Canti Popolari Toscani

del

Mondo Contadino

 

 

 

Canti epico-lirici

Canti monostrofici 

RispettiStornelli

   

 

   

Canti narrativi in ottave

Canzoni    

 

 

Questi canti popolari toscani non coprono l'intero arco del folklore popolare toscano: all'opposto, rappresentano un campionario « tematico", sulla condizione del « contadino » nei suoi rapporti con lo Stato, col clero, col padronato, con la città, ecc.


I rispetti, gli stornelli, i canti in ottava rima, le canzoni ed i canti di protesta sono perciò documenti probanti di una civiltà che lo sviluppo neocapitalistico ha polverizzato, lasciando in vita medioevali forme mezzadrili, inserendo il bracciantato in « gabbie » economiche da sottosviluppo e - circa l'assetto culturale - imponendo la sottocultura dei mass media e della televisione che è, ormai, scuola, giornalismo e spettacolo (come vogliono i nostri governanti), di idiozia e malcostume.
In questo senso, il materiale qui raccolto è di attualità, proprio per la testimonianza di questi « ruderi di passato » che continuano nel presente, in cui peraltro devono avere esito per un superamento dell'arcaica contraddizione campagna-città nel tessuto vivo di un movimento unitario.
Qui non sono contenuti rispetti puramente amorosi, canti iterativi, filastrocche, o altro che pure fa parte del naturale bagaglio folk ma la condizione di classe del « contadino » nei suoi aspetti sociali, emergenti oltre il plafond culturale di cui notoriamente disponeva.

 

Questi testi sono il prodotto di operazioni diverse: rispetti e stornelli, ad esempio, nacquero solitamente da una matrice anonima e collettiva, autenticamente popolare; mentre il canto in ottava rima e la canzone furono composti da cantastorie ambulanti, semiletterati o, addirittura, da scrittori più o meno mediocri. Materiali di diretta origine popolare, oppure già tirati a stampa (Adriano Salani fu, nell'Ottocento, editore fertilissimo di tali feuilletons) e quindi manipolati dalla fantasia popolare.

Esiste, comunque, il problema di fondo, ideologico, consistente nella possibilità o meno di organizzare una cultura di classe in condizioni tanto scomposte, come erano quelle legate alla mezzadria.

La risposta è abbastanza ovvia: il discorso sociale e contrattuale di questi canti è velato ed indiretto, per l'assenza di un coordinamento sindacale o di una coscienza di gruppo atta a promuovere una forma di lotta esplicita; se si aggiunge la componente gioiosa che presiede naturalmente la funzione di una parte di questo materiale (la « veglia toscana », appunto, col la sua forma di raccontino breve e arguto) si arriva alla verifica di una regresso verso l'infanzia della storia e verso placamento delle tensioni conflittuali.

Lo si può paragonare, quindi, a un impegno « riformistico » privo di strategia, sottoposto anzi al disegno storico del padronato.[...]

 

[...] Di conseguenza le migliori manifestazioni politiche dei canti raccolti si hanno al livello di protesta spontanea, di documento immediato strutturale e non ancora so-vrastrutturale.

Questo discorso vale particolarmente per la Toscana ove l'assenza di un'industrializzazione delle campagne (come avvenne invece in Emilia, in Piemonte, in Lombardia e nell'Italia settentrionale in genere) non fece scattare la molla della protesta contro lo sfruttamento del lavoratore collettivizzato.[...]

 

[...] Sotto questa patina di polivalenza sociale esistevano una forma di coscienza civile ed un sostanziale anarchismo vitalistico (rappresentato oggi dal sottoproletariato urbano) che la soggezione all'autorità padronale non annullava, incentivandola anzi con una sorda resistenza contro il clericalismo, la piccola borghesia parassitaria e l'aggregazione urbana.

Considerate nel passato, queste manifestazioni ideologiche rappresentano l'inquieta premessa alla coscienza di classe, ma oggi - se non vengono chiarite ed organizzate globalmente nelle esigenze della base lavoratrice - divengono motivo di disordine pseudo romantico, individualistico e qualunquista. Per cui, nel raccogliere questi canti e recepirne le istanze fondamentali, non si è rinunciato al rigore di una discriminazione ideologica, di una selezione attiva, non vaga ma sorretta da precise valutazioni storicistiche.[...]

[...] è doveroso inquadrare senza errori il contributo ed il senso della comunicazione folkloristica.
Non si dimentichi inoltre il riferimento bibliografico e filologico, che colloca senz'ombra di dubbio il grosso di questi documenti nell'Ottocento, trovando invece nel nostro secolo un vuoto quasi assoluto, per la polverizzazione dell'aggregazione e della cultura contadina.[...]

 

[...] Il folklore popolare risorgimentale non risponde a vere esigenze popolari, ma è il prodotto di un'operazione letteraria « a stampa »: autori come Domenico Carbone, Enrico Mayer, Carlo Bosi, Francesco Dall'Ongaro, Angelo Talli, Giuseppe Torelli, ecc. - scrittori mediocri e cantastorie popolareggianti - misero la loro penna al servizio della causa nazionale e monarchica creando così una serie di inni e canti di battaglia che, rompendo i margini regionali, divennero strumenti « medi » di convincimento ideologico: « La camelia toscana »; « Sono italiano »; « Addio, mia bella, addio »; « La carabina del bersagliere »; « La rondinella », ecc. sono esempi troppo noti e sfruttati dalla agiografia risorgimentale perché si debba soffermarci a spiegarne la natura enfatica e superficialmente entusiastica.

 

Anche gli stornelli e le canzoni anonime, collettive testimoniano una matrice non propriamente popolare, ma di derivazione letteraria. L'ideologia di questi canti può benissimo essere riassunta nel verso « Re Vittorio lo vogliam » (di tono imperativo, reazionario), come alternativa consistente al frazionamento regionale ed anelito unitario contro le dominazioni straniere.
Premesso che questo corposo bellicismo contrasta senz'altro con la vocazione popolare a rifiutare guerre non proprie, occorre riconoscere che il materiale in questione è davvero sintomatico (una serie di prodotti, finiti, diremmo oggi) della missione italiana del movimento borghese, né presenta incrinature ideologiche o cedimenti nei confronti, ad esempio, del populi-smo della letteratura antirisorgimentale.
Nessun accenno alla dialettica fra l'uomo storico - sottoposto alle esigenze del potere - e l'uomo privato che deve così rinunciare ai propri sentimenti ed alle personali o sociali ragioni umane. La didascalìa, nel senso più corrivo del termine, vi è imperante.


Così, gli stornelli e le canzoni che irridono la bolsa e puntigliosa dominazione Lorena (e ve ne sono numerosi la cui autentica radice popolare è indubitabile per il lessico ed i contenuti) rimangono « oggetto », testimonianza appunto di una ribellione spontanea, fine a se stessa, all'interno della soluzione unitaria monarchica o confermano un anarchismo al cui fondo sopravvive il provincialismo cattolico.

La rabbia scaturisce, in questo modo, in un consenso disarmato, proprio del popolo che ancora non è riuscito a produrre una ideologia alternativa.

Nel sentimento del proprio essere (subordinati ed offesi) si riassume e condensa la prima forma di coscienza di classe, il primo embrione da cui scaturirà poi il folklore di protesta novecentesco.
Pure, già nell'epoca quarantottesca si erano accese alcune scintille di autentica coscienza proletaria. Ecco due componimenti reperiti a Livorno:

 

 

Sciogli pur Livorno mia,

la tua libera canzone,

chi vigliacco ti tradìa

cadrà estinto innanzi a te. Via de' regi la corona,

solo il popolo sia re.

 

 

                          E ancora più nitido:

 

 

Una per tutti i popoli

chiamati alla riscossa

risplendi fra i patiboli

santa bandiera rossa.

 

 

 

Si tratta di strofe probabilmente non cantate, ma che documentano l'iniziale formazione di una cultura di classe estremamente lucida; come avveniva peraltro in ogni regione italiana, come si può leggere anche in questa quartina:

 

 

Né a Mariano,

né a Cantù,

i todesch ghe turnen pu

e crepa i siori.

 

               

Contro gli austriaci e i principi stranieri, ma anche contro i signori su cui si fondava la nascente Italia: questa è la punta più alta del messaggio del più vero folclore popolare dell'Ottocento.

 

 

Tratto da: LA BARRIERA, Canti Popolari Toscani del Mondo Contadino, di IVO GUASTI - FRANCO MANESCALCHI - edito da: NUOVEDIZIONI ENRICO VALLECCHI - IL BISONTE