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La Fattoria di Bettolle nell'Anno 1784

Galleria Fotografica della Valdichiana

   
    Sintesi Storica Sistema dei Poderi nella Fattoria di Bettolle Il Palazzo e le Case della Fattoria di Bettolle    
 

Sintesi storica

                 
 

 

Nel 1525, quando ancora Bettolle era poco più di un piccolo villaggio di confine della Repubblica di Siena, la vicina comunità di Foiano - in territorio fiorentino - deliberò di cedere la parte dei propri terreni impaludati a Ippolito dei Medici a patto che questi provvedesse, a proprie spese, ai lavori di bonifica.

Medici accettò la proposta e, in tempi rapidissimi, la cessione fu regolarizzata con un contratto.

In un certo senso si può dire che fu con questo atto che si crearono i presupposti per la nascita della Fattoria di Bettolle.

 

 

Pianta della Valdichiana disegnata da Leonardo da Vinci tra il 1502-1503

 

 

L'iniziativa della comunità di Foiano non è facilmente comprensibile, se non dopo un'attenta lettura delle note del contratto. Perché una comunità non ricca decise di regalare una parte dei propri terreni, e perché proprio a chi non ne aveva un gran bisogno?

Innanzi tutto occorre precisare che tali terreni erano considerati della comunità per il solo fatto che non erano di nessuno, o per meglio dire, i terreni erano della comunità, perché si era persa la memoria di chi fosse stata la proprietà.

Questo lascia capire lo stato di abbandono e la qualità dei possessi.

Affidandosi poi alla magnanimità di un principe voleva dire, da una parte, poter affrontare il futuro con una protezione adeguata, e dall'altra ottenere, in tempi brevi, alcuni dei vantaggi derivanti dal contratto. Per esempio era previsto che la comunità ricevesse ogni anno uno staio di grano per ogni staioro¹ di terreno prosciugato; che per i lavori di bonifica e di coltivazione fossero utilizzati gli uomini di Foiano; che fosse consentito il pascolo nei periodi liberi da colture, ed altri piccoli vantaggi che avrebbero permesso alla gente di vivere un po' meglio, senza però, nel contempo, dare troppo fastidio alla nuova proprietà.

 

L'esempio di Foiano fu seguito nel decennio successivo, con gli stessi intenti e speranze, da Castiglion Fiorentino, che cedette i suoi terreni paludosi a papa Clemente VII, al secolo Giulio dei Medici (e zio di Ippolito), e successivamente da Cortona, Montepulciano, Chiusi e da quasi tutte le altre comunità della valle. In breve, la famiglia Medici, divenne proprietaria di tutti i terreni immediatamente a ridosso del Chiana, tra Arezzo e Chiusi.

 

I lavori di bonifica ebbero inizio e continuarono in modo più organico e deciso che in passato, soprattutto dopo la fine della “Guerra di Siena”, ma le cose non andarono esattamente come avrebbero voluto i donatori.

I Medici non rispettarono in alcun modo le clausole dei contratti di donazione: non pagarono mai quanto previsto dalle carte, si appropriarono di svariati ettari di terreno delle comunità e spesso richiesero contributi per le opere di bonifica.

Se a questi particolari si aggiunge la drastica diminuzione delle zone lacustri, con la conseguente riduzione dei proventi delle attività connesse, come la pesca, la raccolta delle canne, ed il traghettamento, quello che emerge è un quadro a dir poco disastroso, tanto da far apparire l’idea della donazione dei terreni come la peggiore che la gente della Valdichiana avesse mai avuto.

 

 

Pianta della Valdichiana disegnata da G. Canocchi nel 1788 in "Memorie idraulicho-storiche la Val di Chiana" del Fossombroni

 

 

Vittorio Fossombroni, ritenuto l’artefice massimo della bonifica, spiega nelle sue Memorie idraulico-storiche, che il metodo più ovvio per liberare un terreno dall’acqua stagnante è quello di creare un’apertura per farla uscire; poi aggiunge che un altro metodo, ugualmente valido e naturale, consiste nell’immettere nei territori allagati altre acque contenenti fango e detriti e di lasciarle decantare in modo da alzare il livello del terreno.

Questo secondo metodo era detto "delle colmate" e fu quello più largamente usato in Valdichiana, principalmente a partire dalla metà del XVIII secolo.

I lavori, comunque, non furono affatto semplici. A fronte di improvvisati scienziati che presentarono progetti, a dir poco, fantasiosi, un grosso problema frenò moltissimo i lavori per tutta la durata della bonifica: l'uomo, con la sua gelosia, gli interessi personali, l'avidità e la stupidità.

 

Così, in matematico Leonardo Ximenes, scriveva al Granduca: «La gelosia innata negli uomini di acquistare e mantenersi un potere che gli metta in diritto di comandare gli altri è il più delle volte all'origine di molti effetti perniciosi.

La Religione di S. Stefano ha il suo Ingegnere in proprio, il Canale Maestro per i suoi lavori ne stipendia un altro, ed i particolari bene spesso ne consultano degli altri, e molte volte agiscono di proprio moto e volontà, tralasciando quelli che casualmente vengono mandati per i pensati e particolari accidenti: ciascuno di questi si considera il dispotico della propria provincia, e geloso che alcun altro non venga ad usurparsi parte del suo dominio, differisce, o non vuole eseguire, ciò, che proposto gli viene dall'altro, il che unito alle mire, che ha ciascuno in particolare, di dirigere e servirsi delle acque relativamente a sé, e non al totale de sistema, produce il riempimento del Canal Maestro, il vagante e disordinato corso degli influenti, il colmare in luoghi inopportuni, il togliere finalmente alle povere Comunità quello che gli si appartiene»

 

Come il 1525 rappresentò l'importante inizio della bonifica della Valdichiana, un'altra data fondamentale per la valle e per tutte le comunità interessate fu il 1562.

La guerra di Siena era finita da tre anni e, più o meno, il resto della moderna Toscana, costituito dallo Stato Vecchio (il territorio della vecchia Repubblica fiorentina) e dallo Stato Nuovo (il territorio della Repubblica di Siena), era nelle mani di Cosimo I de' Medici che ora aspirava ad una corona regia.

Filippo II di Spagna era contrario a che ciò avvenisse e in altri tempi il parere sfavorevole dell'Imperatore sarebbe bastato a scoraggiare qualsiasi velleità, ma ora tutto giocava a favore del duca mediceo.

Nel 1562 partecipò alla guerra contro gli infedeli Ottomani istituendo un Ordine; l'Ordine dei Cavalieri di Santo Stefano, monaci-cavalieri votato alla guerra santa e benedetto da papa Pio IV, componente della famiglia Medici, permisero a Cosimo I di distinguersi dagli altri vassalli dell'Imperatore. 

L'Ordine dei Cavalieri di Santo Stefano era al servizio del potere granducale dotato, da Cosimo I, di un solido patrimonio di 2.000 scudi e di un patrimonio costituito da edifici urbani e proprietà fondiarie localizzate principalmente in aree della Val di Pesa, Val d'Elsa e nel Valdarno inferiore.

La costituzione e il mantenimento dell'Ordine può apparire come un gravoso pegno da pagare per la corona granducale ma, in effetti, consentì al Granduca di ricavarne un tornaconto personale nell'immediato.

I beni dell'Ordine, infatti, in virtù della Bolla papale del 1562 e del successivo Motupropio dello stesso Cosimo i, erano sottratti ad ogni forma di giurisdizione ecclesiale. Praticamente, con tanto di benedizione papale, gli fu permesso di non restituire i beni ecclesiastici che aveva confiscato per tutta la Toscana e che aveva concesso a parenti e servitori di Casa Medici, facendoli semplicemente confluire nei beni della Sacra Religione di S. Stefano, della quale Cosimo i era il Gran Maestro.

La sede fu stabilita a Pisa, dove vennero costruiti molto in fretta i primi immobili, per mettere l'Imperatore di fronte al fatto compiuto.

 

 

Stemma Mediceo Ordine dei Cavalieri di Santo Stefano

 

Stemma Ordine dei Cavalieri di Santo Stefano

 

Stemma Ordine dei Cavalieri di Santo Stefano

 

Stemma Ordine dei Cavalieri di Santo Stefano

 

Il patrimonio dell'Ordine andò man mano aumentando con le acquisizioni di terreni e fattorie, all'inizio soprattutto nella provincia pisana e poi, in altre parti della Toscana, fino a raggiungere la massima entità nel secolo seguente con l'acquisizione delle fattorie granducali di Valdichiana.

 

 

Pianta della Valdichiana con l'indicazione dei territori delle fattorie dell'Ordine di Santo Stefano e delle regie Possessioni, dal Cabreo della Stufa

 

 

La Valdichiana, da sempre terra di contrasti, principalmente legati alle vicende della bonifica, era stato comunque possibile procedere a numerosi appoderamenti di terreni che, organizzati nella forma della fattoria, erano andati a incrementare la grande proprietà agricola dei Medici.

Queste, otto in tutte, erano amministrate dallo "Scrittoio delle Regie Possessioni", ossia dall'apparato statale che curava gli interessi della casa regnante.

All'inizio della seconda metà del '600, Ferdinando II, decise di vendere le sue quattro fattorie migliori al suo Ordine di Santo Stefano.

La prima fu quella di Font'a Ronco, ceduta il 28 settembre 1651 per 48.364 scudi, poi fu la volta di Foiano con due atti notarili (28 agosto 1653 e 25 ottobre 1656), per 40.227 scudi, poi Bettolle e Torrita (che andarono a formare una sola fattoria), il 25 ottobre 1662, per 41.00 scudi, e infine Montecchio il 27 marzo 1685 per 107.918 scudi. Rimasero invece ancora gestite dallo Scrittoio delle Possessioni le altre fattorie non ancora ben organizzate: Dolciano, Acquaviva, Chianacce e Frassineto.

 

Palazzo di Fattoria di Bettolle

Palazzo di Fattoria di Foiano

Palazzo di Fattoria di Montecchio

Palazzo di Fattoria di Font'a Ronco

 

Le dimensioni dei poderi e delle fattorie aumentarono nel tempo, non solo man mano che si sviluppò l'opera di recupero delle terre sottratte alla palude, ma anche per le continue operazioni di acquisti e confische che la Sacra Religione, dall'alto della sua posizione, effettuò con una certa facilità.

I privati che avevano possedimenti terrieri nella valle, per la ferrea politica applicata dallo Stato sul commercio del grano, erano costretti a vendere per i prezzi poco remunerativi.

La tenuta di Bettolle subì numerose modifiche nel tempo a causa del pressoché continuo lavoro di bonifica, con il quale si strapparono alla palude, anno dopo anno, nuovi terreni coltivabili. I poderi, in numero di 14 nel 1662, con un'estensione complessiva di circa 450 ettari, salirono a 15 nel 1690, a 17 nel 1717 e poi a 22 nel 1736, con una estensione complessiva di 550 ettari.

A seguito dei contratti di vendita risulta certo che nel 1662 coesistevano, nella Valdichiana senese le tenute di Torrita e di Bettolle e per tutto il 1690 nei documenti ufficiali la fattoria verrà sempre indicata con il doppio nome, successivamente a tale data, Torrita, non sarà più menzionata.

Quanto all'originario palazzo di fattoria di Bettolle, non se ne conosce esattamente l'ubicazione anche se non ci sono motivi per ipotizzarne una diversa dall'attuale, ossia immediatamente fuori del centro storico, ai margini della collina da cui si domina la valle. Le strutture più antiche sembrano essere settecentesche ed è probabile che queste si siano sovrapposte a quelle più modeste del secolo precedente.

 

 

La Toscana verso la fine del XVI secolo.

Si estendeva per circa 20 mila kmq. contro i 23 mila odierni.

Non ne facevano parte:
Pontremoli (Impero);

parte della Lunigiana (Malaspina e Spagna);

lo Stato di Massa Carrara;

parte della Garfagnana (Estensi);

la Repubblica di Lucca;
il Principato di Piombino con l'isola dElba (escluso Porto ferraio), le isole di Pianosa, Gorgona e Montecristo (Appiano); l'isola di Capraia (Genova), lo Stato dei Presidi, da Talamone a Orbetello e l'Argentario (Spagna);
il Marchesato di S. Fiora;

la Contea di Pitigliano (Orsini).
In più il Granducato comprendeva alcune zone che oggi fanno parte della Romagna.
 

 

Il patrimonio della Sacra Religione di S. Stefano era tra i più importanti, se non il più importante, dell'intera regione. Per far fronte alle esigenze di carattere amministrativo e gestionali dei beni e garantire il controllo dell'autorità granducale, furono istituite diverse figure. L'Auditore generale, previsto fin dal 1565 e stipendiato direttamente dal Granduca, con il compito di controllare l'operato e la condotta dei cavalieri, nonché di intervenire nelle questioni legali e del tesoro; e poi soprintendenti, direttori, funzionari, computisti, quasi tutti con sede a Pisa o Firenze e con uno stuolo di fiduciari in loco.

Una quantità tale di responsabili che, paradossalmente, proprio per il loro numero elevato e la struttura complicata, producevano scarsa informazione ed oltre tutto poco attendibile. I resoconti venivano così fatti sulle basi di quelli precedenti e la loro utilità era praticamente nulla.

Praticamente un ricalco della politica che i Medici avevano sempre utilizzato per tenere unito il Granducato: particolarismi, privilegi, contrapposizioni ed alleanze.

La politica di Cosimo I, e degli altri granduchi dopo di lui, fu quella di intessere una serie di alleanze e patti differenziati in modo che ad ognuno sembrasse di essere più privilegiato degli altri. Ogni città era protetta nei propri interessi, ogni corporazione poteva vantare autonomie proprie. In molte zone resistevano privilegi feudali a cui i Medici ne affiancarono altri con una sorta di rifeudalizzazione di un territorio non perfettamente definito. Un intricatissimo intreccio reso ancora più complicato dal concetto di possesso, o confine, per il quale si possedeva un bene in quanto lo si usava. Il diritto cioè derivava dall'uso e non viceversa. La sola politica chiara e lineare fu quella di privilegiare tutti tranne la campagna, la sola ad essere produttiva e la sola ad essere tassata.

 

Riguardo al controllo sul territorio, esercitato con grande spiegamento di forze, è doveroso fare un esempio sulla produzione cerealicola: non uno staio di grano poteva essere raccolto, immagazzinato, venduto, macinato, panificato senza sottostare, passo dopo passo, al rilascio di un'autorizzazione specifica da parte delle autorità. Non un pane poteva essere venduto con caratteristiche, quantità e prezzo diversi da quelli voluti dal sovrano.

Per esercitare tutto questo potere era necessario un apparato burocratico numeroso che, a sua volta, doveva essere tenuto sotto controllo.

Tale controllo fu fatto sovrapponendosi all'intreccio di privilegi locali e di casta (combattuti aspramente dai principi illuminati del Settecento), rendendoli ancora più complicati con ulteriori concessioni e privilegi. A partire dagli ultimi decenni del XVII secolo si assiste ad un processo di spostamento dei capitali disponibili dalle attività urbane, ad "investimenti" nella proprietà rurale. Il motivo ha un duplice aspetto: quello più ovvio della convenienza economica, e quello meno evidente, di desiderio di "nobilitazione". In altri termini: il denaro dà potere, ma la proprietà della terra aggiunge prestigio.

 

Agli inizi del XVIII secolo il prestigio internazionale dei Medici, che aveva contraddistinto la casata per 150 anni, era poco più che un ricordo. Gian Gastone de' Medici, senza discendenti diretti, non poté lasciare il trono ad un parente italiano. Le potenze straniere pianificarono la successione ben prima della sua morte, tanto che, quando avvenne, Francesco Stefano di Lorena, Granduca designato, era nel frattempo diventato Imperatore d'Austria-Ungheria.

 

Stemma granducale dei Lorena

 

 

Quando Francesco Stefano di Lorena nel 1738, da un anno granduca di Toscana, vestì a Vienna l'abito di Gran Maestro dei Cavalieri di S. Stefano, conosceva perfettamente la realtà toscana. Essendo stato designato da tempo a succedere all'ultimo dei Medici, aveva avuto tutto il tempo per inviare esperti nel territorio. Evidenziando una crisi economica che partiva dalla campagna ed un Ordine, quello dei cavalieri di S. Stefano, troppo potente e troppo indebitato.

Uno degli obiettivi della politica lorenese fu proprio il ridimensionamento l'Ordine. Ma, il ruolo sociale che coinvolgeva tutte le classi dirigenti, affiancato ad un valore simbolico di tutto rispetto, che derivava dall'essere una milizia cavalleresca posta sotto l'alto patronato del Pontefice, consigliavano di procedere con cautela.

La lotta tra il Governo lorenese e l'esercito di casate, aziende e individui con interessi vicini all'Ordine, fu lunga e aspra. I consiglieri del Granduca ritenevano che l'unico modo per risolvere il problema fosse quello di dare in affitto a privati le fattorie della Sacra Religione. Ovviamente l'Ordine era di parere assolutamente contrario.

Nel 1741 Francesco Stefano ordinò la concessione in affitto di tutti i beni dell'Ordine, non solo di quelli fondiari, ma anche delle entrate fiscali come di altre produzioni importanti dell'economia toscana di allora. La scelta consentiva di liberarsi delle spese per la gestione diretta dei beni e di far affluire denaro liquido nelle casse dello Stato.
 

 

Pianta settecentesca della zona tra Foiano, Bettolle e Sinalunga

 

 

Nel 1765, all'età di 18 anni, Pietro Leopoldo, figlio di Francesco Stefano di Lorena e Maria Teresa d'Austria, diventò Granduca di Toscana.

Visitò per la prima volta la Valdichiana nel 1769 maturando subito l'idea di "mettere tutte le acque e i lavori da farsi, di arginature e simili, tanto quelli dello Scrittoio che della Religione e dei particolari, sotto la direzione di una medesima persona, mentre nel sistema presente ognuno volta i fiumi e fa le colmate come torna al proprio vantaggio senza badare ai danni che ne possono risultare per altri». Problema di non facile soluzione, se furono necessari quasi 20 anni per ottenere una direzione unitaria.

Pietro Leopoldo ne faceva un cardine della sua politica di rinnovamento (e risollevamento le condizioni economiche del granducato) affermava: «per far risorgere adunque l'agricoltura dal languore ed avvelimento, nel quale l'aveva a poco a poco gettata un errore di governo, conveniva prima di ogni altra cosa remuovere ed allontanare le cause principali che ne avevano procurato la sua depressione». Tali cause venivano individuate nel predominio cittadino, componenti del quale erano soprattutto la nobiltà ed il clero.

«Credono che tutta la Toscana debba contribuire unicamente al piacere e vantaggio loro», scriverà Pietro Leopoldo a proposito dei nobili e poi, a proposito del clero: «i preti a Firenze sono in numero eccessivo, [...] bisogna impedire le nuove fondazioni e le ordinazioni di quelli che non sono addetti a qualche chiesa».

 

Pianta con l'indicazione dei terreni della Real fattoria di Bettolle, metà del XVIII secolo.

 

 

L'attuazione di una politica di contenimento nei confronti dei due maggiori committenti di opere architettoniche frenò l'attività edilizia nelle città favorendo, come conseguenza, l'impegno nelle campagne di architetti e costruttori cittadini.
Inizia in questo periodo quell'opera di razionalizzazione dei beni agrari che caratterizzerà tutta la Toscana in generale ed il paesaggio della Valdichiana in particolare.

 

Si pianifica e si disegna la disposizione dei campi, delle case, delle strade, dei canali e dei fossi. Si delimitano i campi con i caratteristici filari di testucchi; lungo le strade e i grottoni dei canali si piantano i gelsi; in prossimità di fossi e pozze d'acqua si regola la crescita dei canneti alternandoli a vincaie e pioppi. Tutti alberi indispensabili per l'autonomia del podere, piantati esclusivamente per questo scopo, ma tuttavia segno di una progettazione seria e completa che ha come unico obiettivo quello di migliorare l'ambiente nel suo insieme e non più quello di trarre la maggiore produzione dal singolo appezzamento. In ogni caso l'aspetto estetico è ancora oggi notevole, pur avendo perso gran parte del suo fascino con l'allargamento dei campi e l'abbattimento di gran parte dei caratteristici testucchi. E doveva essere apprezzato anche all'epoca se in una relazione del Settecento i possessi della Sacra Religione in Valdichiana furono definiti «Giardini, non poderi»

A dimostrazione poi che la razionalità degli interventi di bonifica era favorevole, oltre alla bellezza, anche alla produzione, in un'altra relazione si sostiene che «[...] reputare si potevano [le campagne delle fattorie di Valdichiana] il più sicuro ed abbondante granaio della Toscana»

E, nel frattempo, Pietro Leopoldo controllava gli affittuari delle fattorie granducali. Ai contratti di affitto, tenuti bassi per permettere interventi di manutenzione senza gravare sul guadagno dell'azienda che gestiva la fattoria, si aggiungevano anche interessanti incentivi, con la formula del rimborso delle spese sostenute, per l'impianto di nuovi alberi e colture, per interventi su case, strade, fossi, ponti ecc.

Pietro Leopoldo di Lorena Granduca di Toscana

In Valdichiana era predominante la coltura cerealicola, con particolare riferimento a quella del grano, seguita da fave, segale e orzo. Ai primi dell'Ottocento la produzione di grano in Valdichiana raggiunse i 2 milioni di staia all'anno: praticamente un quarto della produzione di tutto il granducato.

Il 1749 fu la data dell'introduzione in Valdichiana di una nuova coltivazione, quella del mais. La fattoria di Bettolle fece da capofila nella sperimentazione del granturco. Il raccolto fu modesto, solo 36 staia. Forse fu usato poco terreno per il test, o forse ci furono problemi di produzione, fatto sta che a Bettolle non si parlerà più di mais per quarant'anni.

La seconda sperimentazione si ebbe solo nove anni dopo nella fattoria di Font'a Ronco dove la raccolta fu di 156 staia, che salirono in nove anni a poco meno di 1.000. Nel 1763 si iniziò a seminare mais a Foiano e, nel 1782, anche a Montecchio. Nel novennio 1782-91 tutte e quattro le fattorie producevano regolarmente mais per un raccolto totale annuo di 17.282 staia: c'era voluto mezzo secolo per convincerli tutti.

 

Pietro Leopoldo continuò i suoi viaggi in Valdichiana, durante i quali scrisse relazioni; rimproverò i ministri della Religione di S. Stefano che non controllavano, come avrebbero dovuto, la conduzione delle fattorie; rimproverò gli affittuari che non si impegnavano nei lavori di manutenzione ed ammodernamento, rovinando il lavoro comunitario; pianificò nuovi interventi.

Malgrado l'insoddisfazione del Granduca, indice evidente di una non perfetta gestione, la Valdichiana era una sorta di cantiere che sembrava non avere mai fine. Anno dopo anno si assisteva alla nascita di nuovi poderi, alla ristrutturazione di altri, all'ammodernamento delle strutture accessorie: stalle, cantine depositi... che aumentarono il patrimonio delle fattorie.

 

Quella di Montecchio, intorno al 1790 raggiunse, la potenzialità di 50 unità poderali. Per ottimizzarne la direzione venne creata, con una parte dei poderi, la nuova fattoria di Creti. Tra il 1802 ed il 1805 nacque la nuova fattoria di Pozzo della Chiana con parte dei poderi di Font'a Ronco, e quella dell'Abbadia di Montepulciano, con parte dei poderi di Bettolle.

Alla scadenza del quarto novennio di affitto (1782) Pietro Leopoldo era ormai convinto di far riprendere la gestione diretta delle fattorie alla Sacra Religione. Non era più disposto a sopportare, come scriverà nelle sue Relazioni «i soliti imbrogli con gli affittuari» o a dover combattere con le compagnie che diventano «tanto grosse da fare prepotenze» e che, oltre tutto, «per la piccolezza del canone pagato e le condizioni apposte nel contratto vi hanno fatto ricchezze immense». Con il ritorno dell'amministrazione delle fattorie all'Ordine e delle Regie possessioni alla Segreteria di Stato, si riprese in modo quasi forsennato, ma pianificato e razionale, il lavoro di bonifica e consolidamento in tutta la Valdichiana (ora c'è Vittorio Fossombroni che il Granduca giudica "giovine di talento [...] che promette bene."

 

 

Vittorio Fossombroni

Pianta della Valdichiana del XVIII secolo

 

Per la prima volta, si pone una particolare attenzione ai bisogni dei contadini: studiando seriamente il modo migliore di costruire le loro abitazioni e gli annessi necessari a farli vivere meglio. Uno dei compiti del Visitatore era addirittura quello di raccogliere le richieste dei lavoratori e, nel caso le avesse ritenute giuste, di inoltrarle al Granduca tramite il Soprintendente e I'Auditore della Religione. Prescindendo dall'accoglimento o meno delle richieste, che pure furono accolte, il solo fatto di prevedere di ascoltare il contadino era, per i tempi, cosa assolutamente nuova.

La rendita delle fattorie aumentò a partire al 1782, anno del ritorno sotto l'amministrazione dello Scrittoio, raggiungendo la media annua di 58 mila scudi che salì a 70 mila agli inizi degli anni '90 e ad oltre 80 mila nel biennio 1796-97. Nota di particolare importanza: la metà della rendita fu sempre destinata all'acquisto di nuovi beni, all'aumento dei bestiami ed alla manutenzione idrica dei terreni.

 

Pietro Leopoldo, al termine del suo regno quando, nel 1790, morto il fratello Giuseppe, diventò imperatore d'Austria-Ungheria, lasciò una sorta di consegna con la quale raccomandava di mantenere invariato il sistema di amministrazione delle fattorie e di non lasciarsi mai tentare a cederle in affìtto, perché la manutenzione ed il controllo della rete dei fossi, dei canali e della viabilità doveva essere totale ed unitaria per la salvaguardia dei terreni. A Pietro Leopoldo successe alla guida del Granducato, il suo secondogenito Ferdinando III, il quale annullò o ammorbidì molte delle riforme del padre, in particolar modo quelle di carattere religioso che avevano provocato diversi subbugli. Convinto sostenitore dell'Ordine, visitò più volte la fattoria di Bettolle e per lui fu costruita, sul palazzo, la torre da cui poteva osservare la valle. Una lapide lo ricorda.

 

Ferdinando III di Lorena

 

RISTABILITA LA CALMA IN EUROPA

I PRINCIPI AUSTRIACI PERCORSERO LE CONTRADE D'ITALIA

L'ANNO MDCCCXIX

E SI COMPIACQUERO DELLE ARTI FIGLIE DELLA PACE

MENTRE L'IMPERATORE E RE FRANCESCO

ASCENDEVA IN CAMPIDOGLIO FRA LE GRANDEZZE DI ROMA

L'ARCIDUCA GIUSEPPE PALATINO D'UNGHERIA

CONTEMPLAVA LE ACQUE DI VAL DI CHIANA

 LE QUALI AL CENNO DEL REGIO SCETTRO TOSCANO

SENZA STREPITO DI SANGUINOSI EVENTI

COMPISCONO LA CONQUISTA DI UN'INTERA PROVINCIA

E SUGGERIVA DI COSTRUIRE QUESTA SPECOLA

ONDE FACILITARNE L'OSSERVAZIONE

IL GRAN DUCA FERDINANDO III

LA FECE SUBITO ERIGERE E L'ONORÒ DELL'AUGUSTA PRESENZA SUA

E DELL'ARCIDUCHESSA FIGLIA MARIA LUISA

ORDINANDO CHE UN MARMO CONSERVASSE QUI LA MEMORIA

DELL'OSPITE ILLUSTRE

CHE N'AVEVA CONCEPITO IL PROGETTO

 

Con l'occupazione napoleonica Ferdinando III fu costretto a rifugiarsi a Vienna dove venne nominato principe elettore di Salisburgo e granduca di Wiirzburg. Nel 1808 il governo napoleonico dispose controlli puntuali sulle proprietà fondiarie dell'Ordine. In particolare le fonti riportano notizie della visita di un commissario nominato allo scopo: Francois De Cambray Digny il quale raccolse in una relazione lo stato dei beni dell'Ordine in Valdichiana.

Il manoscritto, redatto nello stesso anno, fornisce dati sullo stato del patrimonio immobiliare, classifica i terreni per ogni fattoria, specificando i prodotti e le colture cui ciascuno era destinato.

Malgrado gli sforzi fatti dal Consiglio della Religione per dimostrare l'utilità economica e sociale dell'Ordine, questo venne soppresso il 9 aprile 1809. Tutti i beni passarono al demanio ad eccezione dell'archivio che fu lasciato a Pisa, probabilmente perché non fu ravvisato in esso particolare importanza, anche se i rapporti redatti per l'occasione lo descrivono di «notevole imponenza, comprendendo non meno di sette in otto assai vaste camere e con bello e singolar ordine maestosamente classato».

I francesi, una volta entrati in possesso delle fattorie della Valdichiana, dimostrarono di credere nell'importanza delle tenute agricole. Riorganizzarono l'amministrazione, cambiarono i quadri e gli apparati di controllo, furono presenti sul campo.

 

Territorio della Fattoria di Bettolle, particolare da: "Carte demostrative la Val-de-Chiana avec l'indications des Possesions de la Cauronne, et de l'Ordre de S. Etienne". 1800 ca. da Barni-Lottarini "Dalla bonifica alla ferrivia - Economia e società a Chiusi tra Settecento e Ottocento.

 

 

 

Napoleone Buonaparte

 

Chiusa la parentesi francese, che peraltro non influì negativamente sui lavori di bonifica e di manutenzione della valle, Ferdinando in tornò in possesso del granducato di Toscana e ripristinò l'Ordine di S. Stefano. I beni fondiari non furono però restituiti all'Ordine, ma furono affidati alla nuova Amministrazione Economico-Idraulica di Valdichiana. A titolo di indennizzo l'Ordine ricevette una rendita annua di 350 mila lire54.
Ferdinando in morì a seguito di una malattia contratta proprio durante una visita in Valdichiana.

Gli successe, nel 1824, il figlio Leopoldo II, il quale promosse i lavori di bonifica della Maremma grossetana, già iniziati dal nonno Pietro Leopoldo, e proseguì i lavori di manutenzione e bonifica della Valdichiana.

Leopoldo II di Toscana

 

Nel 1859, allo scoppiare della seconda guerra d'Indipendenza, Leopoldo II fu costretto ad abdicare ed a rifugiarsi in esilio in Austria.

Nel novembre dello stesso anno il Governo provvisorio, presieduto da Bettino Ricasoli, abolì l'Ordine di S. Stefano dichiarandone disciolto il patrimonio e approvando, nel contempo, il bilancio di previsione per le opere da fare in Valdichiana.

Furono confermati i progetti del Manetti, succeduto al Fossombroni, mentre la direzione dei lavori fu affidata all'Ufficio del Genio Civile di Arezzo con giurisdizione estesa ai territori senesi della valle. Tali opere riguardarono principalmente l'abbassamento della Chiusa dei Monaci presso Arezzo e la costruzione di nuovi alvei per il Salarco e la Foenna.

Nel 1863 il Governo italiano vendette tutte le fattorie dello Scrittoio delle possessioni. I compratori «vennero tutti o quasi tutti da fuori; e fra questi si annoverano l'ex deputato Servadio, l'ex ministro Bettino Ricasoli, l'ex ministro Pietro Bastogi e la francese madame Favard addivenuta quindi contessa di Frassineto».

La fattoria di Bettolle fu acquistata dal genovese Carlo Felice Puccio.

Nel 1865 le opere idrauliche della Valdichiana furono poste tra quelle classificate di seconda categoria, la cui spesa era prevista a carico dello Stato con il concorso delle province di Arezzo e Siena e del nuovo Consorzio di Bonifica.

"Finalmente nel 1881 venne proposto nel parlamento un grandioso progetto pel bonificamento della valle, e la proposta divenne legge, e si eseguirono dal 1882 al 1895 diversi lavori, che costarono molto, e furono utili poco»; così racconta le operazioni di bonifica Adolfo Ferrari, vissuto in quel periodo, e continua: «[...] specialmente che venga esteso il perimetro delle opere di seconda categoria ai torrenti Esse e Foenna; che gli affluenti di essi vengano con assennato criterio classificati nella terza categoria ed i danni immensi cagionati dall'alluvione memorabile del 1897 non tornino presto o tardi a ripetersi [...]".

 

I lavori continuarono ancora per alcuni decenni, tanto che non è difficile, andando in giro per la Valdichiana, imbattersi in opere realizzate tra il 1930 ed il 1940. Tutt'oggi, anche se le operazioni di bonifica sono terminate, il bacino a ridosso del Canale maestro è oggetto di cure ed attenzione continua a riprova dell'equilibrio instabile che regola la splendida, ma delicata Valdichiana. Carlo Possenti, che sostituì il Manetti alla direzione delle opere di bonifica, scrisse a proposito della delicatezza del sistema «[...] tanta ricchezza sorprende il viaggiatore, il quale ignaro del regime idraulico, vede solo intorno a sé campagne fertili e popolate, coltivazioni ricche ed estese, ville, giardini...».
 

 

Scorcio della Valdichiana nella zona di Rotone, sullo sfondo il monte Cetona

 

 

 
 

¹ Tanto terreno, che vi si semini entro uno staio di grano

 

Estratto da: Quaderni Sinalunghesi - la Real Fattoria di Bettolle - a cura della Biblioteca Comunale di Sinalunga - anno XII n.1