Speleologia tra preistoria, folklore e leggenda

 
 

 

 
 

 

 

 

 

In una profonda forra scavata nel calcare dal torrente Tresa tributario dell'Orcia, si apre la BUCA del BEATO che ha tre ingressi a differenti altezze nella parete destra del Tresa.
Nell'ingresso superiore visse Giovanni Benincasa (1375-1426) che dopo aver soggiornato in vari eremi si stabilì in questa cavità dove morì.


Il suo corpo, dopo liti e smembramenti vari (era conteso dai Padri Serviti di Firenze e dagli abitanti del paese) fu infine tumulato nella chiesa parrocchiale. Sulla sua vita sorsero leggende; la più nota parla delle sue lotte contro il demonio, che egli scacciò facendolo saltare al di là del baratro e del quale sarebbero rimaste le impronte impresse sull'orlo del precipizio, tuttora visibili, chiamate le orme del diavolo;
in realtà si tratta di vaschette di corrosione superficiale.
La località ha in comune, con quasi tutte le altre descritte, una bellezza suggestiva alla sommità della forra e un contrastante aspetto orrido nella voragine.


L'ingresso inferiore, indagato con lunghi scavi (1968-1970) dall'università di Pisa, ha dato reperti neolitici, eneolitici, dell'età del bronzo e di epoca romana e medioevale.
Di questa grotta è stato pubblicato un particolareggiato articolo su TALP n° 28 del luglio 2004 da me (sotto) riportato per intero.

 

 

 

Monticchiello - Corrosioni superficiali dette "impronte del diavolo", sulla rupe sovrastante la Buca del Beato.

 

Monticchiello - Il torrente Tresa dove si trovano gli ingressi alla Buca del Beato

 
 

 

La Buca del Beato:
speleologia tra preistoria, folklore e leggenda


di Franco Fabrizi e Franco Rossi (Associazione Speleologica Senese)

 

 

Presso Monticchiello, ameno borgo medioevale, si trova una grotta nota da tempo immemorabile agli abitanti del luogo sotto il nome di :

BUCHE DEL BEATO BENINCASA.
Fu esplorata completamente dal Gruppo speleologico URRI di Sarteano (1959) poi dall’Associazione Speleologica Senese (1962) e iscritta a catasto con il N° 261 T/Si. Degni di nota i suoi aspetti morfologici, ma soprattutto i risvolti leggendari e preistorici.

 

Posizione geografica e note geo-morfologiche

La grotta è situata a circa 1Km in linea d’aria a nord di Monticchiello (comune di Pienza, provincia di Siena), sulla sponda destra orografica del torrente Tresa tributario più a valle del fiume Orcia affluente dell’Ombrone.
La cavità presenta 3 ingressi situati a vari livelli, pressoché sovrapposti, nella parete (alta alcune decine di metri) della gola scavata dal torrente, attualmente quasi sempre in secca, che, dopo il suo tratto iniziale in terreni pliocenici, poi in argille e calcari palombini, incontra qui un affioramento di Calcare massiccio (Lias inferiore) e Calcare selcifero stratificato (Lias mediosuperiore).
La grotta si è formata con l’azione erosiva e corrosiva del torrente che, incontrando lo sbarramento calcareo, lo ha scavato in senso pressoché perpendicolare rispetto al suo attuale letto di scorrimento.
Le acque hanno svolto la loro azione in ambiente freatico, come dimostrano le strettoie di forma cilindrica o ellissoidale, i meandri di approfondimento, i canali di volta con erosioni antigravitative, le lame e gli speroni levigati e taglienti.
Negli ambienti prossimi ai due ingressi più alti sono visibili sulla volta delle “marmitte inverse” originatesi in ambiente freatico per la corrosione aggressiva della miscelazione di acque (quelle del torrente e quelle di percolazione). Sono anche visibili alcuni esempi di corrosione differenziata che ha messo a nudo globetti o pani di selce più dura e meno solubile della roccia circostante.

Negli ambienti più ampi ci fu in seguito erosione e corrosione mista e vadosa con circolazione d’aria che rese possibile la formazione di concrezioni. Le acque del torrente abbandonarono la cavità allorché si aprirono una via più diretta verso valle perforando definitivamente il banco di calcare.
Due dei tre ingressi (il medio e l’inferiore) che sono situati nella parete della gola in cui scorre il torrente, hanno ciascuno di fronte a sé una cascatella e una pozza-laghetto che dovevano far parte del sistema sotterraneo e comprovano le successive fasi di approfondimento e perforazione.

 

Note descrittive

L’ingresso più basso situato a livello del torrente immette in una ala con scarso concrezionamento: da questa si passa a uno stretto meandro, lungo e molto articolato, dove i notano evidenti segni di erosione freatica.
Il meandro sbocca nella “sala del trono”, la più ampia e concrezionata, così chiamata per un caratteristico gruppo centrale di stalagmiti. Da un’altra diramazione del meandro si giunge alla base di un pozzetto di 6 metri, risalito il quale, attraverso ulteriori fessure si perviene alle sale superiori e agli altri due ingressi: il medio e il superiore. In fondo alla sala del trono, seminascosto da guano e fango, si apre un’esigua strettoia di circa 15 metri che sbocca nella “sala del lago fossile” così chiamata perché il pavimento è costituito da un consistente strato di finissimo limo semi-disseccato, ultimo deposito delle acque in ritirata. Qui termina la cavità e i molti tentativi di scoprire ulteriori prosecuzioni sono sempre stati vani.
La grotta, ben nota agli abitanti del luogo è sempre stata molto frequentata soprattutto nei suoi settori iniziali perché meta di periodici pellegrinaggi da parte dei devoti al Beato Benincasa che trascorse gran parte della sua vita ascetica in uno degli ingressi. Talvolta qualche manipolo di curiosi e cercatori di tesori si era spinto fino alla sala del trono come fanno fede le molte firme incise qua e là. L’esplorazione del 1959 portò alla scoperta della strettoia e della sala del lago fossile.
L’unica immacolata e priva di segni di visitazione. In seguito si fecero frequenti escursioni per effettuare il rilevamento ed esplorare il gran numero di diverticoli e strettoie secondarie. Si scoprirono tracce di reperti preistorici in prossimità dell’ingresso basso e se ne fece tempestiva segnalazione. Subentrò un periodo di incursioni da parte di scavatori clandestini, finché fu possibile realizzare due campagne di scavi regolari con ritrovamenti di notevole interesse.

 

La leggenda del Beato

Giovanni Benincasa nacque a Montepulciano (SI) nel 1375 e realizzò la sua vocazione nel1400 professandosi religioso dell’ordine dei Servi di Maria presso il convento della città natia. Ottenne dai superiori il permesso di condurre vita solitaria in penitenza.
Dopo un soggiorno di pochi mesi nell’eremo di Bagni San Filippo presso il Monte Amiata, si trasferì a Monticchiello dove i Servi di Maria possedevano l’appezzamento di terra prossimo alla grotta nel cui ingresso superiore scelse la sua dimora di romito. Qui trascorse venti anni in preghiera e penitenza svolgendo umili lavori necessari a un minimo di ostentamento e vi morì il 9 maggio 1426, venerato da tutto il popolo.
Da allora fiorirono le leggende. Nacque una disputa tra i padri Serviti che volevano traslare il corpo nel convento e gli abitanti di Monticchiello che lo volevano nella loro chiesa. Si fece ricorso al “giudizio di Dio”: il feretro fu issato su un carro tirato da buoi bianchi, lasciando a questi la scelta. I buoi si diressero a Monticchiello fermandosi proprio davanti alla chiesa. Il popolo gli attribuiva molti miracoli e il suo corpo fu lungamente conteso. Nel 1600 si fecero avanti i Servi di Maria di Firenze che pretesero ed ottennero il corpo lasciando ai paesani solo un braccio come reliquia. Seguirono altre innumerevoli diatribe finché nel 1822 il corpo fu riconsegnato alla comunità di Monticchiello dove tuttora si trova conservato in una pregevole urna nella chiesa di S. Leonardo.
Ogni anno i paesani si recavano in processione all’ingresso superiore della grotta a pregare nel luogo che la credenza popolare designava come “il giaciglio del Beato”, dove fu murata una lapide e una croce (tuttora esistenti) in occasione del quinto centenario della morte, il 9 maggio 1926.
La leggenda più caratteristica sul Beato Benincasa è quella delle “orme del diavolo” : si narra che il santo fosse frequentemente preda delle tentazioni del demonio che gli si presentava nel classico sembiante di caprone. Con la sua forza ascetica il Benincasa lo scacciò e lo costrinse ad andarsene spiccando un salto al di
là del profondo baratro che sovrasta il torrente. Il diavolo lasciò le sue impronte nella viva roccia e queste sono visibili a poca distanza dall’ingresso superiore. Si tratta ovviamente di strane forme di corrosione fito-carsica superficiale: più che sufficienti a dare ali alla fantasia popolare!

 

I reperti preistorici

La scoperta avvenne nel 1968 nella sala prossima all’ingresso basso (N°4) che quindi prese il nome di “sala degli scavi”. I reperti non erano nettamente affioranti perché ricoperti da vario strati di limo e sabbia.
Nel 1973 si effettuarono due regolari campagne di scavi da luglio a settembre a cura dell’Istituto di Antropologia Umana dell’Università di Pisa, con la collaborazione continua e volontaria dell’Associazione Speleologica Senese.
Lo studio degli abbondanti materiali (pubblicati nel 1981 in un volume di 240 pagine a cura della Prof.ssa G. Radi dell’Istituto stesso) dimostrò che la grotta fu frequentata in un arco di tempo molto lungo, anche se non continuativo, come rifugio ed abitazione temporanea e talvolta anche a scopo sepolcrale e sacrale, come dimostrano anche numerosi resti scheletrici umani.

Questa la scansione cronologica dei reperti.

NEOLITICO (facies della ceramica a linee incise, fine del quinto millennio a.C.): Ciotole emisferiche, boccali carenati, vasi a corpo ovoidale con decorazioni a solcatura di vario tipo. Lame e schegge ritoccate in selce e in ossidiana, accette e scalpello in pietra levigata, punteruoli in osso e ornamenti in steatite.

ENEOLITICO (facies della ceramica a striature e facies di Rinaldone, ultimi secoli del terzo millennio a.C.):
Vasi e tazze tronco-coniche con decorazioni a cordoni e impressioni, punte di freccia e lame in selce, un bracciale da arciere, un pugnaletto in bronzo.

ETÀ DEL BRONZO (due periodi, l’antica età, primi secoli del secondo millennio a.C; la media età, XVI e XV secolo a.C.): entrambi con abbondanza di forme vascolari di ogni tipo e misura; oggetti metallici per lo più di uso ornamentale.

ETÀ STORICA: Poche tracce di frequentazione in epoca etrusca (sesto secolo a.C.) e numerose monete romane datate alla prima metà del secondo secolo a.C.; altre datate al primo secolo dopo Cristo, probabilmente lasciate nella grotta a scopo votivo.
Nel medioevo la cavità fu usata anche a fini abitativi come dimostrano ceramiche di uso domestico.
Tutti i reperti provengono dalla zona dell’ingresso basso, quasi a livello del torrente, mentre l’ingresso superiore (quello abitato dal Beato) ha dato solo scarsi resti di epoche recenti.
Comunque la grotta, già gradevole per la varietà di situazioni morfologiche e suggestiva per l’ambiente, per ora intatto, in cui si trova è un prezioso scrigno che ha conservato le memorie del nostro remoto passato.

 

 

 

 

Bibliografia

Giorgio Santi - Viaggio secondo per le due provincie senesi che forma il seguito del viaggio al Monte Amiata di Giorgio Santi professore d’istoria naturale nell’università di Pisa - per Ranieri Prosperi stampatore, PISA 1798 Vasco Neri - Monticchiello: storia di una comunità - editrice Cantagalli, Siena, 1975 Giovanna Radi - La grotta del Beato Benincasa nel quadro delle culture dal neolitico all’età del bronzo in Toscana.