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Per produrre un formaggio pecorino, i metodi di lavorazione utilizzati sono principalmente due: quello della pastorizzazione e quello a latte crudo.
 

Il metodo più diffuso è quello della pastorizzazione, che consiste nel portare il latte alla temperatura di 72CC per circa 15 secondi. La pastorizzazione è una tecnica adoperata nella maggioranza della produzione casearia di pecorino (e non solo). Questo sistema si attua dopo aver aggiunto al latte il caglio, che regola la coagulazione per azione degli enzimi della chimosina (enzima contenuto nel caglio).
Il caglio è un prodotto enzimatico grezzo che può essere di derivazione animale, vegetale o chimica, contiene varie sostanze, ed in particolare un enzima, la chimosina, che produce la coagulazione del latte durante la sua formazione.

Il caglio animale è ottenuto dall'abomaso o quarto stomaco dei ruminanti lattanti. Vitelli principalmente, ma anche agnelli e capretti.

 

Il caglio vegetale può essere estratto dai fiori di cardo, dalle foglie di fico o dai fiori di carciofo selvatico. Il caglio vegetale veniva usato molto in passato, oggi, viste le grandi quantità di latte da far cagliare, è stato abbandonato, anche perché il processo di estrazione non da sufficienti garanzie di igenicità.

 

Il caglio si può produrre anche chimicamente modificando alcuni microorganismi per indurli a produrre direttamente la chimosina.  Fortunatamente però, anche i più grossi produttori di pecorino senese utilizzano soprattutto caglio di vitello.
La soluzione più naturale sarebbe quella del caglio vegetale ma, quello di estrazione animale, risulta essere più adatto alla caseificazione moderna. Sempre ben controllato, permette tempi di lavorazione abbastanza regolari e costanti, mentre con quello vegetale sarebbe più difficile mantenere costanti certi parametri.

 

Le fasi successive che seguono, sono l'estrazione del prodotto e la formatura in appositi recipienti di plastica per uso alimentare. Durante queste ultime fasi, avviene anche l'estrazione del siero, necessaria al futuro formaggio. Dal siero, si ottiene la ricotta.
In passato i recipienti erano dei piccoli cesti di vimini intrecciati a mano, la stagionatura avveniva in cantine o grotte naturali, abbastanza fresche, appoggiando i formaggi sopra assi di abete o faggio non in grado di trasmettere odori o sapori dominanti. Oggi avviene in ambienti refrigerati dove le varie fasi di stagionatura possono essere seguite perfettamente.


La salatura può essere fatta in due modi, in salamoia o a secco, la prima avviene dentro una vasca con acqua satura di sale, la seconda cospargendo la forma dall'esterno. Entrambe iniziano circa 12 ore dopo la formatura. La salatura dura in entrambi i casi circa 24 ore, dopodiché la forma viene sciacquata e/o ripulita e asciugata dalla salamoia e messa nell'ambiente atto alla stagionatura.

Durante la stagionatura si formano le muffe, le più comuni per questa tipologia di formaggio sono asciutte e non modificano lo stato esterno del formaggio, permettono una stagionatura più lenta e più misurata, diminuendo lo scambio tra l'ossigeno e il prodotto e mantenendolo più morbido.
L'operatore valuta sia la qualità che la quantità di muffa presente sul formaggio e in caso di valutazioni negative il formaggio deve essere ripulito attraverso il lavaggio. La muffa inizia a formarsi nella prima settimana. In questo conta molto l'ambiente: se l'umidità è bassa le muffe hanno bisogno di maggior tempo per formarsi, se invece l'umidità è alta la muffa si presenta molto prima. Un ottimo controllo sulla muffa si ha quando la forma presenta una buccia più spessa, mentre va fatta molta più attenzione al formarsi della muffa su un formaggio con buccia morbida.

 

Nella lavorazione a latte crudo si interviene facendo scaldare il latte quel minimo che basta per portarlo a temperatura di cagliata e aggiungendo allo stesso, soltanto caglio e sale.
Per questo tipo di lavorazione, è importante far intercorrere il minor tempo possibile tra la mungitura e l'inizio del processo. Segue poi la fase del riscaldamento, per stimolare la cagliata, che non deve mai superare i 36°C.
Nella lavorazione del formaggio a latte crudo non si perdono gli aromi volatili che, rimanendo disciolti, conferiscono al formaggio gusti e profumi delle erbe dei prati su cui pascolano le greggi mantenendo, inoltre, viva  la naturale flora microbica del latte.

 

Su questa lavorazione però è presente più che nel pastorizzato l'incognita del risultato finale. Se tra i vari ceppi di batteri, lasciati vivi dalla bassa temperatura alla quale avviene la lavorazione, prendono il sopravvento colonie di batteri meno buoni, si può incorrere in problemi anche importanti, come gonfiori diffusi della forma oppure fermentazioni non corrette tali da compromettere definitivamente il prodotto.
Per questo motivo, la tecnica della lavorazione a crudo è usata in piccole produzioni artigianali e raramente viene adottata in grandi produzioni commerciali.

 

Esiste una via di mezzo, che è attuata dalla maggioranza delle realtà produttive, quella della "termizzazione".

Si tratta di un processo di lavorazione che sta a metà strada tra il pastorizzato e il crudo: si porta il latte ad una temperatura che non supera mai i 60°C, in modo che soltanto alcune colonie di batteri vengano eliminate, lasciandone altre che evolvendosi conferiscono al formaggio caratteristiche di maggior pregio rispetto ad un pastorizzato. In etichetta è comunque dichiarato, produzione a "latte crudo"

Con la tecnica del termizzato, il latte perde comunque alcuni fermenti che dovranno essere quindi reintegrati, con l'aggiunta di fermenti lattici selezionati. Ulteriore riprova, che il prodotto ha comunque subito una leggera termizzazione è quando queste aggiunte si riscontrano sulle diciture di un etichetta di formaggio dichiarato a "latte crudo".

 

Nonostante una qualità superiore nella lavorazione a latte crudo, la stragrande maggioranza della produzione di pecorino nella provincia di Siena, avviene da latte pastorizzato, che rappresenta una stabilità in quanto a risultati finali. Risultati di cui ha bisogno chi commercia quotidianamente questi prodotti e deve disporre di una certa tranquillità produttiva e di continuità qualitativa nel tempo comunque sempre di alto livello organolettico.

 

Fasi produttive del pecorino, e le sue tipologie: fresco, semistagionato e stagionato.

La maturazione di un pecorino fresco va dai sette ai dieci giorni, che darà come risultato un formaggio morbido e cremoso. La pastorizzazione è l'unica possibile perché i tempi molto corti per la sua produzione renderebbero il latte completamente ingovernabile.
Un periodo minimo di stagionatura di 30-35 giorni è previsto, in genere, per i semistagionati. 

Lo stagionato, di classica forma piccola, deve rimanere a stagionare almeno 60 giorni. Anche se, per poter godere appieno delle migliori qualità, il periodo di stagionatura bisognerebbe fosse prolungato almeno fino a 90 giorni.

 

La tecnica della termizzazione sembra essere, per lo stagionato, la regola principale, lasciando al latte i giusti presupposti per il raggiungimento di un'ottima qualità e personalizzazione.
La differenza principale tra un pecorino stagionato senese e uno della maremma è la compattezza della pasta; nel maremmano si ha una pasta di maggiore gommosità, derivato dall'utilizzo di una temperatura di lavorazione più alta di quella utilizzata nel senese. Non a caso, quasi tutti i formaggi della provincia di Siena vengono detti "a latte freddo".

 

Ai pastori sardi va il merito di aver apportato qualità e nuova produttività a zone già altamente vocate alla pastorizia come il territorio Senese, riuscendo ad integrarsi e a fondere due culture diverse nella produzione casearia.