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Come il paesaggio, così la cucina contadina toscana e senese è legata a una forte connessione con l'ambiente, con le possibilità della terra. E una cucina povera di elementi carnei, basata su elementi semplici e comuni, ma sperimentati localmente fino a produrre una certa varietà di forme e di gusti. La base di questa cucina sono i farinacei e i prodotti dell'orto, quindi il maiale, che è la vera base carnea delle diete contadine, e infine gli animali della corte (galline, oche, conigli, anatre). Alcuni proverbi sintetizzano l'esperienza della sopravvivenza alimentare: "Chi ha buon orto ha buon porco", "Chi non ha orto e non ammazza porco tutto l'anno sta a muso torto". Così i modi di dire "I fagioli sono la carne dei contadini", oppure per dire che in tavola c'era solo il primo piatto, dando invece l'idea di un contorno "Oggi c'è minestra e rizzati". O ancora "all'osso dalli addosso" considerato il valore alimentare e il riuso dell'osso del prosciutto. Per indicare il menù si dicevano le quattro P:"pulenda, panizza e pane poco", o "zuppa zuppa e vin del pozzo". In effetti anche il vino si beveva normalmente come 'acquarello', cioè acqua ripassata nel già spremuto, e il vino buono si serbava per i matrimoni e le trebbiature. Il maiale ucciso e accomodato in inverno
(tra novembre e gennaio) accompagnava con i suoi prodotti tutto l'anno
contadino, con il maturare progressivo delle sue parti seccate scandiva
l'anno (la soppressata prima, poi il rigatino, i salami e via via fino
ai prosciutti). Ma i
contadini hanno fatto prodotti prelibati delle minestre di cavolo nero e
di quelle di pane. Tanto che oggi si ritorna ovunque a citazioni della
cucina contadina e piatti poverissimi come "l'acqua cotta", la "pappa col
pomodoro" e le varie zuppe di pane, o la minestra col cavolo nero e il
pane raffermo (la 'ribollita' è una minestra divenuta quasi simbolo
della cucina contadina senese). Così i 'pici', pasta lunga povera, fatta
in casa, sono divenuti il più tipico dei piatti di pasta asciutta della
cucina del territorio meridionale della provincia. luglio:
fragoline; settembre: bruschettà, miele, cacio, uva, dolci; ottobre: castagne, galletto, fungo, marrone; novembre: tartufo; dicembre:
olio. Vengono valorizzate le risorse del bosco come i funghi, le castagne, i marroni, i prodotti del grano (varie frittelle di farina, la bruschettà che si fa col pane abbrustolito spalmato d'olio, i crostini, il ciaccino o focaccia e poi i pici e le tagliatelle fatti in casa), l'olio e il vino, e il cinghiale, la più significativa preda delle bande dei cacciatori. Frittelle e marroni vengono proposti con il loro lessico dialettale che fa intuire saperi e conoscenze locali specializzate: il "ciaffagnone" di San Casciano (frittella di acqua, sale, farina, formaggio pecorino), la "panella" di Rapolano (foglia sottile di pasta di pane), il "crastatone" di Piancastagnaio (caldarroste) dove si assaggiano anche i 'suggioli' (lessate), le 'monne' (mondate),'brodolose' (arrostite e lessate) e il castagnaccio, e dove si ricorda forse la grande diffusione che ebbe in area di castagneto la polenta di farina di castagne. C'è perfino la 'sagra
della miseria' che appare nata proprio per commentare i cibi del
passato, divenuti oggi però oggetto di curiosità e di gusto inconsueto
(vi si offre trippa, fagioli e altro). Anche la nouvelle cuisine dei
ristoranti specializzati valorizza oggi i principi dei menù quotidiani
locali, che presentano varietà di gusti e fantasia (le frittate con le
cime di varie verdure, come la vitalba etc...). Siamo ormai lontani
dall'immagine del cibo medio italiano della fase del consumismo:
pastasciutta al sugo e fettina. Ora, grazie anche al ritorno delle
varietà povere della cucina contadina, c'è una nuova attenzione alle
diete, menù più ricchi e a più larga base vegetale tornano dal passato
povero, per una cucina insieme sana, basata sulle risorse locali e
fantasiosa. Tratto da: Tradizioni antiche e nuove in Terra di Siena |
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Il Calendario di una Civiltà Contadina |
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È difficile capire la terra di Siena, senza ricordare che essa era curata, palmo a palmo, da sole a sole, da migliaia di famiglie di contadini mezzadri che vivevano nelle case sui 'poderi', che mangiavano quasi esclusivamente quel che producevano nell'orto, nel campo (grano, vite, olivo), nel pollaio e con l'allevamento del maiale, che si spostavano raramente da lì. Solo i capofamiglia (capocci) con alcuni dei maschi di casa andavano a piedi alle fiere e ai mercati. La grande famiglia contadina, composta di più nuclei e più generazioni che vivevano insieme, stava sul podere nella casa colonica, un complesso che comprendeva le camere, la grande cucina comune col focolare, il granaio e la dispensa, la stalla, il porcile, il forno e talora il colombaio. Si incontrava con le altre famiglie la domenica in Chiesa, talora 'a veglia' - la sera - dove si raccontavano storie, fiabe, pettegolezzi, si giocava a carte o si beveva del vino, e i giovani tentavano i corteggiamenti. Ci si incontrava in grande invece per i matrimoni, e poi per i lavori della mietitura e trebbiatura, o per la vendemmia, quando ci si aiutava tra vicini e si chiamavano anche altri lavoratori che venivano spesso dalle zone più povere della montagna. La vita
dei contadini e il paesaggio ch'essi plasmarono con il loro lavoro,
sotto la direzione dei fattori, e sotto regole di vita e di divisione
dei prodotti stabilite dai proprietari (spesso aristocratici cittadini),
che prevedevano in genere il versamento al padrone della metà dei
prodotti e degli 'utili' del bestiame, è stata dipinta da molti pittori
(dal paesaggio del Buon Governo di Ambrogio Lorenzetti, fino alla
pittura macchiaiola e Fattori) ed è stata descritta da molti grandi
scrittori, ma la terra di Siena ha avuto pagine soprattutto di Federigo
Tozzi, forse uno dei più grandi narratori del nostro Novecento.
Vediamone due immagini riferibili ai primi decenni del secolo.
"Il podere era bello: ci si trovava una dolcezza che invogliava a starci: cinque cipressi, in fila, dietro il muricciolo dell'aia: e poi tutto pieno d'olivi e di frutti. L'appezzamento pianeggiante era di una terra scura e rossiccia; il resto tufo asciutto e sodo, quasi giallo. A primavera, meno il lavorato con l'aratro o con la vanga, doventava di cento verdi; e l'autunno ci metteva un bel pezzo a scolorirli."
Questo mondo animato e vario, con la campagna piena di uomini e animali e ricca di toni di colore, mutevoli ad ogni stagione, è durato fino agli anni Sessanta, dopo aver cominciato a sgretolarsi subito dopo la seconda guerra mondiale, quando la modernizzazione da un lato e la sindacalizzazione dei mezzadri dall'altro, fecero apparire impossibile la continuazione di un modo di vivere così separato e lontano dalla vita e dai comfort del mondo attuale. Ma la vita molteplice interna a questo mondo, oggi quasi dimenticato, è quella che sola può dare spiegazione del territorio senese: esso infatti è l'erede di una vera e propria civiltà contadina che si integrava, ed era anche in conflitto, con la vita delle dignitose cittadine e dei numerosi paesi della terra di Siena. I contadini mezzadri erano i principali produttori di beni di tutta la provincia (circa il 70% della popolazione), essi erano abituati alla vita nei campi e mal visti talora nelle cittadine e paesi dove capitava loro di subire scherzi. Intorno a loro gravitava la vita di commercianti e artigiani, mediatori, braccianti e poveri, che giravano il territorio per vender loro servizi o passar la notte nella stalla. La base della civiltà contadina dei mezzadri era il CALENDARIO basato sui cicli agrari e sui cicli festivi, e sull'uso del computo delle fasi lunari per le coltivazioni. Il calendario dell'anno e delle stagioni vedeva intrecciarsi i tempi dei lavori, delle semine e dei raccolti, con il tempo delle feste. I tempi dei lavori si basavano sull'esperienza degli anziani e sull'uso dei Lunari, dov'erano segnate le cesure delle stagioni (es. "Santa Lucia la notte più lunga che ci sia"...) , venivano dati consigli agrari, si ribadivano credenze come quella del carattere negativo dell'anno bisestile per i lavori agrari (es. "Nell'anno bisesto non por bachi e non far nesto" etc). Le feste
seguivano il calendario detto del 'ciclo dell'anno', anch'esso basato su
credenze antiche (le previsioni dell'anno basate sul tempo del giorno
della Candelora ad esempio), pronostici sul raccolto, ma anche ritmi e
indicazioni per il tempo festivo (es."Chi
non carneggia non festeggia"; "A
Natale un bel ceppo, a Carnevale un bello spiedo, a Pasqua un bel
vestito"...). Il ciclo
festivo dell'anno si basava sulle grandi feste religiose e su quelle
patronali e delle pievi di campagna, con esso si connetteva il tempo
delle fiere e dei mercati. Le sagre soprattutto, ignote in passato, hanno creato nuovi momenti per stare insieme intorno al cibo, ai prodotti locali, ai giochi e alla socievolezza. Anche le nuove 'feste politiche' estive seguono una tradizione basata sul cibo e la commensalità. Mentre i mercati settimanali e le fiere periodiche seguono ancora in gran parte antiche scadenze, alcune legate al calendario religioso (come le fiere di più giorni di fine agosto e i primi di settembre). Anche le nuove feste in costume (il bravìo delle botti, il palio dei ciuchi ed altri palii di nuova istituzione, le gare di balestrieri e arcieri) cercano di sostituire modi antichi di stare insieme valorizzando capacità legate agli antichi saperi (lavorare in gruppo, conoscere il bosco, saper cacciare, conoscere gli animali...). Così le feste nuove, che sono importanti anche per invitare il turista a conoscere memorie del medioevo comunale, per conoscere la cucina locale, hanno in terra di Siena qualche cosa degli aspetti fondamentali del calendario festivo del passato antico: la centralità del cibo, dello stare insieme e delle abilità legate alla terra e agli animali. Le feste meno mutate, in un territorio ormai molto trasformato, sono quelle legate al ciclo festivo religioso. Anche queste si sono un po' uniformate all'omologazione degli anni Sessanta, ma in anni recenti hanno ripreso vitalità sia le processioni del Venerdì Santo che alcune forme di sacra rappresentazione della morte e crocifissione di Gesù in costume storico. Mentre alcune processioni e feste locali legate alla campagna, anche se hanno visto diminuita la partecipazione, mantengono simboli e modi del passato.
Di lunga tradizione sono i fuochi di Natale (Abbadia)
e di Santa Croce (S. Casciano), le benedizioni di animali e prodotti per
S.Antonio Abate, le feste di San Biagio e Sant'Agata. Lunga tradizione
hanno anche i pronostici e la raccolta di erbe per la notte di San
Giovanni, la più magica e ricca di umori vegetali dell'anno. Il
bruscello di Montepulciano è nato negli anni Trenta arricchendo e
modernizzando il bruscello contadino, ed è riuscito ad affermarsi nel
quadro delle feste d'estate. Anche il cantare i versi del maggio (Cantarmaggio) alla notte del 30 aprile, girando per i poderi, non usa più da quando i poderi non sono più abitati dai contadini. Ma l'uso è rimasto nelle frazioni dei nuovi poderi nati negli anni Cinquanta nel comune di Castiglione d'Orcia. Il maggio come albero da piantare in paese, rituale contadino che fu anche simbolicamente ripreso dalla Rivoluzione francese (l'albero della libertà), viene ancora usato a Saragiolo e Piancastagnaio, in quest'ultimo centro dell'Amiata si porta ancora in giro nella notte del 5 gennaio il canto della befana. Un gioco di palla tradizionale viene tramandato a Chiusdino (la patta eh), e in più centri si gioca ancora la Ruzzata (Chiusi, talora con le forme di formaggio come a Pienza). Una riflessione sulle proprie radici contadine continua a fare ormai da più di trent'anni il teatro Povero di Monticchiello, un gruppo teatrale locale di una frazione di Pienza, che alla fine di luglio di ogni anno rimette in scena i contadini del passato, recitati da ex contadini e dai loro figli e nipoti, e racconta il problema della vita in Val d'Orcia, tra radici contadine e mondo dei consumi e della perdita d'identità.
Pietro Clemente Tratto da: Tradizioni antiche e nuove in Terra di Siena |
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