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Sistema dei Poderi nella Fattoria di Bettolle - Parte 2 ͣ | Parte 1 ͣ |
La produzione agricola della fattoria di Bettolle è rivolta fin dall'inizio ai cereali, con particolare riferimento al grano. Con il tempo si affiancano al grano, ma con scarso entusiasmo, produzioni cerealicole minori: orzo, segale e poi granturco, fave, miglio. Dall'analisi delle voci annotate negli anni 1864 e 1865 nel Registro di Fattoria, non risultano presenze significative di prodotti diversi dal grano, anche se, da più, parti si era cercato di convincere i contadini a produrre diversamente. Legata forse alla proverbiale cocciutaggine del contadino di chiane, è la scarsa produzione di mais e l'assenza della patata, produzioni entrambe fortemente promozionate per l'alimentazione della famiglia contadina.
Nella Fattoria di Bettolle ha una grande diffusione la vite, almeno a partire XVIII secolo, pur trattandosi di viticoltura di piano con pochi appezzamenti coltivati a vigna. Nella maggior parte dei casi la vite è coltivata nei filari che delimitavano le "prode" dei campi. In questo caso come sostegno della vite viene usato l'acero campestre, chiamato nella zona "testucchio", un albero con poche esigenze nutritive che non sottrae risorse alle viti. Le fonti concordano nel definire questo vino "abbondante ma di qualità inferiore". Pietro Leopoldo lo trova "basso, debole e salmastroso" tuttavia è documentata una vigna grande del Godiolo, detta anche del Granduca, perché il vino che vi si produceva era destinato, appunto, alla cantina privata del granduca: segno che non tutto il vino era "basso, debole e salmastroso". In una relazione degli inizi dell'Ottocento si imputa la "debolezza" del vino ad una cattiva scelta delle uve ed agli alberi che, piantati troppo vicini, non permettono la maturazione delle uve.
La produzione di vino, nella seconda metà del Settecento, è di oltre 8.000 barili all'anno, tuttavia il prodotto non dava il guadagno auspicato, ed il problema non era tanto quello della bassa gradazione, quanto piuttosto quello della cattiva manifattura. Solo nel 1809 il cantiniere [della fattoria di Bettolle] attestava la vendita di 432 barili di vini guasti ed altri 19 di "posata" che si erano dovuti gettar via per essere ormai inutilizzabili anche per la distillazione.
All'epoca vigeva una consuetudine, giunta fino alla metà del Novecento con poche modifiche, per la quale i contadini a mezzadria davano al padrone il 55% dell'uva anziché la metà dovuta. In cambio di quel 5% in più ricevevano le vinacce dalle quali ricavavano il cosiddetto vino stretto, che poi allungavano con l'acqua ottenendo l'acquerello.
Un altro ambiente di primaria importanza per la famiglia mezzadrile era la stalla. In Valdichiana, almeno nelle costruzioni più antiche, era collegata direttamente con la cucina sovrastante attraverso una botola che permetteva di scendere agevolmente per accudire e sorvegliare il bestiame, il cui buono stato dipendeva sostanzialmente dalla sollecitudine del "bifolco". Già alla fine del Settecento i capi di bestiame erano circa 1.200. Nel 1799 nei registri di fattoria risulta una spesa per oltre 13 mila scudi per l'acquisto di 284 bovini, 966 ovini, 230 porcini (suini) e 33 animali da soma. Tuttavia i risultati non erano ritenuti soddisfacenti. L'auditore Neri evidenziava lacune: "[...] i bestiami non sono custoditi nelle stalle, ed a riserva di qualche poca cura per i manzi, che si pratica dal bifolco, tutto il resto del bestiame si sostiene con mandarlo alla pastura a procacciarselo sotto la scorta di qualche ragazzo, che non ha né capacità, né voglia di usarci attenzione".
Verso la fine del Settecento viene costruito uno stallone e strutture diverse per una latteria ed una burraia, nella zona di Greppo. Bettolle era stata scelta per un esperimento caseario perché si riteneva che avesse i migliori prati della valle, adatti, secondo quanto relazionò il Gamurrini, a nutrire "cospicue quantità di bestiame tanto bovino che ovino". Tuttavia l'esperimento non riuscì perfettamente, tanto che nel 1808 l'ispettore imperiale Francois de Cambray Digny rilevava delle gravi carenze di base quale quella dei pascoli troppo lontani. L'allevamento del bestiame rappresentava un dato economico vivace sia nell'ambito dei singoli poderi, sia per quanto atteneva al contesto dell'azienda, e faceva parte di quell'insieme di produzioni che caratterizzava la tipologia della "coltura promiscua" atta a garantire un equilibrio all'interno dell'economia mezzadrile e dell'azienda stessa.
La componente essenziale dell'immagine classica dell'architettura rurale toscana è la colombaia.
Data la genesi di
tante case coloniche toscane, nate dal declassamento di medioevali "case
da signore", la torre era un elemento frequente nell'edilizia
rurale di più antica data e si prestava magnificamente ad essere
utilizzata per l'allevamento dei piccioni terraioli, che in origine,
con ogni probabilità, vi si saranno installati spontaneamente.
Le torrette che,
per la persistenza del modello tradizionale di casa colonica,
continueranno ad essere costruite anche negli edifici rurali sorti
successivamente, verranno così utilizzate per altri scopi: come
locale ove distendere l'uva da appassire per dare "il governo"
al vino o per fare il vin santo; come deposito dei fasci di scope
per far costruire il bozzolo ai bachi da seta: come granaio ecc.
Altro importante allevamento che, dalla fine del '700 e per quasi un secolo, interessa le fattorie in Valdichiana è l'allevamento del baco da seta e con l'intervento di più lavoratori. La Direzione, nel corso degli anni, aveva effettuato diversi investimenti per migliorarne la resa: nel 1769 erano stati messi a dimora 600 nuovi piantoni di gelso. lo stesso Fossombroni insieme al Neri Badia¹, erano convinti delle possibilità economiche che la produzione della seta aveva sul mercato e disposero, proprio a Bettole, il ripristino della trattura della seta, ordinando la riduzione di un granaio a stanzone per le caldaie (essenziale per la produzione della seta). Gli osservatori dell'epoca, però, evidenziano come in realtà la grande produzione di gelso a Bettolle non aveva come conseguenza un'alta rendita nella produzione della seta, imputandone la colpa agli agenti di fattoria che non si occupavano abbastanza di curare tutte le operazioni necessarie per passare dalla materia prima (il gelso), al prodotto finale (la seta). I bozzoli spesso morivano per incuria.
Il "sistema fattoria", contestualizzato ed evolutosi anche nella storia della Fattoria di Bettolle, non ha rappresentato solo un esempio di razionalizzazione produttiva attraverso investimenti per la sistemazione del suolo, per nuove e rinnovate costruzioni e per le diverse colture, ma anche un istituto di socializzazione per i gruppi che a vario titolo ne sono stati protagonisti. Il "sistema fattoria" presuppone la presenza dei "poderi", quali unità economiche legate alla gestione dell'azienda appoderata e, "podere", significa anche casa colonica, o meglio "dimora rurale", sufficiente per la famiglia che la occupa, per il ricovero del bestiame e funzionale alle necessità più generali delle produzioni agricole. Il termine podere presuppone anche il concetto di qualcosa che non esiste originariamente in natura, e suppone invece "il concetto di risparmio investito e immedesimato nel terreno". Il podere è una fabbrica, aperta alle piogge, ai venti ed alla grandine, esposta al sole che feconda e brucia; ma una fabbrica non diversa da quella coperta da un tetto, riparata da mura e munita di macchine.
Giuli Giuseppe² distingue i lavoratori della terra tra coloro che "coltivano un podere e per questo son detti anche poderani" e coloro invece che coltivano la terra ma "mancano di podere e prestano l'opera manuale ai proprietari ed ai contadini propriamente detti. La società colonica [...] è quella usata in Val-di-Chiana, onde coltivare i terreni. Esiste questa società tutte le volte che un proprietario affida la riunione di più o meno estesa quantità di terreno per coltivarsi ad una famiglia di contadini". Nella maggior parte dei casi veniva stipulato un contratto tra le parti che prevedeva, per mezzo del Libretto colonico, tutto ciò che era possibile prevedere. Alcuni esempi tra i più significativi riportati nel libretto colonico, oltre la "facoltà del padrone di licenziare in tronco tutta o parte della famiglia del lavoratore" accanto a motivazioni perfettamente comprensibili anche ai giorni nostri come quella per "infedeltà nel consegnare le raccolte al padrone nella sua giusta metà", ce ne sono molte altre: per "colombicidio", o quella "nel caso che alcuno della famiglia fosse convinto di frequentare le osterie, bettole, caffè, bigliardi ed altri luoghi di dissipazione e di vizio".
Alla fine del '700 il colono veniva licenziato in tronco se prendeva moglie senza il consenso del padrone. Agli inizi del '900, non solo la situazione non era cambiata ma era considerata del tutto normale, tanto che Pier Francesco Serragli³, nella sua pubblicazione "il contadino toscano", dopo aver premesso che il matrimonio presso i contadini è spesso l'effetto di mancanza di donne in famiglia, afferma che altre volte sarebbe anche il coronamento di amori "lungamente durati" e si sposerebbero tutti se non fosse per la "provvida regola economica" per la quale il matrimonio del contadino "è sottoposto al consenso ed all'approvazione del padrone".
Nella mezzadria in Toscana, la famiglia occupa il podere, ne fa la propria abitazione, conduce il fondo agricolo e, con la divisione dei prodotti a metà, è non solo retribuita, ma associata al proprietario nell'impresa. Non si tratta quindi di una famiglia qualsiasi, ma di una comunità di parenti, più o meno numerosa, definita da una disciplina interna. La guida il "capoccia"⁴ (normalmente il padre o il fratello maggiore) che rappresenta la famiglia di fronte al proprietario, stipula con lui il contratto e regola, anno per anno, i relativi conti. Predispone, dirige ed assegna a ciascuno dei componenti della famiglia il suo compito di lavoro. Non meno importante è la funzione della "massaia", generalmente la moglie del capoccia, che ha il governo di tutta la famiglia, appresta gli alimenti (per la quasi totalità attinti dal podere stesso), "e alle minute spese provvede coi proventi delle piccole industrie della pollicoltura e dei conigli, da essa indipendentemente gestite, entro i limiti che il contratto determina e salvo la corrisposta al proprietario di taluni prodotti" (uova ecc.). Uno dei componenti della famiglia, il "bifolco"⁵ è addetto al bestiame. "Anche ragazzi, donne e vecchi concorrono, secondo le loro forze, ai lavori del podere". Questa è una definizione del 1939 ma potrebbe essere benissimo degli inizi del Settecento.
In Valdichiana, dice il Giuli, erano presenti 68.388 agricoltori, ma il numero non rappresentava, secondo lui, quello totale di coloro che realmente era impiegato "nella coltura della Valle, perché nei detti individui sono comprese le donne, i bambini ed i vecchi" e, sempre secondo il "professore": "Le donne non possono, se non in alcune stagioni dell'anno, attendere ai gravi lavori campestri per essere occupate a preparare in una parte della giornata il cibo necessario a quei che stanno nei campi, come ad attendere alla scelta delle materie vestienti, e a fabbricare i necessari tessuti per il vestiario, e per gli altri bisogni della famiglia. Con tutto questo stando alcune di esser permanentemente in casa, presso di essa, prestano il necessario cibo al bestiame che si custodisce nella stalla in quasi tutto il corso dell'anno, ed hanno cura dei bachi da seta ai rispettivi tempi; altre s'occupano a raccogliere ogni giorno l'erbe, che occorrono per il nutrimento di esso, quando le stagioni sono propizie; quasi tutte poi all'epoca della sementa dei grani, ed altri cereali, s'adoprano per coprire il grano sparso nel campo; zappano le prode delle viti; mietono il grano, ed altre semente ai suoi tempi; roncano la canapa, e la gramolano, o, come dicono nel paese l'incigliano; attendono alla vendemmia col resto della famiglia, ed infine raccolgono le olive. Da tutto questo si rileva, che sebbene le donne di questa Provincia non siano esposte, come quelle d'altre Provincie Toscane al grave lavoro della vanga, e non stiano nel campo tutto l'anno, come fanno gli uomini, con tutto questo il travaglio che prestano le medesime, si può calcolare essere equale ad un quinto del numero di esse [...] e però non le considero tra le persone che s'impiegano in agricoltura"
Questo brano fotografa uno specifico contesto storico, sociale e culturale, che viene riconfermato da varie e diverse fonti.
Pochi anni più tardi, in un manuale di consigli per proprietari terrieri si legge: "e perché mai le donne, se non per effetto di una pessima abitudine, non dovranno essere occupate nella semente e in qualunque altro lavoro? Noi le vediamo nella campagna di Volterra vangare non meno che gli uomini. Che forse so queste di fibra più forte delle altre? Siccome sanno trovare il tempo per filare e ciarlare con le vicine vorrei che questo tempo fosse consumato nelle faccende del podere [...] detratto il tempo che è loro indispensabile per le incombenze domestiche a cui sono destinate".
L'attività "naturale" della donna era insomma considerata quella di madre e di lavoratrice domestica; in più doveva anche svolgere dei lavori agricoli sulla cui gestione non aveva peraltro alcuna voce in capitolo. "Quando il capoccia diceva: donne, c'è da andare nel campo, noi bisognava lasciare quello che si stava facendo e andare".
Ulteriore conferma dell'assoluta negazione del valore dell'attività lavorativa delle donne nella cultura contadina ed anche nella famiglia mezzadrile, che è stata presente nel contesto sociale importante nella nostra regione almeno fino al 1950, la possiamo trovare anche nelle questioni giuridiche riguardanti la divisione dei beni delle famiglie contadine. La divisione, infatti, risulta «regolata da antiche consuetudini: fondamentale è la distinzione del "patrimonio vecchio" dal "patrimonio nuovo": il primo è rappresentato dai beni ereditati dai padri, il secondo dai beni e dai risparmi dovuti al lavoro dei viventi. Il patrimonio vecchio è diviso per stirpi, il patrimonio nuovo per capi. Per partecipare ad una eguale divisione di beni il "lavorante" deve aver compiuto i 18 anni; ai giovani fra i dodici e i diciotto anni viene corrisposta una quota compresa tra la metà ed un terzo di quello che spetta ad un adulto. Alle donne nulla spetta: quando però esse hanno cooperato non meno degli uomini al lavoro dei campi il giudice può assegnare ad esse una quota fissata a suo arbitrio e sua equità»
In una relazione dell'Osservatorio di economia agraria per la Toscana, pubblicato nel 1939, che prende in esame i risultati degli anni tra il 1933 e il 1937 così descrive la fattoria di Bettolle:
"E una grande azienda in provincia di Siena, al confine di Arezzo. I nove decimi della fattoria sono in piano, il restante in collina con lieve pendenza. Il terreno è di medio impasto, tendente all'argilloso nella maggior parte della superficie. I poderi hanno una estensione media di ha. 13. Le case coloniche sono in ottimo stato, in buona parte di recente costruzione: in ottime condizioni le stalle e le concimaie a doppia platea con corsia centrale. Ci troviamo, sotto questi aspetti, in condizioni superiori alla normalità della zona. Il seminativo è nella quasi totalità vivato, con impianti tutti su piede americano: altra condizione di superiorità rispetto alla maggior parte delle altre aziende. L'avvicendamento è decennale con largo posto alle industriali da rinnovo - bietole e tabacco - il cui prodotto assorbe il maggior valore del prodotto lordo vendibile. La superficie a tabacco - Kentucky - ha subito in questi anni una leggera contrazione. L'essiccamento viene eseguito in appositi locali aziendali. Ai rinnovi vengono somministrati piccoli quantitativi di acqua irrigua sollevata dal sottosuolo, del tutto a carattere di soccorso. Il vino, di gradazione bassa, ha un commercio locale. L'indirizzo zootecnico è rivolto all'allevamento di bovini di pura razza chianina: è una delle aziende dove ritroviamo ottimo bestiame da tempo migliorato. Molti i torelli che vengono venduti per la riproduzione a prezzi elevati. Il lavoro nel podere è dato tutto dal colono con sempre scarso ricorso all'aiuto dei braccianti. La direzione è fornita da un direttore tecnico coadiuvato da un agente ed altro personale subalterno che risiedono nell'azienda. La direzione è per questa fattoria migliore della normalità. Il capitale di scorta è nella quasi totalità del conduttore, sono del colono solo alcune macchine. Il numero dei capi bovini risulta di 303, 291, 319, 307 nei quattro anni considerati: il peso vivo ad ettaro era rispettivamente di q.li 2,93; 2,82; 2,75; 3,16. E da osservare che se qualitativamente il bestiame è fra il migliore della zona, il peso vivo può rappresentare il carico medio della maggior parte delle aziende. Dalla media del quadriennio risulta un reddito per il colono di L. 653 ad ettaro complessivo corrispondente a L. 1.642 per unità di lavoro; il reddito netto del proprietario di L. 255 per ettaro; un reddito fondiario netto di L. 175 ad ettaro"
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¹ Neri Badia: prese parte al rinnovamento normativo del Granducato di Toscana nel XVIII secolo, istituendo la prima cattedra di diritto internazionale all'Università di Pisa. Ricoprì il ruolo di commissario dello Spedale degli Innocenti di Firenze e fu uditore presso l'Ordine di Santo Stefano. |
² Giuli Giuseppe: medico e naturalista (botanico, chimico e studioso di storia naturale) senese 1778-1851 |
³ Pier Francesco Serragli: Proprietario terriero e accademico della crusca, fu sindaco di Firenze dal 1917 al 1920. Presidente dell'Associazione Agraria toscana, |
⁴ Capoccia: Il capo e l'amministratore degli interessi comuni nella famiglia colonica |
⁵ Bifolco: colui il quale bada al bestiame, in particolare quello bovino. |
Estratto da: Quaderni Sinalunghesi - la Real Fattoria di Bettolle - a cura della Biblioteca Comunale di Sinalunga - anno XII n.1 |