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La Buca del Beato:
speleologia tra preistoria, folklore e leggenda
di Franco Fabrizi e Franco Rossi (Associazione
Speleologica Senese)
Presso Monticchiello, ameno borgo medioevale, si
trova una grotta nota da tempo immemorabile agli abitanti del luogo
sotto il nome di :
BUCHE DEL BEATO BENINCASA.
Fu esplorata completamente dal Gruppo speleologico URRI di Sarteano
(1959) poi dall’Associazione Speleologica Senese (1962) e iscritta a
catasto con il N° 261 T/Si. Degni di nota i suoi aspetti morfologici, ma
soprattutto i risvolti leggendari e preistorici.
Posizione geografica e
note geo-morfologiche
La grotta è situata a circa 1Km in linea d’aria a
nord di Monticchiello (comune di Pienza, provincia di Siena), sulla
sponda destra orografica del torrente Tresa tributario più a valle del
fiume Orcia affluente dell’Ombrone.
La cavità presenta 3 ingressi situati a vari livelli, pressoché
sovrapposti, nella parete (alta alcune decine di metri) della gola
scavata dal torrente, attualmente quasi sempre in secca, che, dopo il
suo tratto iniziale in terreni pliocenici, poi in argille e calcari
palombini, incontra qui un affioramento di Calcare massiccio (Lias
inferiore) e Calcare selcifero stratificato (Lias mediosuperiore).
La grotta si è formata con l’azione erosiva e corrosiva del torrente
che, incontrando lo sbarramento calcareo, lo ha scavato in senso
pressoché perpendicolare rispetto al suo attuale letto di scorrimento.
Le acque hanno svolto la loro azione in ambiente freatico, come
dimostrano le strettoie di forma cilindrica o ellissoidale, i meandri di
approfondimento, i canali di volta con erosioni antigravitative, le lame
e gli speroni levigati e taglienti.
Negli ambienti prossimi ai due ingressi più alti sono visibili sulla
volta delle “marmitte inverse” originatesi in ambiente freatico per la
corrosione aggressiva della miscelazione di acque (quelle del torrente e
quelle di percolazione). Sono anche visibili alcuni esempi di corrosione
differenziata che ha messo a nudo globetti o pani di selce più dura e
meno solubile della roccia circostante.
Negli ambienti più ampi ci fu in seguito erosione e
corrosione mista e vadosa con circolazione d’aria che rese possibile la
formazione di concrezioni. Le acque del torrente abbandonarono la cavità
allorché si aprirono una via più diretta verso valle perforando
definitivamente il banco di calcare.
Due dei tre ingressi (il medio e l’inferiore) che sono situati nella
parete della gola in cui scorre il torrente, hanno ciascuno di fronte a
sé una cascatella e una pozza-laghetto che dovevano far parte del
sistema sotterraneo e comprovano le successive fasi di approfondimento e
perforazione.
Note descrittive
L’ingresso più basso situato a livello del torrente
immette in una ala con scarso concrezionamento: da questa si passa a uno
stretto meandro, lungo e molto articolato, dove i notano evidenti segni
di erosione freatica.
Il meandro sbocca nella “sala del trono”, la più ampia e concrezionata,
così chiamata per un caratteristico gruppo centrale di stalagmiti. Da
un’altra diramazione del meandro si giunge alla base di un pozzetto di 6
metri, risalito il quale, attraverso ulteriori fessure si perviene alle
sale superiori e agli altri due ingressi: il medio e il superiore. In
fondo alla sala del trono, seminascosto da guano e fango, si apre
un’esigua strettoia di circa 15 metri che sbocca nella “sala del lago
fossile” così chiamata perché il pavimento è costituito da un
consistente strato di finissimo limo semi-disseccato, ultimo deposito
delle acque in ritirata. Qui termina la cavità e i molti tentativi di
scoprire ulteriori prosecuzioni sono sempre stati vani.
La grotta, ben nota agli abitanti del luogo è sempre stata molto
frequentata soprattutto nei suoi settori iniziali perché meta di
periodici pellegrinaggi da parte dei devoti al Beato Benincasa che
trascorse gran parte della sua vita ascetica in uno degli ingressi.
Talvolta qualche manipolo di curiosi e cercatori di tesori si era spinto
fino alla sala del trono come fanno fede le molte firme incise qua e là.
L’esplorazione del 1959 portò alla scoperta della strettoia e della sala
del lago fossile.
L’unica immacolata e priva di segni di visitazione. In seguito si fecero
frequenti escursioni per effettuare il rilevamento ed esplorare il gran
numero di diverticoli e strettoie secondarie. Si scoprirono tracce di
reperti preistorici in prossimità dell’ingresso basso e se ne fece
tempestiva segnalazione. Subentrò un periodo di incursioni da parte di
scavatori clandestini, finché fu possibile realizzare due campagne di
scavi regolari con ritrovamenti di notevole interesse.
La leggenda del Beato
Giovanni Benincasa nacque a Montepulciano (SI) nel
1375 e realizzò la sua vocazione nel1400 professandosi religioso
dell’ordine dei Servi di Maria presso il convento della città natia.
Ottenne dai superiori il permesso di condurre vita solitaria in
penitenza.
Dopo un soggiorno di pochi mesi nell’eremo di Bagni San Filippo presso
il Monte Amiata, si trasferì a Monticchiello dove i Servi di Maria
possedevano l’appezzamento di terra prossimo alla grotta nel cui
ingresso superiore scelse la sua dimora di romito. Qui trascorse venti
anni in preghiera e penitenza svolgendo umili lavori necessari a un
minimo di ostentamento e vi morì il 9 maggio 1426, venerato da tutto il
popolo.
Da allora fiorirono
le leggende. Nacque una disputa tra i padri Serviti che volevano
traslare il corpo nel convento e gli abitanti di Monticchiello che lo
volevano nella loro chiesa. Si fece ricorso al “giudizio di Dio”: il
feretro fu issato su un carro tirato da buoi bianchi, lasciando a questi
la scelta. I buoi si diressero a Monticchiello fermandosi proprio
davanti alla chiesa. Il popolo gli attribuiva molti miracoli e il suo
corpo fu lungamente conteso. Nel 1600 si fecero avanti i Servi di Maria
di Firenze che pretesero ed ottennero il corpo lasciando ai paesani solo
un braccio come reliquia. Seguirono altre innumerevoli diatribe finché
nel 1822 il corpo fu riconsegnato alla comunità di Monticchiello dove
tuttora si trova conservato in una pregevole urna nella chiesa di S.
Leonardo.
Ogni anno i paesani si recavano in processione all’ingresso superiore
della grotta a pregare nel luogo che la credenza popolare designava come
“il giaciglio del Beato”, dove fu murata una lapide e una croce (tuttora
esistenti) in occasione del quinto centenario della morte, il 9 maggio
1926.
La leggenda più caratteristica sul Beato Benincasa è quella delle “orme
del diavolo” : si narra che il santo fosse frequentemente preda delle
tentazioni del demonio che gli si presentava nel classico sembiante di
caprone. Con la sua forza ascetica il Benincasa lo scacciò e lo
costrinse ad andarsene spiccando un salto al di
là del profondo baratro che sovrasta il torrente. Il diavolo lasciò le
sue impronte nella viva roccia e queste sono visibili a poca distanza
dall’ingresso superiore. Si tratta ovviamente di strane forme di
corrosione fito-carsica superficiale: più che sufficienti a dare ali
alla fantasia popolare!
I reperti preistorici
La scoperta avvenne nel 1968 nella sala prossima
all’ingresso basso (N°4) che quindi prese il nome di “sala degli scavi”.
I reperti non erano nettamente affioranti perché ricoperti da vario
strati di limo e sabbia.
Nel 1973 si effettuarono due regolari campagne di scavi da luglio a
settembre a cura dell’Istituto di Antropologia Umana dell’Università di
Pisa, con la collaborazione continua e volontaria dell’Associazione
Speleologica Senese.
Lo studio degli abbondanti materiali (pubblicati nel 1981 in un volume
di 240 pagine a cura della Prof.ssa G. Radi dell’Istituto stesso)
dimostrò che la grotta fu frequentata in un arco di tempo molto lungo,
anche se non continuativo, come rifugio ed abitazione temporanea e
talvolta anche a scopo sepolcrale e sacrale, come dimostrano anche
numerosi resti scheletrici umani.
Questa la scansione cronologica dei reperti.
NEOLITICO (facies della ceramica a linee incise, fine del quinto
millennio a.C.): Ciotole emisferiche, boccali carenati,
vasi a corpo ovoidale con decorazioni a solcatura di vario tipo. Lame e
schegge ritoccate in selce e in ossidiana, accette e scalpello in pietra
levigata, punteruoli in osso e ornamenti in steatite.
ENEOLITICO (facies della ceramica a striature e facies di Rinaldone,
ultimi secoli del terzo millennio a.C.):
Vasi e tazze tronco-coniche con decorazioni a cordoni e impressioni,
punte di freccia e lame in selce, un bracciale da arciere, un pugnaletto
in bronzo.
ETÀ DEL BRONZO (due periodi, l’antica età, primi secoli del secondo
millennio a.C; la media età, XVI e XV secolo a.C.): entrambi con
abbondanza di forme vascolari di ogni tipo e misura; oggetti metallici
per lo più di uso ornamentale.
ETÀ STORICA: Poche tracce di frequentazione in epoca etrusca (sesto
secolo a.C.) e numerose monete romane datate alla prima metà del secondo
secolo a.C.; altre datate al primo secolo dopo Cristo, probabilmente
lasciate nella grotta a scopo votivo.
Nel medioevo la cavità fu usata anche a fini abitativi come dimostrano
ceramiche di uso domestico.
Tutti i reperti provengono dalla zona dell’ingresso basso, quasi a
livello del torrente, mentre l’ingresso superiore (quello abitato dal
Beato) ha dato solo scarsi resti di epoche recenti.
Comunque la grotta, già gradevole per la varietà di situazioni
morfologiche e suggestiva per l’ambiente, per ora intatto, in cui si
trova è un prezioso scrigno che ha conservato le memorie del nostro
remoto passato.
Bibliografia
Giorgio Santi - Viaggio secondo
per le due provincie senesi che forma il seguito del viaggio al Monte
Amiata di Giorgio Santi professore d’istoria naturale nell’università di
Pisa - per Ranieri Prosperi stampatore, PISA 1798 Vasco Neri -
Monticchiello: storia di una comunità - editrice Cantagalli, Siena, 1975
Giovanna Radi - La grotta del Beato Benincasa nel quadro delle culture
dal neolitico all’età del bronzo in Toscana.
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