Canti Popolari Toscani del Mondo Contadino |
Canti monostrofici |
Questi canti popolari toscani non coprono l'intero arco del folklore popolare toscano: all'opposto, rappresentano un campionario « tematico", sulla condizione del « contadino » nei suoi rapporti con lo Stato, col clero, col padronato, con la città, ecc.
Questi testi sono il prodotto di operazioni diverse: rispetti e stornelli, ad esempio, nacquero solitamente da una matrice anonima e collettiva, autenticamente popolare; mentre il canto in ottava rima e la canzone furono composti da cantastorie ambulanti, semiletterati o, addirittura, da scrittori più o meno mediocri. Materiali di diretta origine popolare, oppure già tirati a stampa (Adriano Salani fu, nell'Ottocento, editore fertilissimo di tali feuilletons) e quindi manipolati dalla fantasia popolare. Esiste, comunque, il problema di fondo, ideologico, consistente nella possibilità o meno di organizzare una cultura di classe in condizioni tanto scomposte, come erano quelle legate alla mezzadria. La risposta è abbastanza ovvia: il discorso sociale e contrattuale di questi canti è velato ed indiretto, per l'assenza di un coordinamento sindacale o di una coscienza di gruppo atta a promuovere una forma di lotta esplicita; se si aggiunge la componente gioiosa che presiede naturalmente la funzione di una parte di questo materiale (la « veglia toscana », appunto, col la sua forma di raccontino breve e arguto) si arriva alla verifica di una regresso verso l'infanzia della storia e verso placamento delle tensioni conflittuali. Lo si può paragonare, quindi, a un impegno « riformistico » privo di strategia, sottoposto anzi al disegno storico del padronato.[...]
[...] Di conseguenza le migliori manifestazioni politiche dei canti raccolti si hanno al livello di protesta spontanea, di documento immediato strutturale e non ancora so-vrastrutturale. Questo discorso vale particolarmente per la Toscana ove l'assenza di un'industrializzazione delle campagne (come avvenne invece in Emilia, in Piemonte, in Lombardia e nell'Italia settentrionale in genere) non fece scattare la molla della protesta contro lo sfruttamento del lavoratore collettivizzato.[...]
[...] Sotto questa patina di polivalenza sociale esistevano una forma di coscienza civile ed un sostanziale anarchismo vitalistico (rappresentato oggi dal sottoproletariato urbano) che la soggezione all'autorità padronale non annullava, incentivandola anzi con una sorda resistenza contro il clericalismo, la piccola borghesia parassitaria e l'aggregazione urbana. Considerate nel passato, queste manifestazioni ideologiche rappresentano l'inquieta premessa alla coscienza di classe, ma oggi - se non vengono chiarite ed organizzate globalmente nelle esigenze della base lavoratrice - divengono motivo di disordine pseudo romantico, individualistico e qualunquista. Per cui, nel raccogliere questi canti e recepirne le istanze fondamentali, non si è rinunciato al rigore di una discriminazione ideologica, di una selezione attiva, non vaga ma sorretta da precise valutazioni storicistiche.[...]
[...] è doveroso inquadrare
senza errori il contributo ed il senso della comunicazione
folkloristica.
[...] Il folklore popolare risorgimentale non risponde a vere esigenze popolari, ma è il prodotto di un'operazione letteraria « a stampa »: autori come Domenico Carbone, Enrico Mayer, Carlo Bosi, Francesco Dall'Ongaro, Angelo Talli, Giuseppe Torelli, ecc. - scrittori mediocri e cantastorie popolareggianti - misero la loro penna al servizio della causa nazionale e monarchica creando così una serie di inni e canti di battaglia che, rompendo i margini regionali, divennero strumenti « medi » di convincimento ideologico: « La camelia toscana »; « Sono italiano »; « Addio, mia bella, addio »; « La carabina del bersagliere »; « La rondinella », ecc. sono esempi troppo noti e sfruttati dalla agiografia risorgimentale perché si debba soffermarci a spiegarne la natura enfatica e superficialmente entusiastica.
Anche gli stornelli e le
canzoni anonime, collettive testimoniano una matrice non propriamente
popolare, ma di derivazione letteraria. L'ideologia di questi canti può
benissimo essere riassunta nel verso « Re Vittorio lo vogliam » (di tono
imperativo, reazionario), come alternativa consistente al frazionamento
regionale ed anelito unitario contro le dominazioni straniere.
La rabbia scaturisce, in questo modo, in un consenso disarmato, proprio del popolo che ancora non è riuscito a produrre una ideologia alternativa.
Nel sentimento del proprio
essere (subordinati ed offesi) si riassume e condensa la prima forma di
coscienza di classe, il primo embrione da cui scaturirà poi il folklore
di protesta novecentesco.
E ancora più nitido:
Si tratta di strofe probabilmente non cantate, ma che documentano l'iniziale formazione di una cultura di classe estremamente lucida; come avveniva peraltro in ogni regione italiana, come si può leggere anche in questa quartina:
Contro gli austriaci e i principi stranieri, ma anche contro i signori su cui si fondava la nascente Italia: questa è la punta più alta del messaggio del più vero folclore popolare dell'Ottocento.
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