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Tanta è la pregnanza del verso dantesco che, al solo sentir nominare l'affluente dell'Ombrone che bagna Monteroni e Lucignano e lambisce Buonconvento, pare d'udire Farinata degli Uberti, ertosi "col petto e colla fronte", evocare, nel X canto dell'Inferno, la battaglia di Monteaperti, del 4 settembre 1260, con "lo strazio e il grande scempio, che fece l'Arbia colorata in rosso". Il paesaggio della Val d'Arbia (e non solo), al di là della sua valenza estetica, è uno stratificato insieme in cui, lungo il tempo, natura e uomo e, quindi storia e civiltà particolari, hanno interagito e continuano ad agire. Tutto ciò a significare che nessuna realtà paesaggistica può essere ritenuta immutabile. E forse è proprio dentro questo stratificato divenire che risiede il mistero di ciascun paesaggio, la sua connotazione “interiore” ed estetica. Cioè, quell’essere specchio, nell’oggi, di una civiltà, di una cultura, di una memoria collettiva, di una esteriorità, che, in vario modo, si sono formate generando morfologie di terra e di anima. I luoghi, pertanto, non restano immutabili, dati una volta per tutte, ma “diventano”, si trasformano lungo il tempo, per ciò che l’uomo vi costruisce e vi “vede”. Essi, allora, non sono soltanto quello che mostrano, ma anche quello che sanno suscitare in chi li abita, in chi li visita.
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