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L'Antica Corsignano, nucleo originario della futura Pienza
Ne Medioevo il ruolo della Val d'Orcia nella viabilità regionale già notevole nell'antichità, si accrebbe per merito della via Francigena, che attraversava longitudinalmente la valle, incrociando gli antichi tracciati viari. La presenza della principale arteria per il traffico continentale dell'età di mezzo funse da catalizzatore per la vita economica e sociale, stimolando la crescita delle forze produttive. Da qui derivò l'incremento demografico e lo sviluppo urbano di taluni centri abitati, in primo luogo di quelli situati lungo la strada, il cui percorso si svolgeva pressappoco parallelamente ai confini occidentali dell'attuale territorio comunale di Pienza. A tal proposito, nel territorio pientino, emersero alcune località il cui sviluppo è spiegato dallo stretto rapporto che tali centri ebbero con la viabilità. Non a caso, infatti, i principali insediamenti fortificati della zona (Corsignano, Monticchiello, Castelluccio) si trovavano tutti lungo l'antica direttrice viaria proveniente da Chiusi che incrociava la Francigena. Corsignano è ricordato sin dal IX secolo quale sede di una curtis di proprietà dell'Abbazia di San Salvatore sul monte Amiata: tra il XII e il XIII secolo, in concomitanza con la crescita urbana del primitivo nucleo, si affermò sul castello il Comune di Siena. Per la sua importanza strategica ai confini del territorio senese, Corsignano divenne sede di un presidio militare e fu spesso al centro di episodi bellici, con relative devastazioni, come nella guerra del 1229-1235, allorché fu occupato dagli eserciti di Firenze e di Orvieto. Il castello ebbe anche un peso rilevante nell'organizzazione territoriale e amministrativa del contado senese: fu fatto sede di podesteria e poi di vicariato, negli stessi anni (XIII-XIV secolo) in cui si andarono sviluppando nella zona i possessi fondiari dei Piccolomini, la consorteria senese dalla quale uscirà il pontefice Pio II.
La Pieve di Corsignano Esterno
Nel periodo romano-imperiale
è presumibile che la zona fosse di pertinenza dei municipia di
Chiusi e di Arezzo: sembrano indicarlo le confinazioni diocesane del
Medioevo, che mostrano, appunto, la val d'Orcia divisa tra i due
vescovadi formatisi sulla base delle circoscrizioni amministrative
romane. Parte del settore aretino, nell'Alto Medioevo, cominciò ad
essere rivendicato dal vescovo di Siena, nel quadro di una lunga
controversia placatasi soltanto nel XIV secolo. Elementi ornamentali riconducibili alla cultura artistica lombarda sono presenti nella facciata, dove si apre un portale leggermente risaltato, sormontato da una bifora con il capitello a gruccia sorretto da una figura muliebre, in cui una delle due aperture è più alta dell'altra. Le decorazioni del portale ripetono i motivi tradizionali della plastica ornamentale romanica di matrice lombarda (sirena bicaudata, palmette, fiori stellati). La sirena fa parte, in realtà, di un unico bassorilievo in cui la vediamo al centro della scena, a simbolo delle tentazioni e dei bassi istinti, animaleschi, che mettono alla prova l'individuo. Alla sinistra, l'uomo che si è lasciato guidare da questi ciechi istinti, animaleschi, raffigurati con la strana bestia che sembra suggerirgli l'errata via in un orecchio, ha perso la sua vera natura ed, infatti, ha assunto la coda di pesce, facendosi bestia tra le bestie. Alla destra, in contrapposizione, l'uomo tiene la bestia in pugno, quasi strangolandola: egli ha vinto e domina le pulsioni animalesche, ed infatti con l'altra mano afferra il braccio di una donna, la sua compagna, e sta lì ad indicare l'ideale di vita cristiano, o la Via per l'Illuminazione. Altre figure minori, ma non per questo meno importanti, appaiono qua e là nel portale, tra le decorazioni. Sullo stipite sinistro, alla base dell'arco di volta, troviamo la figura di una rosetta al centro di due teste d'ariete contrapposte. Poco al di sotto, che spunta dal pilastro del portale, vi è una faccina. Un altro volto dal ghigno beffardo si trova sul lato opposto, alla base dell'arco di volta, nell'esatta posizione tra le due teste d'ariete che sull'altro lato occupa la rosetta. Tra i nodi e gli intrecci che avvolgono gli stipiti, compare anche una specie di nodo che, avvolgendosi su sé stesso, forma una sorta di numero otto rovesciato di 90 gradi, quasi a riprodurre il "nodo dell'infinito". Le sculture che ornano l'architrave e i piedritti della porta che si apre nel fianco destro, dove, con volute di fogliami e intrecci geometrici, è raffigurata una fantasiosa Cavalcata dei Magi, secondo moduli stilistici di ascendenza orientale.
Interno L'interno della chiesa è scarno e sobrio, ha un impianto basilicale a tre navate, con campate di diversa ampiezza, nascenti da robusti pilastri quadrangolari, al termine delle quali, sulla parete di fondo, è addossato un altare. La parte presbiteriale manca quasi del tutto, a causa di una parziale rovina, da cui però si salvò la minuscola cripta che si sviluppa sotto la chiesa, al termine della navatella destra. Sulla destra, entrando, una lapide apposta sopra una fonte battesimale ci ricorda che; nell'anno 1405, Silvio Ena Piccolomini divenuto poi Papa Pio II, ricevette il battesimo e che, successivamente, anche suo nipote, a sua volta Papa nel 1503 con il nome di Pio III, qui fu battezzato. Non sono presenti affreschi o decorazioni, se si escludono le poche lastre decorate con motivi ad intrecci ed a nodi che separano la navata destra dall'altare e dall'ingresso alla cripta. Un elemento, però, è degno della massima attenzione: sono i due serpenti che si trovano uno sopra l'altro in bella vista su uno dei capitelli della navata sinistra. Il più corto dei due si estende in tutta la lunghezza, mentre l'altro a circa metà lunghezza si avvolge su una spira. È una figura simbolica, chiaramente allusiva alle energie ctonie ed ai culti della terra. Questa figura è da legare a quella semi-leggendaria del Serpente Regolo e Basilisco, (il termine latino 'regulus' e quello greco 'basiliscos' hanno lo stesso significato, e cioè "piccolo re") molto diffusa nelle tradizioni popolari dell'Appennino Toscano ed anche laziale. Un enorme serpente dal corpo tozzo, le squame lucenti e due piccole ali sul dorso. Secondo le leggende popolari, questi serpenti sarebbero guardiani di tesori favolosi. Il Serpente Regolo era una divinità romana a quanto pare ancora in uso, almeno in chiave allegorica, nel VII secolo, ovvero all’epoca della costruzione della Pieve di Corsignano di Pienza, dove troviamo una delle poche rappresentazioni del serpente Regolo arrivate “originali” fino a noi. La cripta, piccolo ambiente sotterraneo, oggi spoglio, presenta una serie di piccole volte a crociera sorrette al centro da un unico pilastro in forma di colonna, alla base della quale si nota una scultura che potrebbe far pensare ad un "centro sacro". Sulla parete di fondo si apre una nicchia semicircolare, mentre su quella di sinistra, lato chiesa, un'intercapedine protetta da una grata poteva accogliere, un tempo, un qualche reliquario. Una piccola finestra sul lato opposto fa filtrare un filo di luce dall'esterno. La Pieve di Corsignano è l'unica chiesa plebana superstite del territorio pientino, essendo scomparse o declassate tutte le altre antiche pievi (Santa Maria in Cosona, San Martino di Fabbrica, Santa Maria allo Spino, San Donato di Bibbianello, Pieve di Conino).
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