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Si vede subito se uno è di buona famiglia, tanto da vantare un avo effigiato nel "Buon governo" affrescato da Ambrogio Lorenzetti nel Palazzo Pubblico a Siena. Distinto, impeccabilmente vestito di nero, con un'elegante sciarpa bianca: altro che certi colossi stranieri, goffi e torpidi, con la ciccia che casca da tutte le parti! Il nostro elegantone, invece, ha l'occhio vispo, le guance asciutte, le orecchie attente, il collo slanciato. Anche la coda, col suo civettuolo fiocco di setole, conferma che si tratta d'un vero signore, un "dandy" della buona società suina: e non è un caso che tanti buongustai si facciano in quattro per averlo a tavola (anche se non esattamente per la brillante conversazione). Stiamo parlando del suino della Cinta, antica e pregiata razza originaria del senese, diffusasi in passato dal Chianti e dalla Montagnola nelle province confinanti - Arezzo, Firenze e Grosseto - sino a raggiungere, varcati i confini regionali, quelle di Perugia e Terni. Scongiurato il rischio d'estinzione, grazie anche all'azione di tutela della Regione Toscana, prospera oggi in un limitato numero d'allevamenti delle province di Siena, Firenze. Grosseto e Prato. Il nome deriva dalla fascia bianca che le cinge spalle e torace, estendendosi agli arti anteriori, in contrasto col manto color nero ardesia. Il maschio, alto al garrese circa 90 cm, può raggiungere i 210 kg; la femmina, alta 82, arriva a 180.
Razza di notevole fecondità (due parti l'anno, con
nidiate di 7-8 maialini nelle primipare e 9-10 nelle adulte), il
temperamento vivace ed energico la rende idonea al pascolo in terreno
brado, dove si ciba di ghiande, castagne, funghi e tartufi, e in ogni
caso all'allevamento all'aperto (a differenza di tanti poveri suini
padani, stipati in fetidi capannoni): ciò, se rende più costoso
crescerla, ne fa prelibate le carni, da cui si ricavano salumi e
insaccati impareggiabili. Ottenuto da esemplari macellati fra i 12 e i 15 mesi, è salato a mano e adagiato su assi di legno, indi dissalato mediante spazzolatura, fatto riposare alquanto in cella frigorifera, pepato e stagionato, su tipiche impalcature di legno, per 18 mesi circa.
Insaccato in budello naturale di maiale o di manzo,
il salame di Cinta, gustato, se piccolo, dopo brevissima stagionatura
(non più di 20 giorni), conserva intatta la fragranza dell'aglio che,
con vino, sale, pepe in grani e un po' di zucchero, è servito a
condirlo: se invece è più grande, sino a 2 kg di peso, al quarto mese di
stagionatura sarà stato amorevolmente massaggiato con grasso
semilavorato, onde garantire un invecchiamento più lungo (anche sino a
un anno) che rende più prezioso e raffinato il sapore. Oltre che gustando gl'inarrivabili salami chiantigiani, bagnati di buon vino rosso, profumati d'aglio e di spezie (cannella, chiodo di garofano, coriandolo, noce moscata e via dicendo), legati a mano e confezionati in rete di canapa, lo capirete prima annusando e quindi assaggiando il capocollo, o finocchiata, condito con sale, pepe e aromi, confezionato a mano in rete o in carta-paglia (quella che una volta si chiamava "carta gialla" e serviva in casa per scolare il fritto) e stagionato per un mesetto o due. Oppure assaporando il pregiatissimo lombo senese (detto anche lonzino o arista stagionata), confezionato nella tipica "carta bianca", e la genuina spalla chiantigiana, lavorata come il prosciutto in pezzature dai 5 ai 10 kg. dalla carne consistente ma tenera che dal rosa sfuma nel rosso intenso.
Senza dimenticare, per finire, il generoso zampone
chiantigiano, che regge senza batter ciglio il confronto con quelli
emiliani, fatto di parti della testa, cotenne e grasso macinati
grossolanamente, conditi con sale, pepe, aromi e insaccati nella pelle
della zampa disossata. La produzione avviene da novembre a gennaio, in
modo da poterselo gustare lesso, per Capodanno, con beneauguranti
lenticchie. |
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