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La Pieve di Sant’Ippolito è
la chiesa più antica di Asciano, annoverata a partire dal 714 tra le
strutture religiose contese fra i vescovi di Siena e di Arezzo, ed è
proprio da quei documenti di epoca longobarda che scaturisce la sua
probabile origine risalente al IV –V secolo d. C., mantenne i diritti di
chiesa battesimale fino al 998, quando, il titolo passò alla vicina
chiesa di S. Agata dentro il castello di Asciano.
Successivamente la struttura
religiosa, venne ricordata dalla bolla di papa Alessandro III del 1178,
e dalla seconda metà del Trecento diventò probabilmente sede di un
convento dei Gesuati, forse dal 1367, anno in cui il Venerabile Girolamo
d'Asciano fu eletto generale dell'ordine, dopo la morte del fondatore il
Beato Giovanni Colombini. Con la soppressione dell’ordine nel XVII sec.
iniziò il periodo buio della storia della chiesa, fino al 1875 quando
acquistata da privati, fu nuovamente officiata dal 1887 fino alla sua
successiva decadenza e dimenticanza per essere trasformata in capanno di
rimessa di attrezzi agricoli.
Originariamente a tre navate, oggi residua la sola navata centrale in
fondo alla quale, a tutta parete, è conservato uno splendido affresco.
L'affresco sulla parete di
fondo della chiesa romanica dei Santi Ippolito e Cassiano denota
chiaramente, a prima vista, riferimenti iconografici e devozionali che
vanno ben oltre l'ambito locale. Vi sono infatti raffigurati, accanto
alla madonna col Bambino, non i santi titolari della chiesa, Ippolito e
Cassiano, ma gli apostoli fondatori della chiesa di Roma, Pietro e
Paolo. Ciò fa subito pensare ad un privilegio vaticano sulla
composizione pittorica che si spiega se si considera che davanti alla
chiesa passava un tempo l'antica Via Lauretana. Ciò consente anche di
collocare il dipinto nel periodo del Grande Giubileo di Mezzo Millennio,
l'anno 1500, quando, in vista dell'intenso afflusso dei pellegrini nelle
strade per Roma, Loreto ed altri luoghi della fede, s'intensificò
notevolmente l'attività di decorazione e di abbellimento dei percorsi
peregrinatori.
L'affresco è stato restaurato
negli anni 2014 e 2015 dalla bottega del Prof. Botticelli Guido con la
collaborazione dei restauratori Yoshifumi Maekawa e Stefania
Franceschini. Il restauro, oltre a consolidare e mettere in sicurezza le
parti che risultavano più deteriorate, è consistito in una accurata
pulitura della superficie pittorica da polvere e residui di imbiancature
che l'opera ha subito nel corso dei secoli. La fase finale di ritocco
pittorico, limitato all'abbassamento tonale delle zone abrase e delle
stuccature, ha messo in risalto i pregevoli particolari della
composizione permettendoci oggi di poterne apprezzare maggiormente la
qualità.
Attribuito fin dal 1821
dall'Abate De Angeli di Siena a Giacomo Pacchiarotti, un pittore senese
minore, l'affresco, pressoché sconosciuto fino a qualche anno fa ed
oggetto di nuovi studi, si rivela invece un capolavoro della pittura
umbra ed appare eseguito a più mani (almeno due) tra la fine del '400 e
gli inizi del '500. La Madonna col Bambino, secondo recenti studi,
potrebbe essere di mano del Pintuiricchio, pittore al quel tempo a
servizio della corte pontificia, che probabilmente il Cardinal Girolamo
Basso della Rovere, protettore della Santa Casa, incaricò di lavorare al
decoro delle vie Lauretane in Umbria e Toscana. Alla destra della
Madonna col Bambino le figure dei Santi Pietro e Cassiano, pur sempre
della scuola umbra, appaiono di qualità inferiore e di altra mano, che
al momento non è stato possibile riconoscere.
Va ricordato che sotto le immagini della nicchia centrale c'era un
"gradino d'altare colorito nel medesimo stile" dell'affresco "con molte
figurine" (E. Romagnoli), con le storie dei Santi sopra raffigurati e
cioè San Pietro, San Paolo, Sant'Ippolito e San Cassiano, che fu
regalato ai primi dell'800 dal proprietario Carlo Doganelli al Cavalier
Guido Bianchi di Asciano.
A fine '800, quando fu
temporaneamente ripristinato il culto nella chiesa e furono fatti alcuni
restauri, lo spazio dov'era la predella, sopra alla mensa dell'altare,
rimasto vuoto, fu usato per scrivervi il nome dei Santi raffigurati
nell'affresco. Occorre quindi tener conto per una corretta lettura delle
immagini, che il nome di San Cassiano si riferisce all'ultima figura a
sinistra della nicchia e quello di Sant'Ippolito all'ultima a destra.
Detto questo quindi, abbiamo la grande sorpresa nelle figure dei Santi
Paolo e Ippolito, a sinistra della Vergine col Bambino, che sono di una
qualità artistica straordinaria. L'immagine di Sant'Ippolito, soldato
romano, carceriere di San Lorenzo, patrono dei cavalieri, denota subito,
per la delicatezza dei lineamenti e l'atteggiamento della figura, la
somiglianza a tutti i vari ritratti conosciuti di Raffaello Sanzio.
L'emozionante impressione che ci si trovi di fronte ad un autoritratto e
figura intera e a grandezza al naturale del grande artista urbinate è
confermata dalla scritta che è possibile leggere sul colletto della
veste del Sant'Ippolito: RAPH.V (RAPHAEL URBINAS).
Dagli studi fatti
sull'affresco è emerso con chiarezza un inedito Raffaello devoto
pellegrino lauretano che nella chiesa nei pressi di Asciano, sulla via
per Loreto, a 17 anni, si dedicò, come prevedevano i precetti del buon
pellegrino del tempo, a Dio, sottolineando il gesto con la sua immagine
e con la sua dedica, mai più ripetuta negli autoritratti.
Fuori dalla nicchia che racchiude le immagini sopra indicate si vedono
altre figure. A sinistra Sant'Agostino, di altro pittore, sempre di
scuola umbra, San Domenico e, sulla destra, Sant'Antonio da Padova.
Queste due ultime immagini appaiono ritoccate da mano meno esperta,
forse o fine '500, probabilmente dopo la sollecitazione del 1583 del
Visitatore apostolico Mons. Angelo Peruzzi.
Un'ultima figura della grande
composizione pittorica, all'estrema destra, è stata recentemente
riscoperta grazie al restauro ma ne rimangono pochi resti, probabilmente
a causa di infiltrazioni di umidità o di pioggia se si considera che
sulla parete adiacente c'era un tempo una finestra. Dai resti che
rimangono, si può presupporre che si tratti di San Sebastiano ma
purtroppo gli elementi per confermarlo non sono molti. Lo sfondo della
composizione è più curato nella parte di destra e vi si vedono un lago e
gli alberelli. Bellissimi rosoni e grottesche decorano le cornici e il
sottarco della pregevole composizione.
A Divo Savelli - storico
d'arte laureato in storia dell’arte all’Università di
Firenze con una tesi sull’arte nel territorio di Rapolano
Terme nel ’5 e ’600, nelle sue varie ricerche ha studiato in
particolare l’arte a Firenze, Siena e nei loro territori,
facendo anche importanti scoperte sulla Sagra di Masaccio,
nel chiostro del Carmine, sulla Stanza dello Spedale dei
Tintori, dove Michelangelo disegnò la Battaglia di Cascina -
si deve la scoperta dell'autoritratto di Raffaello inserito
nell'affresco sopra descritto.
I suoi studi hanno riguardato anche la committenza artistica
fiorentina dal ’200 al ’500 e l’arredo urbano, soprattutto
fiorentino, nel corso dei secoli. Sulla committenza ha messo
in evidenza il ruolo di oltre 450 fra istituzioni laiche,
religiose e famiglie fiorentine che nei secoli hanno
commissionato opere d’arte in pittura, scultura e
architettura. Sull’arredo urbano, ha fotografato migliaia e
migliaia di elementi funzionali e decorativi. Sia lo studio
sulla committenza che la raccolta di foto li ha poi messi a
disposizione degli studiosi in pubbliche istituzioni
fiorentine.
Da anni si occupa della riscoperta delle vie lauretane e
delle loro opere d’arte in Toscana, in particolare nel
territorio di Firenze, Arezzo e Siena.
Cosi descrive la scoperta degli affreschi nella Pieve di
Sant'Ippolito ad Asciano:
Sono grato ad un bellissimo e pressoché ignorato affresco
che vidi per la prima volta nel lontano 1984 in una antica
chiesa di proprietà privata, non più officiata da secoli,
lungo un percorso lauretano nelle Crete senesi. Un’opera
fino ad allora considerata minore nel complesso panorama
della pittura senese fra fine ‘400 ed inizi ‘500.
Il dipinto, dovuto alla mano di almeno quattro artisti della
scuola umbra, mi apparve subito di grande qualità, come
hanno confermato poi gli studi che ho fatto, che mi hanno
portato a collocarne l’esecuzione nell’anno del Grande
Giubileo di Mezzo Millennio, il 1500.
Il fatto poi che vi fossero raffigurati, ai lati della
Madonna col Bambino, i santi Pietro e Paolo, mi fece pensare
ad una committenza partita da Roma, da dove si gestiva il
decoro delle Vie Lauretane, da inserire nel quadro delle
varie iniziative di abbellimento e arricchimento dei luoghi
sacri intraprese per il Giubileo.
Inoltre notai che nella figura che rappresentava uno degli
altri sei santi dell’affresco si celava l’autoritratto,
inconfondibile, del pittore stesso che l’aveva eseguito, che
mi fece pensare subito ad un giovanissimo Raffaello.
L’impressione venne poi confermata, ad una visione
ravvicinata della superficie pittorica, dalla firma “RAPH.V.”
che si legge, anche se ormai lievissima, sul colletto del
giovane santo guerriero.
Naturalmente anche questo poteva non bastare a fugare i
dubbi che si trattasse davvero di opera dello straordinario
magister, allora diciassettenne. Le conferme, abbondanti,
dovevano arrivare dallo studio che intrapresi su argomenti
di cui allora sapevo poco o niente, come le Vie Lauretane,
le relazioni dei pellegrinaggi, l’iconografia della Madonna
di Loreto e da una attenta e inedita rilettura in chiave
“lauretana” della produzione artistica del grande pittore
urbinate. In anni di lavoro su questi temi, che sono a
questo punto ben lieto di aver dovuto fare, ho potuto andare
anche oltre a quanto potesse servire a confermare la mia
attribuzione, arrivando a scoprire un Raffaello intimamente
devoto della Madonna di Loreto, come ci dicono vari intimi e
nascosti accenni iconografici visibili in numerosi suoi
dipinti, come il boschetto di allori con la chiesetta in
cima e il Monte Conero sullo sfondo, le ricorrenti immagini
della Sacra Famiglia, interi tratti di percorsi lauretani e
varie toccanti raffigurazioni della Fuga in Egitto, tutti
segni di cui la rivista Il Messaggio della Santa Casa-Loreto
gentilmente più volte ha dato notizia. Rimane da dire della
firma, infine, l’unica che il pittore abbia apposto sui suoi
autoritratti. Vedo allora, dalle relazioni di pellegrinaggio
del tempo, che fra i vari impegni del buon pellegrino
lauretano c’era quello di dedicarsi, alla vigilia della
partenza per un gioioso ma anche faticoso e pericoloso
percorso penitenziale, a Dio. Cosa c’era di meglio, allora,
per un grande giovane artista, la cui forte, pressante
personalità creativa stava per esplodere, che debuttare
ufficialmente in un percorso lauretano sotto la protezione
della Madonna, esprimendo oltre che interiormente anche
visivamente questa sua dedica con tanto di immagine e firma,
una volta per sempre, quale entusiasta artefice e devoto
pellegrino, nell’anno del fastoso Giubileo di Mezzo
Millennio? La conoscenza inattesa di un “patrono” artistico
così grande può contribuire a dare slancio alla riscoperta
delle Vie Lauretane in Toscana e non solo, a lungo
localmente dimenticate e sulle quali si registra ora una
ricca, crescente fioritura
di studi.
https://www.ibs.it/arte-devozione-rilettura-scoperte-nel-libro-divo-savelli/e/9788890585883
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