castellare dei Salimbeni in cui il Monte è nato - e dove ha sempre mantenuto la propria Sede - con la sua poderosa torre e la Rocca, e con l'antico Fondaco e la Galleria Peruzziana; il Palazzo Spannocchi, edificato su disegno di Giuliano da Maiano nella seconda metà del XV secolo, per Ambrogio Spannocchi, tesoriere di papa Pio II; ed infine il Palazzo Tantucci, opera di Bartolomeo Neroni detto il Riccio (prima metà del XVI secolo).

 

 

Siena

 




 

Tratto da: Monte dei Paschi di Siena - Cenni Storici - Grafiche AL.SA.BA.