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Continuando il nostro viaggio, [...] presto giunsemo a Bettolle che non è distante da Asinalunga, se non quattro miglia. Bettolle era in origine un villaggio con una Fattoria della Religione Equestre di S. Stefano, ampia ed importantissima tenuta sì per la rendita, che per le fabbriche, le colmate, le arginature, ed incanalamenti delle acque. Or ciò, che fu Villaggio è divenuto Castello, e le fabbriche e la popolazione intorno ad un sì ricco suolo van sempre estendendosi.
Intanto nel gruppo di case, che or
formano questo Castello, vivono circa 500 anime. Popolatissima poi è la
campagna piena di case rurali tutte comode, e ben costruite,
distinguendosi sopra le altre quelle che appartengono alla Religione di
S. Stefano, nella fabbrica delle quali sono stati spesi almeno 3.000
scudi per ciascuna ond'è ch'esse pajo-no anzi ville, che case di
contadini.
Visione confermata più o meno negli stessi anni da Giuseppe Giuli, professore di storia naturale all'Università di Siena, secondo il quale la Valdichiana «bella e classica provincia della Toscana, [... è la prima classe] per l'abbondanza dei prodotti, come per la squisitezza di essi». Le immagini evocate, unite all'analisi delle vicende storiche riguardanti la Valdichiana, che pur in maniera sintetica abbiamo cercato di ripercorrere, sono a nostro parere la conferma che la forma costruita di questo territorio è il prodotto di un'intensa stratificazione storica che risale lontano nel tempo, ma i cui caratteri e connotazioni d'impianto, ancora oggi determinanti, si devono al processo di colonizzazione territoriale operato in nuove forme produttive dall'aristocrazia settecentesca. In Valdichiana questo processo di "urbanizzazione delle campagne", che ha visto l'evoluzione del paesaggio agrario con interventi volti a conquistare terre acquitrinose a coltura, è stato all'avanguardia rispetto ad altre aree geograficamente simili. L'intervento degli uomini ha forzato l'ambiente ed ha determinato il modo di vivere di una comunità, che ha così costituito un modello di storia della bonifica, con le conseguenti trasformazioni agrarie via via definite e la contestuale progressiva evoluzione della società rurale. Per penetrare nella realtà delle strutture di base dell'agricoltura e del mondo contadino che ne è emanazione, l'attuale storiografia pone attenzione anche all'analisi delle fonti aziendali, che in presenza del "sistema fattoria" ci offrono una grande ricchezza di documenti e notizie.
Fin dal secolo XVI, in larga parte della Toscana, si assisteva all'organizzazione economica rurale, con una contabilità aziendale che riguardava più poderi legati tra loro nella gestione della produzione, della distribuzione, della tenuta dei libri contabili e con la presenza di un "fattore" con compiti di coordinamento e referenza verso la proprietà. «Se oltre i terreni vi è anche la casa per abitarvi, l'aja per trebbiare il grano, e per conservarci la paglia; il forno per cuocervi il pane; le stalle per custodirvi il bestiame; il pollaio e qualche volta il colombajo; a questa riunione d'officine agrarie si dà il nome di podere ed all'unione di molti poderi quello di fattoria».
La direzione tecnica è unica. Uniche sono anche le macchine che passano da un podere all'altro e, con loro, anche i contadini perché per le produzioni più impegnative, come la vendemmia, la mietitura, la trebbiatura, ecc. vige il sistema dello scambio d'opera: si lavora tutti insieme in un podere, e poi si passa in un altro. A carico del podere ospitante: solo il pranzo per tutti. Le vendite e gli acquisti vengono fatti nell'interesse comune. Alcune produzioni (come per esempio il vino, l'olio, il latte, la seta) sono frutto del lavoro comune e vendute allo stato finito dalla fattoria «Con ciò la piccola economia poderale aggiunge ai suoi specifici, i vantaggi propri della grande azienda».
Anche gli studiosi che in anni recenti si sono confrontati con questi temi dai più diversi punti di vista, rilevano che le fattorie assumono «una notevole importanza come centri d'investimenti capitalistici nell'economia terriera e come centri di riorganizzazione del paesaggio agrario in grandi aziende padronali». La fattoria e la sua espansione «costituisce in ogni caso un nuovo complesso edilizio, un nuovo investimento in costruzioni e presuppone un nuovo atteggiamento organizzativo».
In Valdichiana, sotto il governo di Pietro Leopoldo, non ci si preoccupò soltanto di applicare le tecniche più idonee ed avanzate per ottenere una buona regimazione idraulica, bensì l'azione di bonifica assunse il carattere ed il valore di un vero e proprio intervento integrale, in quanto gli obiettivi andarono ben oltre l'acquisizione di terreni artificiali. Tra l'altro, si pensò alla qualificazione dell'insediamento umano promuovendo l'avanzamento sociale ed una migliore condizione di vita e di lavoro per i residenti.
Vennero assunte iniziative riguardanti l'edilizia
rurale tese a rispondere alle esigenze che l'utilizzo intensivo della
terra bonificata determinava i termini di confort abitativo e lavorativo
dei contadini, ossia di accrescimento di livello di dignità della
residenza colonica, non per lusso ma sotto il profilo igienico e
funzionale.
Di nuovo, a distanza di nove anni, nel maggio del
1778 il Granduca fece ritorno a Bettolle e nel corso della sua visita si
poté compiacersi che nella fattoria di Bettolle -
le case sono
ragionevoli, le nuove molto buone -.
Così le normali rampe di scale esterne più che acquistare rilevanza architettonica, assumevano significato per il loro posizionamento ed il loro uso in quanto era bene che fossero - coperte per la parte di tramontana, perché il verno nel dover andar di notte a rivedere gli bestiami non siamo esposti i guardiani ai rigori del North, con l'uscire dal caldo o dal letto, ed incontrare tosto il nudo freddo con l'arrabbiato soffio dei venti settentrionali -. Per cui era necessario che la scala, continuamente scesa e salita - dalla famiglia del podere per causa de' bestiami, fosse coperta con tettoia, per salvarla dalle nevi e dall'acque che ivi gelandosi potrebbero apportare la caduta di qualcheduno -. Allo
stesso modo il portico a piano terra perdeva attributi aulici, per
diventare, a ragione del clima temperato ed in rispetto della tradizione
mediterranea, l'espansione interesterna della casa, ossia il luogo
protetto per riporre gli attrezzi, per svolgere -
le faccende nel
tempo di pioggia -, per preparare le
bestie prima di condurle nei campi, e la loggia al primo piano si
rendeva usufruibile come verone ombrose, per accudire a lavori domestici
ed a piccole attività artigianali.
La politica lorenese per risanare l'economia toscana aveva puntato fin dall'inizio al rinnovamento dell'agricoltura prestando attenzione anche ai contadini, al loro lavoro e alle loro case. A questo proposito furono stabiliti criteri di base di costruzione ed incentivate le ristrutturazioni e le nuove costruzioni. Ma l'attuazione del programma fu frenata dall'opposizione della maggior parte dei proprietari terrieri. E per questo motivo che in Valdichiana, dove operava direttamente lo Stato, c'è la più grande concentrazione di case coloniche risalenti a quell'epoca e che, non a caso, sono conosciute come Case leopoldine. Ciò non vuol dire che le opposizioni al progetto fossero solo da parte del privato. Erano contrari anche moltissimi personaggi di alto livello.
Matteo Tolomei Biffi, per esempio, alto burocrate dello Stato, sosteneva che una casa costruita con il disegno di un architetto, oltre a costare di più sarebbe stata «causa di mollezza nel rustico abitatore, col mettere per esempio i vetri alle finestre». Questa posizione di poco riguardo nei confronti dei contadini, che oggi può apparire come una battuta di spirito, in effetti era seria e piuttosto diffusa. Il Trattato architettonico di Ferdinando Morozzi, una sorta di manuale per la costruzione delle case dei contadini destinato agli architetti consente di verificare quanto appena detto. Dell'intero trattato poco più di una pagina è dedicata alle stanze del contadino. Dopo 19 capitoli riguardanti le diverse parti della casa, dal pozzo alla porcilaia (il 20° riguarda le coperture per i carri e la concimaia, o letamaio), il 21° è dedicato alla «cucina, o sala del contadino», il 22° alle camere e il 23° «al granaio del contadino e sua dispensa». Il 24° ed ultimo capitolo è dedicato alla «colombaia»; come dire: il contadino viene prima dei piccioni, ma dopo la concimaia. Per completezza occorre anche dire che il Morozzi non era solo un teorico, ma era anche un architetto granducale. Si debbono a lui i progetti di alcuni poderi della fattoria di Bettolle, tra i quali, sicuramente, quelli della via del Porto e della Bandita, la cui costruzione controllò personalmente.
La camera poi del capo di famiglia deve essere quella, ove possa vedere, o sentire, se i sottoposti sono solleciti alle faccende per poterli correggere in caso di mancanza. Circa la posizione delle medesime, è sempre migliore quella che non è dominata dal settentrione. Le finestre è vantaggioso che siano piuttosto piccole che grandi, a motivo de' venti a cui sono sottoposte le case de' contadini, ed in esse camere bisogna ricordarsi di murarvi de' cavicchi per attaccarvi le umili loro vesti».
Questi brevi riferimenti alle caratteristiche che
avrebbero dovuto avere le abitazioni destinate ai contadini devono però
essere contestualizzate in relazione al binomio funzione/spazio (anche
abitativo), che, unitamente a quello socio-economico e socio-culturale,
definiscono l'identità e la specificità di un territorio. |
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