Il riccio

 

Superordine

Ordine

Famiglia

Genere

Specie    

 

Insectivora

Erinaceidae

Erinaceus

E. europaeus

Mammiferi

Nomi dialettali: Errissone,

 rüs-can

 

 

 

Descrizione: i ricci sono animali che vivono prevalentemente nei boschi. Gli esemplari in natura possono pesare dagli 800 g fino ai 1200 g, mentre in cattività possono arrivare ai 2500 g, il che non è però un sintomo di buona salute. Tutto il riccio, tranne il muso e le zampe, è ricoperto da aculei lunghi 20 mm. In tutto gli aculei sono oltre 5000, sono cavi, dotati di un muscolo erettore innervato che ne permette il movimento, e ricoprono tutto il corpo tranne la pancia e il muso, che sono invece dotati di una pelliccia.

Habitat: diffuso in boschi (né di alto fusto né troppo fitti) e zone coltivate, sia in pianura che in montagna (fino e oltre 1000 metri).

Riproduzione: il periodo da aprile ad agosto è quello della riproduttività (cioè la stagione degli amori). Per chiamarsi tra loro, i ricci emettono dei fischi. La gestazione può durare dai 30 fino ai 50 giorni e il numero di piccoli che nascono può variare da 1 a 9. Il parto avviene nel periodo fra maggio e ottobre, ma se la femmina si riproduce in anticipo potrà partorire due volte.

Alimentazione: il riccio in natura si nutre di insetti e di alcuni invertebrati, ma anche di ghiande, bacche, uccelli, rettili e persino giovani topi; pertanto si può considerare onnivoro. Il latte di mucca è letale per i ricci giovani, e in quantità elevate pericoloso anche per gli individui adulti, che ne sono però golosi.

 

Caccia:  protetto.

La caccia al Riccio è stata praticata in passato. Oggi la specie è tutelata ai sensi della L. 11/02/1992, n.157, in quanto considerata specie non cacciabile. Specie protetta dalla Convenzione di Berna (L. 5/8/1981, n.503, in vigore per l'Italia dall'1/6/1982).

 


 

Morfologia

 

Il riccio europeo (Erinaceus europaeus) non presenta uno spiccato dimorfismo sessuale, ma un'evidente variabilità geografica, e quindi comprende molte sottospecie differenti tra loro per le dimensioni e per il diverso colore del petto, della testa e delle zampe: nella nostra penisola si trovano la sottospecie italica (E. europaeus italicus) e quella meridionale (E. europaeus meridionalis). Appartenente all'ordine degli Insettivori e alla famiglia degli Erinaceidi, il riccio comune è lungo dai 20 ai 30 centimetri, 2-3 dei quali spettano alla coda; è alto circa 15 centimetri e ha un peso variabile dai 400 ai 1200 grammi. Il tronco è grosso e tozzo, le zampe brevi con cinque dita allungate e provviste di unghie robuste; la coda è corta e sottile, cilindrica e scarsamente pelosa. Il capo, non ben distinto dal corpo, è largo alla base, con muso appuntito, occhi piccoli e brillanti, baffi neri, orecchie tondeggianti seminascoste dal pelo bruno chiaro che riveste, oltre alla testa, anche il ventre e le zampe. Le centinaia di aculei che ricoprono il corpo (compresa la fronte, la radice della coda e i fianchi) sono duri, molto acuminati e lunghi 2-3 centimetri; il loro colore è grigio-marroncino alla base, giallastro a metà, bianco o nero all'apice e sono impiantati, tramite piccoli ingrossamenti detti bulbi, nella cute dorsale.

 

Diffuso in boschi (né di alto fusto né troppo fitti) e zone coltivate, sia in pianura che in montagna (fino a oltre 1000 metri), è divenuto ormai un abituale frequentatore delle aree antropizzate, e per questo motivo lo si può ritrovare nei parchi, nei giardini o in prossimità di fattorie e case di campagna. Purtroppo la sua lentezza nell'attraversare i nastri d'asfalto lo rende vittima di molti incidenti stradali.

Il fattore principale per l'esistenza del riccio, oltre naturalmente alla disponibilità di cibo, è la presenza di terreni abbastanza asciutti. Talvolta l'animale scava tane non troppo profonde (15-30 centimetri), con due ingressi (uno dei quali viene ostruito per evitare l'entrata del vento), e le imbottisce con muschio e foglie per renderle più accoglienti e confortevoli; ma preferisce allargare o riadattare tane già pronte, e si accontenta anche di anfratti rocciosi, sassaie, radici e vecchi alberi cavi per costruire il nido, attorno al quale, per un raggio di alcune centinaia di metri, è situato il territorio di caccia. Il riccio è molto fedele al proprio territorio, che abbandona di rado e solo in gruppi abbastanza numerosi.

 

La sua alimentazione è costituita soprattutto da insetti (è assolutamente insensibile alle loro punture) e altri invertebrati come lombrichi, ragni, lumache e millepiedi, ma non disdegna piccoli uccelli, rane, rospi e rettili di varie specie, dei quali divora preferibilmente il capo. Talvolta si nutre di vegetali tra i quali predilige la frutta, soprattutto se matura e dolce, i funghi, le ghiande e le bacche; mangia anche le carogne e adora il pesce stagionato. Nemico dichiarato di topi e altri micromammiferi, dei quali distrugge i nidi, per tale motivo viene spesso introdotto dall'uomo in stalle e granai. Molto resistente al veleno di alcuni invertebrati, non è vero che sia immune da quello della vipera, per la quale è tuttavia un vero "spauracchio". Infatti il rettile difficilmente riesce a mordere il riccio, ben difeso dalla sua "corazza" di aculei: solo se il morso della vipera viene inferto sulla punta del muso, per il riccio non c'è niente da fare.

Animale prevalentemente notturno, ama però il caldo e quindi non è raro che si soffermi al sole o, se addomesticato, che scelga il suo angolo preferito vicino a un buon calorifero. Predilige la vita solitaria e teme l'uomo, del quale rifugge la presenza, assumendo subito la tipica posizione "a palla".

 

In aprile, al risveglio dal letargo invernale, inizia l'epoca degli amori, che può durare fino a luglio-agosto. Dopo un lungo corteggiamento, contraddistinto spesso da continui rifiuti della femmina e da buffi e rumorosi inseguimenti del maschio, avviene l'accoppiamento (quasi sempre di breve durata e subito ripetuto), non prima che il maschio stesso abbia messo in fuga eventuali pretendenti: è stata ormai smentita l'antica credenza che l'unione avvenga con la femmina distesa sul dorso per evitare di ferire il partner con gli aculei. Dopo cinque-sei settimane di gestazione il maschio viene allontanato dalla tana e nascono i piccoli (da 3 a 6, talvolta fino a 10), subito leccati premurosamente. I parti avvengono in genere da maggio a settembre, e possono verificarsi due volte, all'inizio e alla fine di tale periodo.

I nuovi nati vengono posti dalla madre sul ventre e allattati; si tratta di animaletti con orecchie e occhi chiusi, dal ventre rosato e dal dorso grigio ma ancora privi di peli, con aculei elastici e molli per evitare di ferire la femmina durante il parto. Gli aculei bianchi cominciano già a spuntare il primo giorno di vita, e quelli neri subito dopo; a tre settimane le orecchie e gli occhi sono finalmente aperti e il rivestimento spinoso è completo.

 

Unico insettivoro che va in letargo, è sensibile non soltanto alle variazioni climatiche che preannunciano i primi freddi, ma anche a variazioni metaboliche stagionali che lo avvertono quando è ora di ritirarsi. Infatti l'ipofisi, una ghiandola a secrezione interna, stimola il pancreas a secernere in maggior quantità l'insulina, un ormone che agisce sul tasso glicemico, favorendo la trasformazione dei vari monosaccaridi presenti nel sangue in glicogeno; quest'ultimo è un polisaccaride di riserva che garantisce al riccio la sopravvivenza durante il lungo sonno invernale. Alla fine dell'autunno, dopo essersi abbondantemente rimpinzato (non ha l'abitudine di accumulare provviste), il riccio imbottisce il nido di erba e foglie secche e si ritira, raggomitolato con gli aculei eretti, nel suo comodo giaciglio. Circa una volta al mese il riccio si risveglia, ma può dormire anche per sei settimane consecutive. In ogni caso tutti i processi metabolici vengono rallentati: gli atti respiratori e le pulsazioni cardiache diminuiscono, la temperatura corporea si abbassa fino a raggiungere quasi i valori esterni, ma se questi sono troppo bassi un sistema di autoregolazione consente una leggera risalita termica che evita il congelamento, oppure provoca il risveglio con conseguente aumento del metabolismo che si era pericolosamente abbassato.

 

I principali nemici del riccio sono i rapaci, che con gli affilati artigli e il potente becco riescono a vincere la munita difesa dell'animale. I mammiferi (volpi, cani e varie specie di mustelidi), al contrario, devono sorprenderlo momentaneamente sguarnito, se vogliono avere speranze di successo, oppure sono costretti a ingaggiare furiose e spesso infruttuose lotte: solo i cinghiali, provvisti di robusti zoccoli, riescono talvolta a spuntarla. Anche i parassiti (pulci, zecche, acari e tenie), ingeriti casualmente nutrendosi di altri animali, sono dei nemici spesso mortali. Non dimentichiamo infine l'uomo, che, oltre a uccidere inavvertitamente molti ricci lungo le strade, caccia da sempre questo insettivoro dotato di carne tenera e gustosa. Fortunatamente il riccio è ben visto dai contadini, che ne apprezzano la capacità di sterminare insetti, lumache, topi e altri animali nocivi.