Paesi, città, governanti, i potenti, il popolo

 

 

L'uomo fa il luogo, e il luogo l'uomo.
 

  Ogni paese al galantuomo è patria sua.   La patria è dove s'ha del bene.   Ovunque vai, fa' come vedrai.
Con poco cervello si governa il mondo.
 
Un furfante governa cento poltroni, e cento poltroni non governano un furfante. Nel governo più importa saper comandare che obbedire. Chi non sa scorticare intacca la pelle.
Chi troppo mugne, ne cava il sangue. Non è buon re, chi non regge sé. Chi non sa fingere, non sa regnare. L'avarizia de' re, peste de' regni.
Nelle stracce e negli straccioni s'allevano di gran baroni.

 
Paura de' birri, desìo di regnare, fanno impazzire. Sogni de' principi, ricchezze de' poveri. Riso di signore, sereno d'inverno, cappello di matto, e trotto di mula vecchia, fanno una primiera di pochi punti.
Chi maneggia, braveggia. D'un disordine nasce un ordine. L'ordine è pane, e il disordine è fame. E' meglio città guasta, che perduta.
Chi mangia l'oca alla corte, in capo all'anno caca le penne. Mai sbandito fe' buona terra. Val più una frustata che cento arri là. Quando il cieco porta la bandiera, guai a chi vien dietro.
Chi ha prete o parente in corte, fontana gli risurge.
 
I cortigiani hanno solate le scarpe di buccie di cocomero.
 
I favori delle corti sono come sereni d'inverno e nuvoli di state. Chi è in corte è destinato, se non muor santo, muor disperato.
Bocca unta non può dir di no. Adulatori e parassiti sono come i pidocchi. Il gran signor non ode, se non adulazion, menzogna e frode. Non cercar mai d'udire da' Principi quel ch'e' non voglion dire.
Gli inconvenienti degli Stati sono come i funghi. Chi dice parlamento, dice guastamento. I partiti fanno andare gli uomini in galera. Corte e morte, e morte e corte, fu tutt'una.
Il fisco è come l'idropico. Chi non sa fare, non sa comandare. Chi disse ragion di Stato, disse un tristo; e chi disse ragion di confino, disse assassino. Negli Stati il sospetto, si punisce per l'effetto.
Paesi fecondi, rendon molti vagabondi.
 
Chi ama il forestiero, in capo al mese monta a cavallo, e se ne va al paese. Paese che vai, usanza che trovi. Val più una frustata che cento arri là.
I Francesi non dicono come voglion fare, non leggono come scrivono, non contano come notano.
 
In Italia troppe feste, troppe teste, troppe tempeste. Le nazioni smaltiscono diversamente il dolore: il Tedesco lo beve, il Francese lo mangia, lo Spagnuolo lo piange, e l'Italiano lo dorme. Gente di confini, o ladri o assassini.
Signore spagnuolo, e pasticciere francese. Il Francese per amico, ma non per vicino, se tu puoi. Francese furioso, Spagnuolo assennato, Tedesco sospettoso. Al Francese un'oca, allo Spagnuolo una rapa.
Dove stanno de' tedeschi non vi può stare Italiani. Francese per la vita, Tedesco per la bocca.
 
Guerra spagnuola, grande assalto e poi buona ritirata. Uomo di Spagna ti fa sempre qualche magagna.
Inglese italianato, è un diavolo incarnato. Chi si fida di Greco, non ha il cervel seco. Milano la grande, Vinegia la ricca, Genova la superba, Bologna la grassa, Firenze la bella, Padova la dotta, Ravenna l'antica, Roma la santa. Tedeschi, intendono più che non sanno esprimere.
 
Il bianco e il nero han fatto ricca Vinegia. La Lombardia è il giardino del mondo. Milan può far, Milan può dir, ma no può far dell'acqua vin. In Tirolo si semina fagioli e nascono sbirri.
Non ha Vinegia tanti gondolieri, quanti Vicenza conti e cavalieri. Bacco e pippe: Bergamaschi fa coglioni, I Brescian, tagliacantoni: Ne volete di più tristi? I Cremaschi brusa-Cristi.
 
Veronesi, tutti matti: Udinesi, castellani, col cognome di Furlani, Trevisani, pane e trippe, Rovigotti, Veneziani, gran signori, Padovani, gran dottori: Vicentini, magnagatti,
Pan padovano, vin vicentino, carne furlana, trippe trevigiane. Nel monte di Brianza, senza non si danza. Il Bergamasco ha il parlare grosso e l'ingegno sottile. Non sono in Arno tanti pesciolini quanti in Venezia gondole e camini.
Genovese aguzzo, piglialo caldo. Genova, prende e non rende. Veronese, bella mano. Bologna la grassa, ma Padova la passa.
Chi sta a' marmi di Santa Maria del Fiore, o è pazzo o sente d'amore. Il Fiorentino mangia sì poco e sì pulito, che sempre si conserva l'appetito. Firenze non si muove, se tutta non si duole. Guardati da Toscan rosso, da Lombardo nero, da Romagnuol d'ogni pelo.
I Sanesi hanno sei nasi. Tre cose son difficili a fare: cuocere un uovo, fare il letto ad un cane, ed insegnare a un Fiorentino. Fiorentin mangia fagioli, e' volevan gli Spagnuoli; Li Spagnuoli non venuti, Fiorentini becchi cornuti. Fiorentini ciechi, Senesi matti, Pisani traditori, Lucchesi signori.
Pisa, pesa per chi posa. Maremmani, Dio ne scampi i cani. San Geminiano dalle belle torri e dalle belle campane, gli uomini brutti, e le donne befane. Panno senese, si rompe prima che si metta in dosso.
Romaneschi, non son buoni né caldi né freschi. Chi vuol vedere Pisa, vada a genova. [1]  Meglio un morto 'n casa che un Pisano all'uscio. I ladri di Pisa, di giorno si leticano, e la notte vanno a rubare assieme.
Roma non fu fatta in un giorno. Tutte le strade conducono a Roma. A passo a passo si va a Roma. Chi lingua ha, a Roma va.
Roma non fu matrigna a nessuno. Roma, doma. In Roma più vale la cortigiana, che la donna romana. Meglio essere a Roma senza padrone, che per la strada senza quattrini.
I Salernitani ingannano il Diavolo. Napoletano, largo di bocca e stretto di mano. Vedi Napoli e poi muori. Roma travagliata, ché chi ha bella moglie vive d'entrata.
 
Tevere non cresce, se Sieve non mesce.
 
Pugliese, cento per forca e un per paese.
 
Il Po non sarebbe Po, se l'Adda e il Ticino non ci mettesser co' (capo).
 
Chi vuol provare le pene dell'inferno, la state in Puglia e all'Aquila di verno.
 
Nuovo signore, nuovo tiranno. Tumulto presente, rigor pronto. Il peccato del signore fa piangere i vassallo. Tirannia, tumulto e farina, delle città son la rovina.
Signor di maggio dura poco. Mai sbandito fe' buona terra. Chi maneggia, braveggia. Una noce in una vigna, una talpa in un prato, un legista in una terra, un porco in un campo di biada, e un cattivo governatore in un città, sono assai per guastare tutto.
Chi ha molti dà terrore, di molti abbia timore. Chi fa temere ogni uomo, teme ogni cosa. Chi più teme, minaccia. Chi è più alto, è il bersaglio di tutti.
Chi ben siede, mal pensa. Chi è in alto, non pensa mai al cadere. Chi è ritto può cadere. Spada in bassa mano, non è senza taglio.
Tra la briglia e lo sprone, consiste la ragione. Cavaliere senza sproni, cavalier de' miei coglioni. Quando la merda monta in scanno, o che la puzza o che fa danno. Ognuno vorrebbe il mestolo in mano.
Il pesce comincia a putir dal capo. Dal capo vien la tigna. Chi ha il mestolo in mano, fa la minestra a modo suo. Il campanile non migliora la cornacchia.
Il buon pastore tosa, ma non iscortica. Chi serve al Comune, non serve a nessuno. Chi mangia la torta del Comune, paga lo scotto in piazza. Chi fonda sul popolo, fonda in sulla rena.
Non bisogna mostrare i cenci al popolo. Chi vuol bene dal popolo, lo tenga scusso. [2] Pane e feste tengon il popol quieto. Pantalon, paga per tutti.
Pane in piazza, giustizia in palazzo, e sicurezza per tutto. A popol sicuro non bisogna muro. Le secchie si mettono a combattere col pozzo, e ne portano la testa rotta. L'acqua e il popolo non si può tenere.

[1] Il detto trae origine dal gran numero di pisani che i genovesi condussero prigionieri nella loro città dopo la vittoria navale della Meloria, il 6 agosto 1284, che vide la fine della potenza marittima di Pisa.

 

[2] "Scusso", aggettivo ora caduto in disuso, significa "privo di tutto". In Toscana si diceva "mangiare pane scusso", cioè senza companatico.