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La banca di Siena: Il Monte dei Paschi |
La Repubblica di Siena
Le origini di Siena sono incerte: siano comunque stati gli Etruschi o i Galli Senoni i primi organizzatori di un nucleo abitato, furono i Romani che, con la deduzione di una colonia militare, molto probabilmente nella seconda metà del I secolo a.C, dettero vita a una vera e propria città.
La Siena romana, inserita tra i territori degli
antichi municipi etruschi di Volterra, di Chiusi e di Arezzo, non
raggiunse invero una grande importanza, anche perché piuttosto lontana
dalle grandi vie consolari che si diramavano da Roma verso il Nord.
Dopo avere sperimentato l'amministrazione dei
Gastaldi longobardi, la Città passò sotto il governo dei Conti franchi e
più tardi, sia pure con limitazioni, sotto quello civile dei Vescovi,
durante il quale si manifestarono i primi segni del regime autonomo del
Comune e dell'espansione nel contado.
A Siena, anche per l'ostacolo che la scarsità di
acqua poneva allo sviluppo delle industrie, fu l'attività mercantile e
bancaria che prevalse nel contesto economico. Era inevitabile, quindi, che Siena si dovesse urtare con la sua confinante altrettanto potente: e a questo scontro l'impulso di gran lunga prevalente venne proprio dalla volontà delle due repubbliche di decidere con le armi la questione della supremazia commerciale, più che da mire di espansione territoriale. Le numerose guerre sostenute nella prima metà del secolo XIII tra Firenze guelfa e Siena ghibellina culminarono nella battaglia che si svolse il 4 settembre 1260 a Montaperti, dove l'esercito fiorentino venne annientato da quello senese.
Ma il trionfo di Siena ebbe breve durata, perché l'avvento al trono di Sicilia di Carlo d'Angiò, vincitore nel 1266 di re Manfredi alleato dei ghibellini toscani, segnò la netta ripresa della parte guelfa che, subito riaffermatasi a Firenze, prevalse pochi anni dopo anche a Siena.
E da allora, per oltre 80 anni, la Città fu alleata di Firenze, Comune egemone nella Lega Guelfa toscana.
L'epoca più feconda per la vita civile senese coincide con il governo dei "Nove" (1287-1355), una magistratura di "gente di mezzo", che non escludeva la collaborazione dei magnati e che dette il massimo impulso alla costruzione di grandiose "fabbriche", come quella del Duomo nuovo, di numerosi palazzi - tra cui quello pubblico - nel caratteristico stile gotico senese, e di gran parte della cerchia muraria: è proprio in questa epoca che la Città venne ad acquistare il suo suggestivo ed inconfondibile aspetto urbanistico.
Attraverso alterne vicende, conobbe ancora tanti momenti di splendore, specie al tempo del pontificato del grande papa umanista Pio II, il senese Enea Silvio Piccolomini, il cui nome resta legato alla edificazione di Pienza, agli ideali generosi della Crociata e, per Siena, ai privilegi concessi al suo antico Studio. Anche alla fine del XV secolo si verificò in Siena un "esperimento" signorile: quello di Pandolfo Petrucci, patrizio cittadino, che resse le sorti della Repubblica fino al 1512. Durante il suo governo rifiorirono largamente i commerci e risorsero talune industrie che avevano attraversato una fase critica; alla sua morte le lotte interne ripresero, ma esse non impedirono un grande sviluppo culturale, testimoniato anche dall'attività delle Accademie degli Intronati e dei Rozzi.
Siena si avviava ormai al declino della sua libertà
politica e, dopo pochi decenni, assalita dalle milizie dell'imperatore
Carlo V, perse nel 1555 la sua indipendenza, passando poi, nel 1557, a
far parte del dominio di Cosimo I dei Medici, Duca di Firenze.
Da questo ceto dotato di elevata potenzialità economica e ben presto assimilato con le famiglie che gravitavano intorno alla curia vescovile (quali i "vicedomini") uscirono le prime grandi casate mercantili senesi.
Solo alcuni esempi: la Compagnia dei Piccolomini, la "Milites et Mercatores Senenses", esistente fin dal 1193; gli Angiolieri, che nella prima metà del '200 giunsero, con Angelerio avo del poeta Cecco, ad essere banchieri della Curia Papale ("campsores Domini Papae"), riscuotendo per conto di questa le decime ecclesiastiche; i Salimbeni, appaltatori delle gabelle dell'Impero, uno dei cui membri, Salimbene, fu in grado - alla vigilia della battaglia di Montaperti - di finanziare larga parte dello sforzo bellico del Comune; e poi i Tolomei, i Gallerani, i Colombini, e nei secoli successivi, gli Spannocchi e i Chigi.
Vastissimi furono i traffici intrattenuti dai Senesi con i principali paesi d'Oltralpe, come la Francia, Fiandre, la Germania, l'Inghilterra, gli Stati danubiani.
Assidua fu la presenza dei mercanti banchieri senesi
alle famose fiere della Champagne che si svolgevano a Troyes, Provins,
Bar-sur-Aube, Lagny e nelle quali essi svilupparono, unitamente alle
operazioni più propriamente mercantili, le proprie attività di
cambiatori di valuta. Tipica espressione ne fu il largo sviluppo della "lettera di cambio", vera propria moneta scritturale che permetteva di effettuare pagamenti nelle più lontane località da parte di chi avesse depositi presso un banchiere in rapporti di corrispondenza con operatori all'estero. Il cambio e la compravendita erano utilizzati, altresì, per porre in essere veri e propri prestiti con corresponsione di interessi.
Le compagnie, attraverso queste attività, vennero in possesso di grosse disponibilità finanziarie, tali da consentire cospicui e lucrosi prestiti ai potentati politici; i minori banchieri - i cosiddetti "Lombardi" - si dedicarono, dal canto loro, al piccolo credito, sovente in concorrenza con gli ebrei, partendo per lo più da una base mercantile. Con l'inoltrarsi del XIV secolo, nel generale mutamento delle condizioni politiche ed economiche italiane, la città di Siena vide a poco a poco tramontare il suo ruolo di primario rilievo in campo bancario.
Le grandi famiglie che ne avevano determinato la
fioritura andavano sempre più orientando il proprio interesse verso gli
investimenti nell'agricoltura, mentre altre avevano concentrato la loro
attività nei principali centri politici della penisola.
Tuttavia, seppure su di un piano di minor respiro,
l'attività creditizia delle Compagnie private di Siena proseguì per
secoli: ed anche nella prima metà del '500 sono presenti, in importanti
centri commerciali italiani e stranieri, banchieri appartenenti alle
famiglie senesi degli Spannocchi, dei Borghesi, dei Colombini, dei
Petrucci e dei Piccolomini.
La fondazione del Monte
Questo, anche se molti soggetti di religione cristiana si dedicavano a questa attività, usando di norma varie cautele per dissimulare l'autentica natura delle operazioni che compivano.
Tipica era pertanto la gratuità dei prestiti in questo quadro concessi, e conseguente la necessità, per poterli effettuare, che le nuove istituzioni fossero dotate di fondi acquisiti senza onere di corrispettivi.
In tale contesto, quindi, risultò del tutto caratteristico per il Monte senese l'essere stato organizzato al di fuori di un qualsiasi intervento diretto, od indiretto, dei Minori Osservanti: l'Istituto fu infatti emanazione soltanto della volontà delle Magistrature repubblicane della Città. Il 4 marzo 1472 il Consiglio Generale del Comune di Siena, nell'approvare lo statuto della nuova Istituzione, così si esprimeva:
"Considerato quanto honore et laude si attribuisca ad ogni republica ad provedere che le povere o miserabili o bisognose persone ne li loro bisogni et necessità sieno aiutati et subvenuti, et quanto sia ad Dio accepto, desiderando sopra questo fare qualche utile provisione, provviddero et ordinaro che per lo advenire ne la città di Siena sia di continuo il Monte de la Pietà ordinato ecc.".
Per sopperire alle spese di esercizio, era stabilito
che i beneficiari dei prestiti corrispondessero un interesse annuo del
7,50%: tasso questo, che, per quei tempi e per quel genere di
operazioni, poteva essere considerato molto modesto. Il concorso di coloro che domandavano prestiti fu subito larghissimo, e ne seguì uno sviluppo del Monte veramente considerevole: così, ad esempio, per l'esercizio 1483-84 il Monte erogò 7.392 prestiti per 7.500 fiorini. Ma in prosieguo di tempo, la relativa limitatezza della base finanziaria non consentì una adeguata espansione dell'Istituto, e fu questa circostanza, aggravata dalle note vicende politiche della prima metà del Cinquecento con le loro ripercussioni economiche, ad indurre il Governo della Repubblica a rinnovare ai privati l'autorizzazione ad esercitare su larga scala il prestito ad usura. A parte queste vicende, resta fondamentale il fatto che nel Castellare duecentesco di una delle più potenti famiglie di banchieri e mercanti senesi era stata in quel tempo insediata una pubblica istituzione creditizia, che doveva rappresentare un ruolo ragguardevole per la vita e lo sviluppo di Siena e del suo territorio, e, in un futuro allora remoto, di regioni sempre più numerose in ogni parte d'Italia.
Tale evento venne celebrato, nel 1481, dai reggitori
del Monte con un affresco che tuttora si conserva in ottimo stato nella
sede dell'Istituto: la Madonna della Misericordia, dipinta da Benvenuto
di Giovanni del Guasta.
La guerra combattuta con eroico ma sfortunato valore
da Siena contro le preponderanti forze dell'imperatore Carlo V e del
duca Cosimo dei Medici lasciò la città in condizioni di grave
depressione. Il nuovo sovrano Cosimo, secondo gli accordi di pace,
ottenne lo Stato senese in feudo da Filippo II di Spagna, figlio di
Carlo V, e mantenne al nuovo territorio, che si veniva ad aggiungere al
Ducato fiorentino, una notevole autonomia amministrativa. Tra le istanze da queste avanzate, particolare importanza rivestiva il rafforzamento del Monte Pio, la cui attività aveva inevitabilmente risentito delle vicissitudini attraversate da tutte le strutture ed istituzioni della Repubblica nella prima metà del Cinquecento. In particolare, un adeguato potenziamento del Monte appariva tanto più necessario per dar sollievo alla parte più povera della popolazione di Siena, anche in considerazione della insostituibile funzione costantemente svolta da tale ente per il contenimento del tasso dei prestiti.
Cosimo dei Medici, accogliendo le richieste senesi, provvide il 14 ottobre 1568, mediante un suo rescritto, a dettare i criteri per la riforma del Monte della Pietà, impostandone una diversa organizzazione in vista soprattutto della mutata situazione politica. La volontà dei nuovi ordinatori del Monte si collegò tuttavia con chiaro intendimento agli originari statuti dell'istituzione repubblicana: ciò risulta esplicitamente, tra l'altro, da una delle prime deliberazioni prese dagli Ufficiali preposti all'Istituto, i quali il giorno 11 agosto 1569 decidevano di aumentare l'importo dei crediti stabilito "secundum formam antiquorum et primorum capitulorum Montis...". Una delle più interessanti innovazioni apportate dalla riforma del 1568 fu certamente l'attribuzione agli Ufficiali preposti al Monte della giurisdizione penale verso soggetti che fossero clienti del Monte stesso o suoi dipendenti. Questa competenza giurisdizionale del Monte Pio limitata appunto originariamente alla procedura penale - i Deputati del Monte potevano giungere fino alla pronuncia di sentenze di morte - fu poi perfezionata ed estesa al campo civile a partire dal 1624.
Anche nella riforma del 1568, così come era stato effettuato nel 1472, si ricorse, per l'acquisizione dei fondi necessari alle operazioni del Monte, agli avanzi disponibili di Comunità dello Stato Senese, di Confraternite, di Opere Pie e di Ospedali, che vennero remunerati con la corresponsione di interessi nella misura del 5%.
La sede rimase nei medesimi locali del Castellare
Salimbeni ed in questi tuttora si conserva un affresco commissionato nel
1569 al pittore senese Lorenzo Rustici da parte del Magistrato del
Monte, a ricordo della riforma intervenuta l'anno precedente.
La limitazione della operatività al credito pignoratizio fu però ben presto superata: si ebbero infatti, sin dai primissimi anni, operazioni a lungo termine non connesse a garanzie reali. Basti citare al riguardo, a titolo di esempio, alcuni prestiti accordati a imprese per il rinnovo degli impianti ed i crediti concessi all'Università senese ad un tasso del 5%. La più caratteristica forma di credito extra-pignoratizio consentita al Monte a partire dal 1574 - si manifestò, tuttavia, nelle "prestanze" agli allevatori di bestiame della Maremma, attraverso le quali fu data vita, in sostanza, ad autentiche operazioni di credito agrario. Di queste particolari operazioni, destinate a favorire lo sviluppo zootecnico di quella parte allora tanto depressa del territorio senese, poterono beneficiare coloro che, avendo preso in affìtto l'uso dei pascoli demaniali maremmani, si fossero impegnati ad allevarvi per tutta la durata della locazione (in genere quattro anni) un adeguato numero di scrofe. L'entità dei prestiti veniva commisurata al numero degli animali, e la scadenza doveva coincidere con la fine del contratto di locazione dei pascoli.
Nel 1580, poi, venne affidato al Monte (in sostituzione del Banco privato dei Ballati) il suo primo servizio di esattoria, quello dell'Abbondanza di Siena per la riscossione del 5% del valore del grano accertato presso i fornai. Essendosi presto manifestata una notevole eccedenza di disponibilità, il Governo nel 1574 aveva dato disposizioni all'Istituto di non accettare ulteriormente depositi fruttiferi, ma dopo pochi anni (nel 1583) il Magistrato del Monte domandò al Granduca l'autorizzazione di poter tornare a raccoglierne, al fine di estendere gli impieghi "a persone idonee e con idonea promessa, o di banco o altra buona et idonea da approvarsi dal Magistrato, o sopra pegni equivalenti. .. fino alla somma di scudi 150 per un anno solamente li quali sieno tenuti pagare li meriti a ragione di sei per cento... Pagando il Monte cinque per cento a chi fa tali depositi, per le spese che ci bisognano e per qualche tempo che possono stare otiosi in Cassa". Neppure questa istanza venne accolta; essa portò tuttavia, in prosieguo di tempo, a una nuova riforma degli statuti, intesa a realizzare un maggior controllo governativo sulla gestione amministrativa, nonché a consentire che venissero effettuati prestiti con garanzia fidejussoria ai coltivatori (oltre che agli allevatori) della Maremma ed alle Comunità dello Stato Senese che necessitassero di approvvigionarsi di grano e di farina. Venne in tale occasione autorizzata, altresì, la raccolta dei depositi pur senza corresponsione di frutto, e fu stabilito che in caso di occorrenze l'Istituto potesse essere provveduto di capitali da parte della Depositeria Granducale, a valere sugli avanzi delle Comunità.
Si palesava, infatti, indispensabile che -
riprendendo e valorizzando siffatte funzioni già entro certi limiti
esercitate dal Monte Pio - si inserisse nel sistema economico senese un
organismo dotato di più ampie possibilità operative e di capitali tali
da ridare energia all'artigianato, all'agricoltura ed ai traffici allora
in stato di persistente ristagno.
L'aggravarsi delle disagiate condizioni in cui
versava l'economia senese, e la considerazione dell'affidamento e del
prestigio conseguiti in tanti anni di operoso lavoro dal Monte della
Pietà fecero sì che la domanda avanzata dalla Balìa senese fosse
finalmente accolta dal Granduca Ferdinando II di Toscana, regnante sotto
la tutela della madre Maria Maddalena d'Austria e dell'ava Cristina di
Lorena.
La costituzione in garanzia di tali rendite permise
il collocamento presso il pubblico di titoli nominativi al 5% del valore
unitario di 100 scudi, per un importo globale di 200.000 scudi,
equivalente appunto al valore capitale delle rendite vincolate. Formalmente questi titoli (i "Luoghi di Monte") vennero configurati quali quote o "luoghi" delle rendite dei pascoli maremmani, ma tale complessa costruzione, a ben guardare, sostanzialmente non si ridusse che ad una mera finzione giuridica necessaria ad assicurare la legalità canonica (che presupponeva la presenza di un fondo "certo e sicuro") del funzionamento dell'Istituto. La ricordata garanzia era, infatti, istituzionalmente destinata ad essere più nominale che reale, in quanto nel medesimo "strumento" il Monte ed ogni suo diritto vennero esplicitamente dichiarati, assieme al Magistrato dei Paschi (per le rendite vincolate), "inviolabilmente obbligati a favore dei compratori di detti Luoghi di Monte, e di coloro che in qualsiasi modo li havessero acquistati". E specialmente, con il massimo rigore, venne assunto da parte dei deputati della Balìa di Siena, a ciò autorizzati, l'impegno di conservare e rilevare indenne il Granduca ed i suoi successori da ogni danno eventuale e consequenziale alla prestazione della garanzia, fino alla somma indicata. Per il caso che qualche danno il medesimo Granduca avesse dovuto eventualmente risentire per tale cagione, furono espressamente obbligati per la piena reintegrazione:
- tutti gli effetti, cose, persone e diritti,
comunque competenti in presente ed in futuro al Monte;
- a complemento - addirittura "le persone e tutti
e singoli i beni mobili ed immobili, diritti ed azioni, presenti o
avvenire, nonché retrospettivi frutti di tutti e singoli cittadini e gli
abitanti della Città e di chiunque altri di diritto e di fatto potessero
in detto nome essere obbligati. .., fatta eccezione tuttavia per le sole
persone ecclesiastiche e per i beni loro".
Il 2 novembre 1624 venne stipulato l'apposito strumento ufficiale e il giorno successivo furono approvati con rescritto sovrano gli "Statuti" o "Capitoli" dell'Istituto, i quali dettavano norme particolareggiate ed appropriate per l'amministrazione del Monte dei Paschi, fissando che ad esso dovesse presiedere un Magistrato (l'attuale Deputazione Amministratrice), composto da otto cittadini appartenenti alla nobiltà e di particolare distinzione per censo, integrità ed esperienza negli affari; nessuno di questi avrebbe dovuto trovarsi nella condizione di "figlio di famiglia", e cioè privo di posizione propria, né essere di età inferiore ai 35 anni. Lo stesso Magistrato del Monte dei Paschi avrebbe amministrato il Monte di Pietà. Si stabilivano, al contempo, le incompatibilità e si fissava la durata della carica.
Il Magistrato aveva giurisdizione civile e penale per
gli affari riguardanti l'Istituto ed il Monte della Pietà.
I Medici avevano governato lo Stato Senese dal 1557
al 1737 ed il loro nome restò legato in Siena a quello del Monte dei
Paschi, che in questo periodo, prima con la riforma del Monte della
Pietà e poi con l'entrata in funzione del Monte non vacàbile, venne
assumendo le caratteristiche di una grande azienda di credito.
Il suo successore Pietro Leopoldo, poi, dando inizio
ad una importantissima serie di riforme, aumentò ancora (1765) di 25.000
scudi la possibilità di emettere "Luoghi di Monte", che fu così portata
a 300.000 scudi.
In tal quadro, di particolare rilievo per Siena è il
notevole appoggio finanziario dato dal Monte - su precise istruzioni
governative - all'opera di bonifica del cosiddetto Pian del Lago, vasta
pianura impaludata a pochi chilometri a nord ovest della Città. L'organismo così ristrutturato prese il nome di "Monti Riuniti" (così venne chiamato fino al 1872) e i dipendenti dell'Istituto assunsero la qualifica di impiegati governativi.
Fu del pari soppresso nel 1784 il Magistrato degli "Otto Signori di Balìa sopra gli ordini del Monte" (organo di vigilanza della Balìa senese sull'andamento del Monte dei Paschi) e venne, quindi, ulteriormente e notevolmente accresciuto il diretto controllo del Governo sulla Banca.
Di particolare rilievo per l'organizzazione
amministrativa cittadina fu la costituzione della Comunità Civica di
Siena (1786), per effetto della quale tutte antiche istituzioni locali
sopravvissute al periodo repubblicano vennero abolite. Siena, che - pur
annessa al Granducato di Toscana - aveva mantenuto il vecchio
ordinamento amministrativo, perdette, pertanto, il carattere di
capoluogo di uno Stato nello Stato per assumere, nell'organico complesso
della riforma leopoldina, quello di semplice Comune, nel moderno
significato del termine. Il nuovo Granduca Ferdinando III, dopo un breve periodo di governo, venne, com'è noto, spodestato dall'invasione francese. Le susseguenti vicende della Toscana, con la proclamazione del Regno di Etruria e la successiva annessione all'Impero Francese, e con i gravi sconvolgimenti politici che le accompagnarono, non poterono non influire sull'attività del Monte. L'Istituto, infatti, dovette limitare in quegli anni la concessione dei prestiti e fu costretto ad elevare il tasso di interesse, mentre, per la scarsità dei fondi, venne momentaneamente abbandonata la vecchia tradizione detta "risoluzione dei Luoghi di Monte" a richiesta degli interessati.
Tra il 1830 e il 1840 l'intervento dell'Istituto, tornato rapidamente alla prosperità dei periodi migliori, rese possibile la realizzazione di opere pubbliche, anche di notevole mole. Nel frattempo il Monte aveva chiesto di istituire in Siena una "Cassa di Risparmio" aggregata.
L'autorizzazione fu concessa con rescritto granducale
del 23 agosto 1833, e la nuova "Cassa", che venne organizzata come
sezione della Banca, iniziò la sua attività il 4 gennaio 1834.
Da questa ulteriore prova, anzi, l'Azienda creditizia
uscì rafforzata, perché - superato quel periodo di generale alterazione
anche nella vita economica e sociale della regione - i capitali
tornarono ad affluire alla Banca senese in misura tale da rendere
possibile una riduzione del saggio di interesse.
L'Istituto fu quindi in grado, negli anni successivi
al 1859, di inserirsi validamente nell'economia della nuova unitaria
compagine nazionale con una situazione patrimoniale più che cospicua,
oltre che con una struttura operativa consolidata da quasi quattro
secoli di positiva esperienza.
Con l'annessione della Toscana al Regno d'Italia e
con il conseguente trapasso di poteri, si affacciarono problemi
importanti anche per il Monte dei Paschi: primo fra tutti, quello
dell'autorità cui dovevano essere demandate le competenze fino ad allora
di spettanza del Governo granducale.
Frattanto, con R.D. 14 maggio 1863, in accoglimento
di analoga proposta formulata dal Consiglio Comunale, venne abolito il
privilegio della nobiltà senese di avere riservati gli impieghi e le
cariche presso l'Istituto e, con decreto del 18 giugno dello stesso
anno, si dispose che la nomina della Deputazione Amministratrice fosse
di spettanza del Comune di Siena, mentre l'assunzione degli impiegati fu
successivamente demandata al Prefetto.
Si preferì, infatti, far ricorso all'esperienza di Istituti non aventi caratteristiche di società per azioni e che già godevano di larga fiducia presso il pubblico dei risparmiatori delle rispettive aree di azione: si era così certi che il nuovo titolo - la cartella fondiaria - che doveva essere emesso per la raccolta dei fondi operativi, avrebbe trovato un più facile mercato, nonostante le indubbie difficoltà presentate dall'economia nazionale impegnata nella delicata fase di trapasso dal pluralismo politico ed amministrativo dell'unità. Le vicende iniziali del Credito Fondiario risentirono invero di queste incertezze, ma le considerazioni che avevano presieduto alla sua istituzione - il dove far ricorso a organismi preesistenti e solidamente affermati - si rivelarono esatte.
Infatti, pur nelle mutevoli vicissitudini legislative
ed economiche del tempo, non si sarebbero mai per le più antiche
istituzioni, cui il nuovo compito era stato affidato, quelle gravi crisi
che frequentemente colpirono, invece, altri enti - ad impronta
gestionale più speculativa - che erano stati del pari incaricati di
esercitare tale attività.
Essi cessarono di avere corso legale con il 31
dicembre 1911, dopo aver raggiunto il loro massimo importo nel 1878 con
1.398.720 lire.
La Banca (che in tale occasione riprese l'antica
denominazione, modificata nel 1783, di Monte dei Paschi di Siena),
risultò articolata nelle "aziende" autonome del Monte Pio, della sezione
Centrale, della Cassa di Risparmio, del Credito Fondiario e del Credito
Agricolo. Questa istituzione, eretta quale persona giuridica con legge 28 marzo 1912, dal 1933 divenne l'unico ente gestore dell'assicurazione infortuni per gli operai dell'industria, quale Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (I.N.A.I.L.).
All'intenso sviluppo dell'attività bancaria del Monte dei Paschi si era ben presto accompagnata, sin dalla metà del secolo XIX, la dilatazione della sfera operati va territoriale. Già dal 1841 l'Istituto era stato, infatti, autorizzato a "capitolarsi" con le Comunità del Granducato al di fuori dei confini dell'antico Stato senese e dal 1866 aveva potuto estendere la propria attività a tutte le Comunità della regione, indipendentemente dalla stipula degli strumenti di "capitolazione".
Fra il 1865 e la fine del secolo erano state altresì
aperte, quali affiliate alla Cassa di Risparmio del Monte, una dozzina
di dipendenze nell'ambito delle province di Siena e Grosseto.
Con il R.D.L. 12 marzo 1936 venne, tra l'altro, definita la natura giuridica del Monte dei Paschi, che fu dichiarato, a conferma della importanza nazionale da esso assunta, Istituto di credito di diritto pubblico. Con successivo decreto del 22 ottobre 1936 fu approvato un nuovo Statuto che sancì, tra l'altro, la fusione nell'Istituto della Cassa di Risparmio e del Monte Pio. La Banca, ha mantenuto nel tempo l'originario carattere pubblicistico realizzando nelle zone alle quali si è progressivamente estesa, cospicue realizzazioni. A solo titolo di esempio, e per l'area di più antica presenza, i numerosi interventi per la realizzazione di opere pubbliche di fondamentale importanza per la città di Siena ed il suo circondario, e per la migliore viabilità della Toscana; l'assistenza ed il consistente sostegno sempre prestati all'antica Università senese e per la istituzione della Facoltà di Scienze Economiche e Bancarie; il decisivo contributo per la vita ed il potenziamento della prestigiosa Accademia Musicale Chigiana; la creazione del Fondo per lo sviluppo economico delle province di Siena e Grosseto e, per le stesse province, di un Fondo di salvaguardia delle opere d'arte.
Nel 1972 fu celebrata la ricorrenza del quinto
centenario della fondazione della Banca, con l'intervento del Presidente
della Repubblica, il quale ha così attestato l'importanza nazionale
dell'evento. In tale occasione, sono stati inaugurati i restauri che,
con un impegno di lavoro di estrema cura e delicatezza, hanno recuperato
e rimesso in evidenza le antiche strutture degli storici palazzi sede
della Banca: il duecentesco Castellare dei Salimbeni in cui il Monte è
nato - e dove ha sempre mantenuto la propria Sede - con la sua poderosa
torre e la Rocca, e con l'antico Fondaco e la Galleria Peruzziana; il
Palazzo Spannocchi, edificato su disegno di Giuliano da Maiano nella
seconda metà del XV secolo, per Ambrogio Spannocchi, tesoriere di papa
Pio II; ed infine il Palazzo Tantucci, opera di Bartolomeo Neroni detto
il Riccio (prima metà del XVI secolo).
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