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La "favola
bella" del Brunello - per cui poco sarebbe un libro, figuriamoci una
pagina web - è la storia di un toscano ostinato e lungimirante. E' la
vicenda di un antico borgo che deve al suo vino, di fama mondiale, il
rango di cittadella del sapere vitivinicolo e l'ufficio di laboratorio
della sperimentazione enologica, in cui brillano agguerrite signore - o
meglio "prime donne" - capitanate da Donatella Colombini Cinelli.
All'aura di Montalcino quale scrigno di delizie contribuiscono: a
cominciare dall'ottimo miele, profumato di rare essenze, che rivaleggia
in qualità con il sopraffino olio della Plaga, grazie al quale condire
diviene un'arte.
Ma torniamo alla nostra storia: il protagonista è Ferruccio Biondi
Santi, "gentleman farmer" ottocentesco, emulo di Bettino Ricasoli nel
ruolo di innovatore agricolo, ma agli antipodi, per così dire, dal punto
di vista vitivinicolo: mentre il "Barone di Brolio" fondava la storica
ossatura del Chianti su una miscela d'uve rosse e bianche, l'altro
fidando nella terra e nel clima di Montalcino, forte anche
dell'esperienza del nonno, Clemente Santi, scommetteva sulla
vinificazione in purezza, affidando al solo Sangiovese - o meglio a un
suo clone attentamente selezionato, il Sangiovese grosso - le speranze
di ottenere un vino superiore, longevo e "assoluto".
Ed ebbe ragione: a suo figlio Tancredi toccò il compito di tipizzare il
Brunello, gettando le basi del futuro disciplinare, e lanciarlo sul
mercato, ottenendo in pochi decenni, malgrado la produzione contenuta,
positivi riscontri commerciali e invidiati riconoscimenti
internazionali, sino a farne - oltre che un eletto piacere per i sensi -
un patrimonio fra i più importanti della Toscana.
Il
successo del Brunello, vino d'autore che sovvertiva i canoni della
vinivicultura nostrana, ha avuto non poco peso nell'aprire la strada al
conio di vini di altissima qualità i cosiddetti "supertuscans", che sul
Sangiovese, con l'immissione di vitigni internazionali quali il Cabernet
e Merlot, hanno fondato una nuova identità vinicola della Toscana,
facendone la culla ideale dei vitigni a bacca rossa. Il Brunello, primo
vino italiano a ottenere la Docg nel 1980, prodotto da un ristretto
numero di aziende nel solo territorio di Montalcino, è universalmente
tenuto per uno dei migliori vini al mondo, grazie anche alla lunga
maturazione in botti di rovere: almeno 4 anni, che salgono a 5 per la
riserva (titolo alcolometrico : fra 12,5 e 13,5 gradi).
Il colore, rosso rubino intenso, tende al granato con l'affinamento: il
"bouquet", etereo, caratteristico e intenso, è d'eccezionale eleganza;
il sapore è asciutto, caldo, giustamente tannico, robusto ma armonico e
persistente. La temperatura di servizio oscilla tra 18 e 20 °C: invece
che di abbinamento gastronomico, sarebbe giusto parlare di piatti - come
arrosti di carni rosse e selvaggina, nonché formaggi stagionati di
pregio - all'altezza di cotanto nettare, capace di far impallidire
rinomate etichette piemontesi e blasonati "Châteaux" francesi; e
giustamente gli esperti sottraggono le riserve di alcune ineffabili
annate alla categoria dei vini da pasto per assegnarle ai vini da
meditazione, da centellinare in totale raccoglimento.
Il Brunello è uno dei vini più longevi al mondo (nelle cantine di Biondi
Santi si conservano bottiglie datate 1888!) invece di deperire, col
passare degli anni si evolve in incomparabile armonia, esprimendo
profumi e sapori straordinari.
Le bottiglie di alcune annate eccezionali, che
acquisiscono valore col passare del tempo, rappresentano veri e propri
investimenti, al pari di quadri, gioielli e tappeti: ciò grazie anche
alla ricolmatura, operazione finalizzata a prolungare la vita del vino
di grandi vendemmie, consistente nel "ricolmare" con vino della stessa
annata e ritappare le bottiglie di vecchie riserve, di proprietà della
clientela, che abbiano superato un severo esame relativo alle condizioni
del tappo e alle caratteristiche organolettiche del vino.
La
denominazione "Rosso di Montalcino Doc" (risalente al 1983) designa vini
nati dalle stesse terre e dalle stesse uve del Brunello, ma messi in
commercio nell'annata successiva alla vendemmia, senza subire lo stesso
invecchiamento.
Il colore
è rubino intenso, l'odore caratteristico, il sapore asciutto, generoso e
un poco tannico.
Vini di
gran corpo (12°) da tutto pasto, accompagnano a temperatura ambiente
primi piatti con sugo, pollame, arrosti e formaggio pecorino. Infine, la
terra benedetta del Brunello ha linfa per nutrire anche le uve del
Moscadello di Montalcino Doc (la denominazione risale al 1984): raro e
aristocratico vino da dessert, fine pasto e meditazione, è fatto di
Moscato bianco, cui possono affiancarsi altri vitigni a bacca bianca
sino al 15 per cento, nelle tipologie "Tranquillo", "Frizzante" (con
presa di spuma a fermentazione naturale) e "Vendemmia tardiva" (affinato
per un anno almeno).
Niente di meglio, dopo un lauto pranzo innaffiato di splendidi rossi,
che gustare una stilla di Moscadello con i "rustici" di Montalcino,
gialli biscottini rettangolari di pasta frolla e mandorle fatti a mano,
profumati di limone, nella cui composizione non manca il buon miele
locale: lo stesso accade per la mandorlata, candida e morbida pagnotta
di mandorle e canditi impastati con zucchero e farina.
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