Morfologia
Il
riccio europeo (Erinaceus europaeus) non presenta
uno spiccato dimorfismo sessuale, ma un'evidente
variabilità geografica, e quindi comprende molte
sottospecie differenti tra loro per le dimensioni e
per il diverso colore del petto, della testa e delle
zampe: nella nostra penisola si trovano la
sottospecie italica (E. europaeus italicus) e quella
meridionale (E. europaeus meridionalis).
Appartenente all'ordine degli Insettivori e alla
famiglia degli Erinaceidi, il riccio comune è lungo
dai 20 ai 30 centimetri, 2-3 dei quali spettano alla
coda; è alto circa 15 centimetri e ha un peso
variabile dai 400 ai 1200 grammi. Il tronco è grosso
e tozzo, le zampe brevi con cinque dita allungate e
provviste di unghie robuste; la coda è corta e
sottile, cilindrica e scarsamente pelosa. Il capo,
non ben distinto dal corpo, è largo alla base, con
muso appuntito, occhi piccoli e brillanti, baffi
neri, orecchie tondeggianti seminascoste dal pelo
bruno chiaro che riveste, oltre alla testa, anche il
ventre e le zampe. Le centinaia di aculei che
ricoprono il corpo (compresa la fronte, la radice
della coda e i fianchi) sono duri, molto acuminati e
lunghi 2-3 centimetri; il loro colore è
grigio-marroncino alla base, giallastro a metà,
bianco o nero all'apice e sono impiantati, tramite
piccoli ingrossamenti detti bulbi, nella cute
dorsale.
Diffuso in boschi (né
di alto fusto né troppo fitti) e zone coltivate, sia
in pianura che in montagna (fino a oltre 1000
metri), è divenuto ormai un abituale frequentatore
delle aree antropizzate, e per questo motivo lo si
può ritrovare nei parchi, nei giardini o in
prossimità di fattorie e case di campagna. Purtroppo
la sua lentezza nell'attraversare i nastri d'asfalto
lo rende vittima di molti incidenti stradali.
Il fattore principale
per l'esistenza del riccio, oltre naturalmente alla
disponibilità di cibo, è la presenza di terreni
abbastanza asciutti. Talvolta l'animale scava tane
non troppo profonde (15-30 centimetri), con due
ingressi (uno dei quali viene ostruito per evitare
l'entrata del vento), e le imbottisce con muschio e
foglie per renderle più accoglienti e confortevoli;
ma preferisce allargare o riadattare tane già
pronte, e si accontenta anche di anfratti rocciosi,
sassaie, radici e vecchi alberi cavi per costruire
il nido, attorno al quale, per un raggio di alcune
centinaia di metri, è situato il territorio di
caccia. Il riccio è molto fedele al proprio
territorio, che abbandona di rado e solo in gruppi
abbastanza numerosi.
La sua alimentazione è
costituita soprattutto da insetti (è assolutamente
insensibile alle loro punture) e altri invertebrati
come lombrichi, ragni, lumache e millepiedi, ma non
disdegna piccoli uccelli, rane, rospi e rettili di
varie specie, dei quali divora preferibilmente il
capo. Talvolta si nutre di vegetali tra i quali
predilige la frutta, soprattutto se matura e dolce,
i funghi, le ghiande e le bacche; mangia anche le
carogne e adora il pesce stagionato. Nemico
dichiarato di topi e altri micromammiferi, dei quali
distrugge i nidi, per tale motivo viene spesso
introdotto dall'uomo in stalle e granai. Molto
resistente al veleno di alcuni invertebrati, non è
vero che sia immune da quello della vipera, per la
quale è tuttavia un vero "spauracchio". Infatti il
rettile difficilmente riesce a mordere il riccio,
ben difeso dalla sua "corazza" di aculei: solo se il
morso della vipera viene inferto sulla punta del
muso, per il riccio non c'è niente da fare.
Animale
prevalentemente notturno, ama però il caldo e quindi
non è raro che si soffermi al sole o, se
addomesticato, che scelga il suo angolo preferito
vicino a un buon calorifero. Predilige la vita
solitaria e teme l'uomo, del quale rifugge la
presenza, assumendo subito la tipica posizione "a
palla".
In aprile, al
risveglio dal letargo invernale, inizia l'epoca
degli amori, che può durare fino a luglio-agosto.
Dopo un lungo corteggiamento, contraddistinto spesso
da continui rifiuti della femmina e da buffi e
rumorosi inseguimenti del maschio, avviene
l'accoppiamento (quasi sempre di breve durata e
subito ripetuto), non prima che il maschio stesso
abbia messo in fuga eventuali pretendenti: è stata
ormai smentita l'antica credenza che l'unione
avvenga con la femmina distesa sul dorso per evitare
di ferire il partner con gli aculei. Dopo cinque-sei
settimane di gestazione il maschio viene allontanato
dalla tana e nascono i piccoli (da 3 a 6, talvolta
fino a 10), subito leccati premurosamente. I parti
avvengono in genere da maggio a settembre, e possono
verificarsi due volte, all'inizio e alla fine di
tale periodo.
I nuovi nati vengono
posti dalla madre sul ventre e allattati; si tratta
di animaletti con orecchie e occhi chiusi, dal
ventre rosato e dal dorso grigio ma ancora privi di
peli, con aculei elastici e molli per evitare di
ferire la femmina durante il parto. Gli aculei
bianchi cominciano già a spuntare il primo giorno di
vita, e quelli neri subito dopo; a tre settimane le
orecchie e gli occhi sono finalmente aperti e il
rivestimento spinoso è completo.
Unico insettivoro che
va in letargo, è sensibile non soltanto alle
variazioni climatiche che preannunciano i primi
freddi, ma anche a variazioni metaboliche stagionali
che lo avvertono quando è ora di ritirarsi. Infatti
l'ipofisi, una ghiandola a secrezione interna,
stimola il pancreas a secernere in maggior quantità
l'insulina, un ormone che agisce sul tasso
glicemico, favorendo la trasformazione dei vari
monosaccaridi presenti nel sangue in glicogeno;
quest'ultimo è un polisaccaride di riserva che
garantisce al riccio la sopravvivenza durante il
lungo sonno invernale. Alla fine dell'autunno, dopo
essersi abbondantemente rimpinzato (non ha
l'abitudine di accumulare provviste), il riccio
imbottisce il nido di erba e foglie secche e si
ritira, raggomitolato con gli aculei eretti, nel suo
comodo giaciglio. Circa una volta al mese il riccio
si risveglia, ma può dormire anche per sei settimane
consecutive. In ogni caso tutti i processi
metabolici vengono rallentati: gli atti respiratori
e le pulsazioni cardiache diminuiscono, la
temperatura corporea si abbassa fino a raggiungere
quasi i valori esterni, ma se questi sono troppo
bassi un sistema di autoregolazione consente una
leggera risalita termica che evita il congelamento,
oppure provoca il risveglio con conseguente aumento
del metabolismo che si era pericolosamente
abbassato.
I principali nemici
del riccio sono i rapaci, che con gli affilati
artigli e il potente becco riescono a vincere la
munita difesa dell'animale. I mammiferi (volpi, cani
e varie specie di mustelidi), al contrario, devono
sorprenderlo momentaneamente sguarnito, se vogliono
avere speranze di successo, oppure sono costretti a
ingaggiare furiose e spesso infruttuose lotte: solo
i cinghiali, provvisti di robusti zoccoli, riescono
talvolta a spuntarla. Anche i parassiti (pulci,
zecche, acari e tenie), ingeriti casualmente
nutrendosi di altri animali, sono dei nemici spesso
mortali. Non dimentichiamo infine l'uomo, che, oltre
a uccidere inavvertitamente molti ricci lungo le
strade, caccia da sempre questo insettivoro dotato
di carne tenera e gustosa. Fortunatamente il riccio
è ben visto dai contadini, che ne apprezzano la
capacità di sterminare insetti, lumache, topi e
altri animali nocivi.
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