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Fin dalla preistoria l'uomo sentì la necessità di avere un rifugio sicuro che lo ponesse al riparo dai tanti pericoli.

Lo edificò, possibilmente, su un rilievo che gli consentisse di controllare l'orizzonte e lo munì di palizzate, macchie spinose, fossati. Quando poi la tecnologia glielo permise, eresse recinti di pietra che, col passare dei secoli, divennero sempre più alti ed imponenti, ma il concetto originario non era mutato: una cortina invalicabile che proteggesse l'area abitata.

Il Castello.

Il castello è una sorta di macchina per immaginare, capace d'evocare, di volta in volta, orrori e delizie, incubi e sogni. È un luogo magico, una specie d'atanor dove fatti e personaggi, paure e desideri, si trasformano in mito. Nell'immaginario letterario è, al tempo stesso, scrigno del Graal e dimora dell'orco, oasi di raffinata cortesia e labirinto di orrori. Per questo, talvolta, si presenta come un essere vivente, dotato di una propria, ambigua personalità.

Quando appare all'orizzonte, in una giornata luminosa, la cosa che più colpisce sono le sue torri che svettano verso il cielo, come braccia di pietra e se il sole le indora e il vento le accarezza, allora sembra una creatura dell'aria e della luce.

Se invece l'avvolge un sudario di nebbie o l'ammantano le nuvole, le sensazioni mutano: i portali diventano fauci e il ponte levatoio una lingua di malizia. In quel momento ci accorgiamo che il suo corpo affonda nella terra, celando un ventre oscuro e minaccioso, ove albergano chissà quali pericoli. E la scoperta dell'altra faccia, il velario scompare e si manifestano le latebre delle segrete, ove i conci bigi narrano di orrori lontani.

Nel senese i castelli sono numerosi anche se non hanno una distribuzione uniforme sul territorio. Per castelli intendo, a dire il vero, edifici affatto diversi, accomunati da una comune propensione alla difesa. Si tratta di borghi e di monasteri fortificati, di rocche, di manieri, di case da signore, attrezzate a difesa, di fortezze. Alcuni sono perfettamente conservati, altri ridotti a ruderi, altri ancora trasformati in ville e in fattorie o ricostruiti secondo il gusto neo gotico del secondo Ottocento. Molti, comunque, mantengono il fascino del passato e conservano storie, tradizioni, leggende d'ogni genere. Vi sono poi edifìci che presentano aspetti interessanti: bizzarre reminiscenze storiche, riferimenti letterari ed eruditi, curiosità impensabili. A volte, il loro desiderio di narrare è sostenuto da altre notizie che provengono dai paraggi, permettendo al cacciatore dell'insolito d'arricchire il proprio carniere.

La presente pagina esamina alcuni di questi castelli, insieme ad altri luoghi "particolari" segnalando gli aspetti fondamentali della loro storia e, soprattutto, il "si dice" che ne avvolge il passato.

 

 

Abbadia San Salvatore

Buonconvento

Castelnuovo Berardenga

Castiglione d'Orcia

Chiusdino

Chiusi

Gaiole in Chianti

Monticiano

Rapolano Terme

San Gimignano

Castello di Grevole

Castello di Meleto

Castello di Strozzavolpe

Rocca di Tentennano

Radicofani

Vagliagli

Montalcino

Castelnuovo dell'Abate

Monteriggioni

Murlo

Monte Siepi

 

 

 

 
     
 

 

Abbadia San Salvatore

LEGGENDA DI RE RACHIS

"... una mattina ... Rachis si avventurò, solo, per un sentiero del tutto ignoto e inesplorato... gli apparve, tutto a un tratto, su un cocuzzolo un po' fuor di mano, una cerva meravigliosa... Disperatamente la inseguì lei avanti e lui indietro... Finché si trovò in un bellissimo pianoro, tutto soffice di erbe e di fiori sotto i castagni ... Fu appunto sotto il più grosso di questi che la cerva si fermò... Ma subito il castagno sfavillò... e una voce che non si capiva bene da dove venisse: - Non uccidere, - gridò - non uccidere, o re, se ti è cara la corona del Regno Celeste... Rachis... vide che sul castagno come sopra un trono, c'era un Re differente da tutti re della terra... - Chi sei tu? Chi sei tu? - mormorava con un filo di voce rimastagli nella gola, Rachis, sempre per terra senza muoversi. - lo sono il re dei re, il dominatore dei dominatori io ti comando, o Rachis, di costruire su questo luogo una chiesa in mio onore! -... Da quel giorno il re cacciatore... si mise addosso un ruvido vestito di saio, si strinse la vita di una cintura di cuoio e cominciò a scavar le fondamenta intorno al fortunato castagno... Siccome lo stare nelle celluzze di legno non era troppo igienico, pensarono di costruirsi un'abbazia accanto alla chiesa: e l'abbazia nacque grande, meravigliosa..." (da Idilio Dellera).

 

Buonconvento

VILLA RONDINELLA

"... La villa sorge un po' fuori Buonconvento, su una collinetta isolata, lungo l'attuale S.S. n. 2 Cassia, in antico la via Francigena così ricca di storia, costruita intorno al 1910 in stile liberty, da un giovane facoltoso, poco più che ventenne, culturalmente preparato ed anche sfortunato. Sembra che la Rondinella fosse dedicata ad una donna sconosciuta localmente, forse a coronamento di un sogno d'amore, che lo sfortunato giovane non riuscì a realizzare e sembra che la costruzione della villa abbia assorbito tutte le risorse finanziarie del giovane signore costringendolo a venderla ad uno zio ancor prima d averla completata. Forse per la sfortuna che aveva colpito il giovane, forse la figura idealizzata della giovane donna sconosciuta, alimentarono la fantasia popolare del tempo che volle la Rondinella invasa da fantasmi..." (Nello Carli).

 

Buonconvento

LA MORT E DI ARRIGO VII

"Arrigo VII di Lussemburgo cessò di vivere a Buonconvento il 24 agosto 1313: sebbene la malattia che affliggeva l'imperatore risalisse ai tempi dell'assedio, la morte di lui colse tutti di sorpresa. La voce di un suo avvelenamento si diffuse piuttosto rapidamente. Si disse che un frate domenicano lo avesse avvelenato con l'ostia consacrata durante la comunione. Solo alcuni anni dopo la sua morte alcuni personaggi che furono al suo seguito e Giovanni re di Boemia, figlio di Arrigo VII, confermarono che la morte fu causata malattia."(Nello Carli).

 

Castelnuovo Berardenga

PAGLIARESE - LA MAGA DI PAGLIARESE

Presso la fattoria di Pagliarese, secondo la tradizione, si trovava una donna in grado di sistemare le fratture e di guarire dalle malattie più strane. Era una maga "gentile e complimentosa, aveva le mani d'oro ed era sempre con tanti clienti che sapevano aspettare per ore il loro turno" (da Biliorsi, L'ora delle streghe)

 

Castelnuovo Berardenga

IL FANTASMA DI BETTINO

"La nonna raccontava sempre che la povera nonna sua che era stata al funerale, che a un certo punto dice, chi portava la bara, a un certo punto, dice, gli volava, in venti uomini non la reggevano, a un certo punto gli toccava metterla in terra perché spiombava. Ora poi quando morì, al castello lo rivedevano continuamente: Dice, c'era una tavola apparecchiata che non ci stava apparecchiata. L'apparecchiavano e bruummm! Gli buttava in terra ogni cosa. E allora, insomma, non ci potevano vivere al castello in questa maniera.

Allora un frate gli disse: questa è un'anima dannata, non può restare qui, bisogna confinarla in qualche posto! E allora decisero di confinarla nel borro delle Ripi". (da A. Orlandini, // fantasma di Bettino, racconto 9).
"Il fantasma (...) io so che lo rivedevano, lo risentivano passa con la cavalla pe' 'I paese 'I castello, lo poi so che, ho sentito dire che la su' moglie l'aveva riveduto in camera. Ma sai, cose che io l'ho sentite dire. Dicevano che lo rivedevano sulle mura a cavallo." (da A. Orlandini, // fantasma di Bettino, racconto I ).

 

Castiglione d'Orcia
BLASONI POPOLARI

"Presempio qui noi e c'è non, e' nomignoli del paese: a la Rocca so' chiamati "gatti"; a Castiglioni si chiamavano "cani", perché... a la Rocca siccome "gatti" perché... è era un paese più... riservato, più... astuto, no; Castiglioni invece è un paese di... chiacchieroni, abbaia, dice, ha abbaiato come' cani, però ecco no non morde. Poi c'è Bagno Vignoni chiamavano "serpi" [...] perché c'è l'acqua calda e d'inverno e' serpi e ... trovano tanti serpi giù pel motivo che c'è più caldo [...].
(da Quaderno 2 di Amiata Storia e Territorio intervista di R. Ferretti).

 

Chiusdino
PALUDE DI SANT'ANDREA
LA PALUDE DELLE STREGHE

 A sud di Chiusdino si trova la palude di Sant'Andrea, un luogo dove, secondo la tradizione, usavano nascondersi le streghe. "Le streghe si nascondevano nella palude o nel bosco... si racconta di molti poveri cristiani scomparsi senza che si ritrovasse nemmeno un osso", (da Biliorsi, L'ora delle streghe)
 

Chiusdino

S. GALGANO
LEGGENDA DI S. GALGANO

"... Galgano crebbe fantasioso e spensierato. La caccia era la sua passione... I giovanotti dissipati e spenderecci ambivano la sua compagnia. Però nell'ardore dei suoi giovani anni, Galgano si era dimenticato di Dio... una mattina d'aprile che erano fiorite le viole sulle prode della Merse e il monte Siepi era tutto una canzone di rose, egli se ne montò a cavallo lieto di andarsene verso Civitella a trovare la fidanzata... giunto appena alle pendici del monte Siepi, ecco che vede sbarrarsi la strada dal luminoso arcangelo S. Michele. Egli tiene alzata la spada fiammeggiante ed un globo di sole esce dalle sue pupille... Galgano precipita a terra come fulminato e non riesce a dire parola... Poi si toglie dal fianco la spada, la scaraventa contro una pietra. Ed oh, prodigio! La pietra si apre come una bocca. E la spada vi rimane conficcata a guisa di croce fulgente. L'Arcangelo scomparve... Da quel giorno Galgano fu l'Eremita del Monte Siepi." (da Idilio Dellera).

 

Chiusi
LAGO DI CHIUSI
LEGGENDA DELLA VIA LUMINOSA SUL LAGO

"Era Mustiola dell'imperiale stirpe dei Claudi. Bella sopra tutte le giovinette romane aveva, non ancora quindicenne, abbracciata la luce del Vangelo, e scelto Cristo a suo sposo... Claudio II, suo zio, aveva per lei una specie di fanatica adorazione... Mustiola viveva piuttosto appartata da ogni divertimento, da ogni compagnia. L'imperatore allora dubitò che la nepote professasse, in segreto, quella fede dei cristiani da lui tante volte maledetta e perseguitata. - Tu sei cristiana?! - le chiese una mattina, pieno di stizza. Mustiola, alzando la fronte in faccia allo zio, con dolcezza consueta, rispose: - Sì, sono felice di essere cristiana... - Vattene - gridò l'imperatore - via lontano da me! - e chiamati i soldati la fece imprigionare... nella notte una luce abbagliante le rifulse davanti e una voce dolcissima scendendo dal cielo le diceva: - Và, Mustiola, alla città di Chiusi e predica il mio vangelo, battezza nel mio nome!... Brancolando ella si alza: all'improvviso le catene che tenevano avvinti ai ceppi i suoi piedi, si spezzano, le porte si spalancano, ed ella cammina sotto il lume delle stelle, nella notte di estate. Appena che, al mattino, l'imperatore seppe della misteriosa scomparsa di Mustiola, ordinò ai soldati le più accurate ricerche!... Intanto Mustiola, a grandi tappe, era giunta nei pressi della città che il Signore le aveva additato... Quando Mustiola si accorse di non essere più inseguita, levò gli occhi al Cielo e: - Signore - disse - insegnatemi la mia via... E subito le brillò nella mente il pensiero di levarsi il mantello, di stenderlo sulle acque e di salirci sopra come in una sicura barchetta... il Signore ogni anno rinnova il miracolo della via luminosa sul lago. E la notte del tre luglio sulle acque si stende una striscia d'oro a indicare che i Santi passarono nella vita tracciando una bionda strada..." (da Idilio Dellera).
 

Gaiole in Chianti
PIEVE DI SPALTENNA
LA STREGA DI CETAMURAA

Cetamura (toponimo scomparso, ora riconducibile al territorio della Pieve di Spaltenna) si svolgevano, secondo la tradizione, riti magici guidati da "una strega bellissima, che durante il giorno era una signora ben conosciuta e che di notte sapeva trasformarsi... sapeva far volare tutti oltre la porta. Ballavano nudi ad una musica misteriosa, riuscendo a vedere cose inimmaginabili." (da Biliorsi, L'ora delle streghe).

Monticiano
CASTEL DI TOCCHI
LE STREGHE A CASTEL DI TOCCHI

Si racconta che "c'era un prato che serviva per cerimonie fatte alla luna piena, uomini e donne venivano incappucciati, una strega dava il via e ballavano in cerchio... quando si raggiungeva il culmine si sacrificava un animale giovane, quasi sempre un agnello, mangiando la sua carne cruda usando solo le mani." (da Biliorsi, L'ora delle streghe).
 

Rapolano Terme
SAN GIOVANNI
LEGGENDA DELLA PUZZOLA DEL BAGNO MARII

"Per Sant'Anna, tanti e tanti anni fa, alcuni contadini trebbiavano. Passò per il luogo della trebbiatura (il Bagno Marii) una donna e disse:"Perchè trebbiate? Non sapete che è peccato lavorare il giorno della festa?" I contadini per tutta risposta ribatterono: "A noi Sant'Anna non ci tribbia". AIIora il terreno si aprì, i contadini furono inghiottiti dall'apertura e da quel giorno nacque la Puzzola del Bagno Marii". (tratta da Rapolano e il suo territorio).

 

San Gimignano
LEGGENDA DI SANTA FINA

"... Fina aveva fatto voto a Dio di soffrire in tutte le sue membra, fuorché nel capo, tutte le atroci pene che Gesù Crocifisso suo sposo celeste, aveva patito nella sua passione e morte... E Fina parlava dei misteri di Dio, e non si muoveva mai dalla solita posizione, amava sentir leggere i libri dei Santi... Ma il Demonio, nemico giurato dei Santi e dei cristiani, la tentava con centomila astuzie... Fina tracciava appena un segnettino di croce e il maligno scompariva... Quando un chiarore d'oro entrò nella torre di Fina, la fanciulla credette di sognare, ma subito dentro una bianca nube circondata di angioli riconobbe il dolce aspetto di San Gregorio, il quale... diceva: - Rallegrati, figlia mia, perchè il giorno delle tue nozze è vicino, gli angioli e i serafini ti aspettano in Cielo alla festa!... Ma sulle mura rintronavano colpi di alabarde e di picconi, e qualche torre veniva giù a pezzi... Dappertutto era rovina e distruzione, sicché gli ambasciatori a poco a poco domandarono la resa... Allora tutte le campane cominciarono a suonare senza che nessuno le tocchi... Gli angioli sono montati in cima alle torri, in vetta ai campanili e di lassù suonano a distesa: - E morta la Santa! - e cantano e gridano: - È morta la Santa!" (da Idilio Dellera).

Castello di Grevole
Urla e gemiti nella notte

Il fantasma del Vescovo
Crevole, fortezza della Val di Merse, fu, insieme a Murlo, uno dei più importanti possedimenti della diocesi senese. La rocca, d'origine antichissima, fu ulteriormente fortificata nel 1325 per desiderio del vescovo Malavolti e alla fine del secolo Siena v'inviò una guarnigione che era pagata dalla mensa episcopale. Nel 1380 fu assalita e saccheggiata dai ghibellini, banditi da Siena. In seguito, durante la guerra medicea, ospitò il primate di Siena, Donosdeo, che vide la sua fortezza assediata dalle truppe nemiche. Si dice che il presule irato avrebbe scomunicato gli assalitori ma questi, per niente turbati, la presero e la privarono delle artiglierie che furono poi impiegate contro le mura di Siena. L'anno successivo i Senesi riuscirono a recuperare, per pochi mesi, Crevole che, nell'Aprile del 1554, fu distrutta dagli imperiali. Del castello, che aveva due cortine, rimangono pochi ruderi: un'alta torre sbrecciata e alcuni tratti delle mura ricoperte dalla vegetazione. Si narra che quei resti celino dei vasti sotterranei dove sarebbe nascosta una preziosa biblioteca. Una leggenda racconta che di notte si odono le urla e i gemiti di feriti e moribondi e che, sugli spalti, appare lo spettro del Vescovo, "con occhi di fiamma e piedi di brace", pronto a ripetere la maledizione contro chiunque minacci il castello. La tradizione vuole che il fantasma del presule scomparirà solo quando la biblioteca, alla quale egli tanto teneva, sarà scoperta e custodita nella maniera dovuta.

 

Castello di Meleto
Gli spettri dei giustiziati

Il teschio dagli occhi di brace
Il Castello di Meleto è una delle fortificazioni chiantigiane più interessanti e meglio conservate. Appartenne in origine ai Firidolfi, nobile famiglia feudale che ebbe numerose donazioni e privilegi dall'imperatore Federico Barbarossa. In seguito, passato
sotto la sovranità fiorentina e trovandosi in una fascia di confine oggetto di continue contese, fu dotato di nuove e possenti difese. Nel 1478 fu conquistato dagli Aragonesi che lo tennero per due anni, mentre cinquant'anni dopo l'impresa non riuscì all'esercito senese - imperiale, per l'accanita resistenza della guarnigione. L'attuale edificio risale al XV secolo e presenta una pianta trapezoidale con due torri circolari scarpate che rafforzano il lato Est, il più esposto. Gli spigoli opposti sono invece potenziati da semplici ballatoi aggettanti, in laterizio, sostenuti da archetti e mensole. Quasi al centro del castello vi è l'antica e solida torre del cassero, a pianta quadrangolare. In origine doveva essere più alta ma venne in parte abbattuta alla fine del Quattrocento, per poi essere rimodellata nella forma attuale.
Nel XVIII secolo il castello fu adattato a villa, senza snaturarne l'aspetto originario. Interessantissimo, all'interno, è l'elegante teatrino, un vero gioiello del Settecento; sul palco dell'orchestra si legge il motto dell'Accademia degli Accesi "Panem et Circenses". Su Meleto aleggiano molte leggende che parlano dei fantasmi di condannati a morte, giustiziati nel cortile del castello. Si narra anche che, nel secolo decimo ottavo, fu rinvenuto in un muro un teschio con gli occhi che fissavano "come quelli d'omo vivo". Il cranio si dissolse quando un sacerdote lo cosparse con acqua benedetta. In effetti, sembra che nella cisterna siano state trovate armi ed ossa umane. Un'altra tradizione vuole che il pozzo fosse collegato, attraverso un cunicolo, al trabocchetto della torre.

 

Castello di Strozzavolpe
Lo spettro della volpe infernale

Il fantasma di Cassandra

Manoscritti e tesori
Preceduto da alti cipressi, il Castello di Strozzavolpe si erge con la sua mole merlata e l'alta torre, su un'altura isolata, posta di fronte a Poggibonsi. Questa rocca, dalla pianta quadrata, esisteva già nel XIII secolo; appartenne prima ai Salimbeni e poi agli Adimari che tanta parte ebbero nella storia di Firenze. Furono proprio gli Adimari a trasformare il castello in villa a guisa di un'antica fortezza " [...] co' fossi intorno, ponte levatoio, mura contornate da merli". Nel secolo scorso fu radicalmente restaurato, ma sembra che l'edificio attuale riproduca abbastanza fedelmente quello originale.
Il luogo ove sorge Strozzavolpe è isolato e solitario e ciò contribuisce a donargli una forte atmosfera romantica, carica di presagi e adatta ad evocare oscure presenze. Non a caso intorno al castello fioriscono numerose leggende, come quella di una volpe infernale dall'alito di fuoco che impediva la costruzione della fortezza, terrorizzando uomini e soldati. Alla fine, il marchese Bonifazio, vide l'animale che si stava arrampicando su un albero e con un laccio la strozzò. L'astrologo di corte predisse, però, che il maniero sa-rebbe esistito fino a quando quel corpo maledetto si sarebbe conservato. Fu per questo che il castellano riempì la pelle della fiera :on oro fuso e la nascose nelle mura del mastio. Secondo una tradizione, ancora oggi, nelle notti di luna piena, intorno agli spalti : fra i cupi alberi secolari, si aggira l'ombra della volpe infernale. M narra, inoltre, che colpi sordi e rumori di catene si odano nella 'casa delle monache", la foresteria del castello, mentre nella "ca-nera rossa", si sentirebbero i lamenti di Cassandra, una bella dama infedele, che il marito fece murare viva insieme all'amante. Mentre i due morivano lentamente di fame il padron di casa, per rendere ancor più spietata la vendetta, gozzovigliava nella stanza attigua con gli amici.
A Strozzavolpe non poteva mancare la leggenda di un tesoro e, in effetti, nell'archivio del castello, si trova un manoscritto pressoché indecifrabile che indica l'ubicazione di numerosi forzieri colmi l'oro e di gioielli.
A dire il vero, secondo Giorgio Batini, a Strozzavolpe fu casualmente trovato un tesoro da un muratore impegnato in certi lavori di restauro. Un giorno, infatti, fu scoperto un incavo murato di fresco con dentro, in un orcio, una pergamena semicarbonizzata. Nel frattempo fu notata l'assenza improvvisa di un operaio che per lungo tempo aveva lavorato al castello. Si fecero numerose ricerche ma non si trovarono tracce né di lui né della sua famiglia.

 

Rocca di Tentennano
L'apprendimento miracoloso di Santa Caterina

La "malmerenda"
A Rocca d'Orcia vi è la possente fortezza di Tentennano o Tintinnano, ricordata in un documento fin dall'853. Dopo aver fatto parte del feudo dei Tignosi, passò a Siena che, nel 1274, la cedette ai Salimbeni. I nuovi proprietari intervennero radicalmente sul vecchio castello, che fu trasformato nel fortilizio ancora oggi visibile. La rocca, è un vero e proprio nido d'aquila, abbarbicato sopra un dirupo dal quale domina il paesaggio circostante. Santa Caterina, volendo riportare la pace fra Siena e i Salimbeni, si recò a Tentennano e durante la permanenza, miracolosamente, imparò a scrivere.
La fortezza, ben conservata, è suggestiva e d'estremo interesse. Ha una pianta pentagonale, con piede scarpato ed alte cortine, sul lato orientale è difesa da una torre a sezione poligonale irregolare che pare quasi una guglia di roccia. Purtroppo, i restauri del 1975 hanno alterato il cromatismo originario del paramento senza peraltro diminuirne il fascino severo e minaccioso.
I Salimbeni, signori di Tentennano odiavano da sempre i Tolomei, un'altra potente famiglia senese. Tutto li divideva ad iniziare dalle simpatie politiche, infatti, i primi erano ghibellini, i secondi guelfi ed ogni occasione era buona per scontrarsi. La situazione era diventata veramente insostenibile, cosicché nel 1337, nel "Giorno dell'Angelo", si cercò di creare un'occasione per portare un po' di pace fra le due consorterie. L'incombenza fu assunta, di buon grado, dai contradaioli del "Bruco", che organizzarono, fra le vigne, un pranzo al quale avrebbero partecipato diciotto Salimbeni e altrettanti Tolomei. La scampagnata pacificatrice si svolse nella migliore delle maniere. I piatti si susseguirono abbondanti fra la serena soddisfazione degli astanti, fino a quando fu portato un vassoio con diciotto tordi, una rarità vista la stagione.

I Tolomei, a quel punto, presi da frenesia, se ne appropriarono senza riguardo per gli altri commensali che, irati, misero mano alle armi e li uccisero al grido "a ognuno il suo". Così, quella che doveva essere la merenda della pace si trasformò in una strage che originò nuovi odi, rancori e vendette268.
Ancora oggi una località lungo la Cassia porta, in ricordo della strage, il nome di "Malamerenda" mentre si vuole che i diciotto Tolomei siano sepolti sotto una scalinata nel chiostro della chiesa di San Francesco.

 

Radicofani
La salma dell'usuraio maledetto
Fra le molte leggende tramandate a Radicofani ve ne è una particolarmente significativa. Si narra che un tempo abitava nel paese un usuraio senza cuore che aveva ridotto alla disperazione molte persone. Egli era un demonio incarnato, che stendeva una sorta di tela nella quale, inesorabilmente, cadeva chi si trovava in difficoltà. Capitare nelle mani di un simile ceffo significava precipitare in una specie di incubo: i poverelli erano ricattati, sfruttati, schiavizzati per il resto della vita.
Quando l'usuraio morì, gli eventi dimostrarono di che pasta fosse: sul paese si scatenò una terribile tempesta e le strade furono invase da rospi, raganelle e serpenti. Ma il bello doveva ancora venire. Quando, infatti, la salma fu condotta in chiesa per l'ultimo saluto, un'oscurità impenetrabile scese dal cielo, l'aria si riempì di sinistri rumori e le tombe si scoperchiarono. Allora la gente comprese che il corpo di quel satanasso non poteva essere
sepolto in terra consacrata. Pertanto, fu scavata una fossa ai piedi di un olivo ove, senza tanti complimenti, fu inumato. La malvagità però è un tossico che avvelena tutto ciò che le sta attorno: l'albero presto seccò e nel legno schiantato s'insediò un serpente dagli occhi rossi come tizzoni ardenti, la terra si raggrinzì e divenne nera che sembrava catrame e nessuno ebbe più il coraggio di passare da quel posto maledetto.

 

Rocca di Radicofani
Ghino di Tacco un eroe leggendario
La Rocca di Radicofani, ricordata fin dal 973, occupa la sommità di una rupe basaltica, alta quasi ottocento metri che domina il sottostante abitato. Questa fortificazione imprendibile ebbe grande importanza poiché controllava la via Francigena sul confine fra Toscana e Lazio.
Appartenne, in un primo momento, ai monaci dell'Abbazia di San Salvatore sull'Amiata, fu poi cagione di contesa fra vari feudatari e
Siena che, nel 1144, se ne impossessò definitivamente. Ciò non la mise, comunque, al riparo di assalti e assedi alcuni dei quali coronati da successo. Durante la guerra di Siena, nel 1555, risultò, invece, imprendibile tanto che si arrese solo quattro anni dopo Montalcino. A partire dal 1564 fu radicalmente ristrutturata, su progetto di Baldassarre Lanci e di Simone Genga, sorse così la nuova rocca, a pianta irregolare, con bastioni di diversa dimensione. Quest'ultima costruzione è ancora visibile mentre sono pervenute poche testimonianze della cortina che proteggeva il borgo. Nel XIII secolo s'impossessò di Radicofani Ghino di Tacco, dei Cacciaconti di Guardavalle. Questo personaggio storico entrò presto nella leggenda e diventò, già per i contemporanei, una sorta di "nobile-bandito", simile per certi aspetti ad un nostrano Robin Hood.

Dante lo cita nella sua opera e Boccaccio lo dice: "[...] per la sua fierezza e le sue ruberie uomo assai famoso [che] ribellò Radicofani alla Chiesa di Roma, e in quel dimorando chiunque per le circostanti parti passava, rubare faceva a' suoi masnadieri".

Ghino, dopo essere stato celebre nel Medioevo, tornò di moda nell'Ottocento, quando l'anima romantica del secolo esaltò le sue imprese fra le quali l'uccisione del giudice Benincasa, che aveva condannato a morte suo padre. Fu in quel periodo che il Guerrazzi lo descrisse come "un eroe byroniano e alfieriano" e che, nel '72, Pietro Aldi lo ritrasse nell'atto di giurare vendetta. Nel Novecento la sua fama non si stemperò e, negli anni Trenta, sul «Corriere della Sera», fu pubblicato a puntate un romanzo storico su di lui.

 

Vagliagli
Castellare di San Fedele
Vicino al borgo di Vagliagli nel comune di Radda in Chianti, sulla collina di San Fedele fu individuata nel 1970 una strana struttura che interessa l'intero rilievo. L'altura è cerchiata da grandi muraglioni a secco, concentrici, a pianta ellissoide che degradano dalla sommità fino alla base, tanto che il colle ricorda un po' la montagna del Purgatorio, immaginata da Dante: "Il monte che si leva più dell'onda"360.
Strutture analoghe sono state segnalate in area celtica soprattutto in Francia, in Spagna e in Irlanda. Anche in Italia pur tuttavia vi sono architetture simili: si tratta dei "castellari" o "castellieri", probabili testimonianze di villaggi fortificati dell'età del bronzo e del ferro. Dopo varie considerazioni, si è giunti, comunque, alla conclusione che San Fedele sia stato un "oppidum"
celtico, sebbene la cosa lasci alquanto perplessi. Nell'area di Vagliagli sono state segnalate altre anomalie come, ad esempio, una pietra che reca un'iscrizione assai singolare in una zona interna; infatti, se la traduzione è giusta, l'antica epigrafe reciterebbe: "attenzione agli scogli".

 

Montalcino
Una fortezza imprendibile
Un satellite artificiale fra gli angeli

Montalcino è d'origine molto antica, sembra, infatti, che sia stato prima un insediamento etrusco e poi romano, come testimonia il toponimo, mons ilcinus, che si riferisce alle estese foreste di lecci (ilex), della zona.
Nell'814 il castello fu donato dall'imperatore Ludovico il Pio all'Abbazia di Sant'Antimo poi, nel XII secolo, divenne libero comune. La sua indipendenza fu però, fin dalle origini, minacciata da Siena che, nel 1201, riuscì a sottometterlo. Vinta ma non doma, la piccola città riprese la lotta e, con l'aiuto di Firenze, cacciò i Senesi. Questi nel 1260 la strinsero di nuovo d'assedio con ingenti forze e l'intenzione di chiudere per sempre la partita. I difensori, però, non disperavano e attendevano con ansia aiuti da parte della taglia guelfa. La loro fiduciosa attesa tramontò improvvisamente ai primi di Settembre, quando giunse la notizia che il 4 l'armata degli alleati era stata disfatta a Montaperti e che la stessa Firenze era caduta in mano ghibellina. Persa così ogni speranza, Moltalcino si arrese e, da allora, divenne una roccaforte senese, difesa da un'imprendibile fortezza. La fiducia nelle sue fortificazioni divenne tale che, quando nel 1555 Siena cadde in mano di Cosimo, gli irriducibili, contrari alla resa, vi si rifugiarono assieme a contingenti francesi. Qui costituirono un governo libero che ammainò la propria bandiera solo quattro anni più tardi, a seguito della pace di Chateau Cambrésis. La rocca è un raro e ben conservato esempio di fortificazione medievale, adattata poi all'impiego delle armi da fuoco. La parte più antica, a pianta pentagonale, fu edificata nel 1361 da Mino Foresi e Domenico di Feo che si avvalsero di precedenti strutture duecentesche. È dotata di torri poligonali, tre delle quali sono a difesa delle porte. A queste si aggiunse il mastio, costruito dopo il 1559, e lo "spalto mediceo", un bastione triangolare progettato da Simone Genga.
La fortezza non offre curiosità particolari, se non la sua eroica storia; un accattivante "mistero", invece, si trova nella Chiesa montalcinese di San Pietro. All'altare di destra vi è, difatti, la Glorificazione dell'Eucarestia, un dipinto del XVII secolo di Bonaventura Salimbeni che mostra uno strano oggetto posto fra le figure che simboleggiano la Trinità. Si tratta di una sfera perfetta, lucida, di colore metallico, con un riflesso luminoso nella parte superiore; porta due lunghe antenne, munite di rigonfiamenti alle basi e di sferette alle estremità, una di queste è presa, con la mano, dal Figlio, l'altra dal Padre.
L'arnese, assai bizzarro, ricorda da vicino i satelliti artificiali della fine degli anni Cinquanta come, ad esempio, il Vanguard II Probabilmente rappresenta il mondo e le bacchette indicano il potere che vi esercita la Trinità. La cosa è comunque misteriosa, inoltre sono del tutto inspiegabili altri particolari del quadro, come un cilindretto e una porzione di cerchio massimo, raffigurate nella parte bassa dell'opera.

 

Castelnuovo dell'Abate
La fonte lattaia
Fra le frazioni di Montalcino, chiamate Castelnuovo dell'Abate e Sant'Angelo in Colle vi sarebbe una rara e preziosa 'fonte lattaia'. Secondo una tradizione popolare, consolidata e diffusa un po' in tutta la Penisola, le "finti lattaie", sarebbero sorgenti che avrebbero il dono di aumentare il latte di balie e nutrici. Si tratta di una credenza antichissima, impostata su una regola fondamentale della magia: il rapporto di simpatia sussistente fra simili. In questo caso il mito nacque, probabilmente, dalla scoperta, in zone carsiche, di stalattiti dalle quali gocciolava un'acqua lattiginosa per la presenza di calcio. La similitudine fra tali aspetti geomorfologici e i seni materni, turgidi di latte, generò la leggenda di fonti miracolose, capaci di risolvere un problema che allora poteva essere grave. Alcuni ritrovamenti archeologici hanno dimostrato che già in età neolitica le "fonti lattaie" erano conosciute, tanto che presso la sorgente di San Leonino, nel comune di Bucine, è stata trovata una statuetta con grandi seni. Con tutta probabilità si tratta di una sorta di ex voto, vecchio di diverse migliaia di anni. Gli Etruschi poi tennero in grande considerazione le "fonti lattaie", tale credenza fu quindi ereditata dai Romani che la trasmisero al mondo cristiano. Nel medioevo vi fu un processo di acculturazione e le sorgenti taumaturgiche divennero tali per un evento miracoloso.

 

Monteriggioni
I giganti infernali
II lago scomparso

Monteriggioni, già importante in periodo etrusco, divenne nel
Medioevo un antemurale a difesa dei confini settentrionali di Siena che, preoccupata per l'espansionismo fiorentino, pensò di fortificare la collina di Monteriggioni. Fra il 1213 e il 1219 fu, pertanto, elevata una cerchia di mura, lunga ben 560 metri e munita di quattordici torri.
I Fiorentini, nel 1232, chiesero inutilmente che la piazzaforte fosse demolita, poi, nel 1254, provarono invano a conquistarla. Solo i fuoriusciti senesi riuscirono, per due volte, ad averne ragione e, nel 1554, le vecchie mura si sarebbero fatte di nuovo onore se il marchese di Marignano non avesse corrotto il traditore Giovannino Leti, che aprì le porte.
Monteriggioni ha mantenuto pressoché intatta la sua cinta con le numerose torri, scapitozzate per necessità difensive con l'avvento delle armi da fuoco.
L'andamento delle mura è grossomodo circolare, il che non doveva costituire una soluzione particolarmente felice, in quanto impediva una difesa adeguata delle cortine. All'interno una via collega le due porte, dividendo simmetricamente l'abitato, costituito da piccole case in pietra e dalla chiesa parrocchiale in stile romanico-gotico.
Questa eccezionale città fortificata colpì la fantasia di Dante che forse proprio qui seppe, nel 1302, che era stato bandito. Da quel momento fu un esule costretto a spostarsi di città in città, di castello in castello, ma sicuramente rimase vivido in lui il ricordo di Monteriggioni, tanto da paragonarne le torri ai giganti delle bolge infernali, come si legge nel XXXI Canto dell'Inferno: "Però che come sulla cerchia tonda / Monteriggion di torri si corona / così la proda che il pozzo circonda / torreggiavan di mezza la persona / li orribili giganti, cui minaccia / Giove dal cielo ancora quando tona".

 

Murlo
DNA degli Etruschi

Il terribile Baicche
Murlo, che si erge su un'altura isolata di 317 metri, fu, fin dal 1189, un feudo della diocesi di Siena con numerosi privilegi e diritti che vennero limitati solo nel XIV secolo. Era allora un borgo murato, difeso da una cortina quasi circolare ed era presidiato da una guarnigione che, pur dipendendo dal vescovo, operava in nome di Siena. Il suo stato giuridico di terra soggetta alla Cattedrale, lo mettevano al riparo da molti rischi; solo durante l'assedio di Siena fu investito dagli eserciti ispano-medicei e subì gravi danni. Sotto il Granducato di Toscana le cose non mutarono, Murlo rimase feudo diocesano, mantenendo tutti i privilegi fra i quali quello dell'extraterritorialità. Ciò ne fece, fino al 1749, un'oasi per ricercati e contrabbandieri che, fra le sue mura, erano al sicuro da sbirri e condanne.
Il borgo è assai interessante e ben conservato, rimangono ancora due porte, la chiesa di San Fortunato e il palazzo vescovile, chiamato "Palazzone", costituito da varie costruzioni che, nel tempo, si sono addossate alla rocca medievale.
In questo edificio ha sede un piccolo museo etrusco con reperti rinvenuti nei vicini scavi di Poggio Civitale. Qui, fino al 590 a.C, si trovava un grande insediamento agricolo, con tanto di tempio dedicato agli dei familiari. Particolarmente interessanti sono le statue fittili di uomini, cavalieri, sfingi e gorgoni. Notevoli anche alcuni oggetti di piccole dimensioni in metallo prezioso, osso e argento e un balsamario d'alabastro. Sembra, inoltre, che a Murlo gli Etruschi abbiano lasciato anche un'impronta genetica. La scoperta di una traccia etrusca nel sangue dei Murlesi è risultata da una ricerca condotta dalle università di Stanford in California e di Torino. Lo studio ha dimostrato una difformità fra il DNA di tale gruppo etnico, da sempre abbastanza isolato, e quello della maggioranza degli italiani: sarebbe questa l'estrema eredità dei misteriosi Raseni. Il 13 Febbraio del 1870, nacque, nei pressi di Murlo, uno dei più celebri briganti toscani dell'Ottocento, Giovanni Turchi, detto Baieche. Egli era un onesto calzolaio, col difetto di guardare un po' troppo le donne e, nel 1892, s'invaghì di una bella signora di nome Candida Maggi. La donna, felicemente sposata, non voleva saperne del ciabattino che deluso fu preso da un odio feroce. Così, dopo averla minacciata, la mattina del 15 Agosto del 1892, la ferì con tre colpi di pistola. Da allora il Turchi si dette alla macchia e terrorizzò l'intera valle dell'Arbia. Rubò, rapinò, ricattò e soprattutto uccise. La prima vittima fu la povera Candida, poi toccò ad una certa Rosa Pieri, rea di "aver parlato male" di lui. Finalmente, nell'Ottobre del 1897, fu catturato e condannato all'ergastolo dal tribunale di Siena.

 

Monte Siepi
La spada nella roccia
A dominio della celebre abbazia di san Galgano, sull'altura di Monte Siepi sorge la chiesetta che Galgano Guidotti avrebbe costruito nel 1180. Si tratta di una costruzione interessante, a pianta centrale e dal campaniletto a vela, che presenta una leggiadra bicromia dovuta all'alternarsi di cotto e conci in travertino. Ma ciò che affascina di più è, al centro della costruzione, un masso con una spada conficcata. Secondo la tradizione Galgano, cavaliere di Chiusdino, convertitosi alla fede, infilò nella roccia la spada per poter adorare la croce dell'elsa. Gli apparve allora l'Arcangelo Michele che lo confermò nella vocazione, dopo di che il redento condusse in santità una vita eremitica. L'arma che oggi si vede in una cavità del pavimento, protetta da una lastra di vetro, non è l'originale che fu spezzata nel tentativo scriteriato di estrarla dal macigno.
La storia agiografica di San Galgano è affascinante anche perché
richiama alla memoria la leggenda arturiana di re Uther, che non avendo eredi, lasciò il regno a chi avesse estratto dalla roccia la spada che vi aveva conficcato.
È interessante notare come il nome Galgano riecheggi quello di Galvano, un protagonista nella saga della "Tavola rotonda"; non sfugge inoltre il fatto che il Santo di Chiusino visse nel periodo che vide diffondersi la letteratura cavalleresca. Nella chiesa di Monte Siepi, oltre alla celebre arma vi è un'altra singolarità che non tutti notano. Dietro l'altare vi sono due mani mozzate, secondo la tradizione furono strappate da un lupo ad uno degli "uomini neri" che, nel 1181, distrussero la capanna dell'Anacoreta.

 

(Tratto da:  - La Toscana dei misteri - di Luigi Prunetti)