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Il Monte Amiata, edificio
vulcanico di età compresa tra 300.000 e 190.000 anni, si erge isolato in
una porzione della Toscana meridionale compresa tra la catena
appenninica e la maremma toscana. Attorno ad esso è presente una delle
più importanti province mercurifere del Mondo, che conta 12 miniere ed
oltre 50 aree di ricerca.
Questo comprensorio è stato oggetto nel tempo di una intensa attività
mineraria, ad opera di Società italiane e straniere, che hanno
valorizzato l'importante ricchezza naturale presente nel sottosuolo. La
storia di queste miniere documenta un'improvvisa, quanto repentina,
crescita economica e demografica, concentrata negli anni a cavallo tra
il XIX ed il XX secolo, in un'area descritta fino ad allora come
"un'isola in terra ferma" relegata tra lo Stato della Chiesa ed il
Granducato di Toscana.
Prima dell'impianto degli stabilimenti metallurgici, l'economia di
sussistenza basata principalmente sulla pastorizia e sulla coltivazione
di piccole porzioni di terra, insieme alla mancanza di collegamenti e
dunque di scambi con le aree limitrofe, determinarono una diffusa
povertà.
Il progressivo sviluppo di una così importante industria in un'area
estremamente povera, portò in breve tempo all'affermazione di una
monocoltura economica che, dietro agli apparenti benefici apportati
durante i primi anni di sfruttamento, celava numerose implicazioni
negative ad essa connesse.
In merito alle ricerche ed estrazioni durante il periodo precedente il
1700 sono disponibili solo poche frammentarie notizie. Notizie più
concrete sono relative allo sfruttamento del cinabro durante la metà del
XVIII secolo; in particolar modo al 1738, quando i conti Sforza-Cesarini
fecero installare nella miniera di Selvena, posta alle pendici della
Rocca Silvana, un forno, progettato dal chimico Stefano Mattioli, per
estrarre il mercurio dal cinabro.
Intorno alla metà del 1800 una forte richiesta internazionale di
mercurio fece giungere nell'area amiatina numerosi pionieri, inviati qui
da vari capitalisti sia italiani che stranieri, con l'intento di
individuare eventuali giacimenti, che sarebbero stati poi sfruttati. Gli
stabilimenti minerari amiatini, da una ridotta produzione iniziale
passarono, in breve tempo, a monopolizzare il mercato mondiale del
mercurio, fino ad allora controllato dalla miniera spagnola di Almadèn,
e l'Amiata da zona marginale e povera, da cui spesso ci si doveva
allontanare in cerca di lavoro, si trasformò in zona di immigrazione.
In questo modo si andò concretizzando un radicale sconvolgimento della
vita quotidiana dei paesi circondanti il massiccio amiatino.
Fu con il XIX secolo che si giunse allo sfruttamento di tipo industriale
degli importanti giacimenti cinabriferi dell'area amiatina ed in
particolar modo di quelli localizzati nella zona dove sorgerà lo
stabilimento minerario del Siele.
Nei primi anni del 1800 venne
scoperta una nuova applicazione del metallo relativa alla produzione del
Fulminato di Mercurio (Hg(ONC)2), che rivoluzionò il sistema di
caricamento e sparo dei fucili parallelamente all'industria per la
preparazione degli esplosivi. La leggenda vuole però, che sia stato un
certo Domenico Conti, detto Mecone, che nel 1841 rinvenne in località
Diaccialetto, dove sorgerà qualche anno più tardi lo stabilimento del
Siele, pezzi di cinabro che portò in visione al farmacista di Pitigliano.
Quest'ultimo, componente della comunità ebraica stanziatasi in questa
cittadina, fu colpito dalla ricchezza del minerale e ne inviò alcuni
campioni, a Livorno, a Cesare Sadun, esponente di una delle famiglie
israelite più attive nel commercio e cognato di Angelo e Salomone
Modigliani che, già da tempo commerciavano il cinabro proveniente dalla
miniera spagnola di Almadèn. Il consolidarsi dei rapporti stabiliti con
la stessa comunità ebraica segnò la svolta nello sfruttamento dei
giacimenti minerari in quanto, in torno alla metà del XIX secolo, il
commercio internazionale del mercurio era interamente nelle mani della
finanza ebraica, già proprietaria della miniera di Almadèn.
I Modigliani, rendendosi conto delle effettive potenzialità del minerale
amiatino, acquistarono i diritti di sottosuolo in località Diaccialetto
e nel dicembre 1846 costituirono, insieme ad altri investitori, lo
Stabilimento Mineralogico Modigliani, con sede in Livorno.
Il buon andamento dell'attività svolta dal Rosselli e il repentino
aumento di valore dello stabilimento del Siele, il cui capitale era
salito a 14 milioni di lire, attirò l'attenzione del finanziere tedesco
Filippo Schwarzenberg che, tra il 1873 e il 1879, acquistò i diritti di
sottosuolo in porzioni di terreno situate nella zona delle Solforate,
Cornacchino, Abbadia San Salvatore e Selvena dando poi inizio alle
ricerche.
A seguire il suo esempio vi furono numerosissime Società prevalentemente
italiane, come la Menicanti, Scariglia, Soria e Thabet di Livorno. Le
ricerche realizzate portarono in breve tempo alla nascita di altre 10
miniere tra cui quelle del Cornacchino, Morone, Solforate Schwarzenberg,
Solforate Rosselli, Monte Labbro, Montebuono e Cortevecchia.
Con il decollo e l'affermazione dell'attività mineraria venne
profondamente stravolto l'impianto di quell'originaria comunità
agro-pastorale amiatina, dando luogo ad una netta differenziazione tra
il versante ovest del Monte Amiata, il quale mantenne un carattere
esclusivamente agrario di tipo feudale, e il versante est in cui
l'attività estrattiva assorbì la gran parte dei lavoratori e dove
cominciarono a nascere le prime associazioni operaie. A partire dal 1970
le miniere amiatine entrarono in una grave crisi,
che
determinò la loro definitiva chiusura.
Le cause dei questa importante crisi sono da ricercare principalmente
nei provvedimenti antinquinamento che bandirono il mercurio per la
preparazione di fertilizzanti chimici e secondariamente nel progressivo
abbandono del fulminato di mercurio per la preparazione degli esplosivi.
Queste circostanze provocarono la contrazione della domanda a livello
mondiale e la conseguente caduta del valore del metallo che, dal 1970 al
1971, venne dimezzato.
Nel 1974 il Ministro dell'Industria raccolse le concessioni estrattive
della miniera del Siele-BNA e della SMI, proprietaria fino a quel
momento della miniera di Bagnore, sotto la Società Solmine facente parte
del gruppo EGAM (Ente pubblico di Gestione delle Aziende Minerarie in
crisi).
In parallelo venne anche costituita la SMMA (Società Mercurifera Monte
Amiata) che assorbì il corpo operaio del Siele, di Abbadia, del Morone e
di Bagnore, portando l'intero bacino mercurifero dell'Amiata nell'ambito
delle partecipazioni statali. La limitata attività estrattiva, che
perdurava nei soli siti di Abbadia San Salvatore e del Morone, giunge al
suo capolinea il 2 Settembre 1982 quando la SAMIM chiude per sempre il
capitolo miniere nell'area del Monte Amiata.
L'epopea mineraria amiatina, pur avendo portato indubbi benefici alle
popolazioni locali, ha contemporaneamente causato un impoverimento delle
risorse, a causa di uno sfruttamento condotto secondo un modello
coloniale, per cui solo una minima parte dei profitti delle società
venivano reinvestiti sul territorio; questo naturalmente non garantì uno
sviluppo economico saldo e stabile nel tempo e causò gravi danni alle
stesse società mercurifere, fino alla loro uscita dal mercato
internazionale.
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