Battisteri

Paleocristiani

nel territorio a sud di Siena

 

 
 

   
     
 

S. Chiesa Madre in Mensalas o ad Mensulas

S. Stefano in Cennano

S. Maria in Cosona

S. Ippolito in Sessiano

S. Giovanni in Rantia (o in Rencine)

 

 

  S. Andrea in Malcenis S. Pietro in Pava S. Maria in Pacina SS. Quirico e Giovanni in Vico Falcino o Palecino S. Restituta in fundo Rexiano  

 

  S. Felice in Avana S. Valentino in casale Ursina S. Vito in Rutiliano S. Chiesa Madre in castello Polliciano S. Vito in Vescona  

 

  S. Donato in Citiliano S. Maria in Saltu S. Vito in Pruniano S. Vito in Osenna o in Ofenna  

 

 

 

"Nella collina [...] ove risiede l'ameno castello di Sinalunga pare al certo che ve ne fosse uno etrusco, o almeno in qualche altro colle vicino: giacché si ricorda che negli anni addietro si sono cavate tombe a fossa o a cella, con vasi dipinti, e di bucchero nero. Presi nota allora di uno molto arcaico colla rappresentanza dei centauri a forma umana, colle gambe nella parte dinanzi, ed a forma equina nella posteriore; e presi pure nota di altri trovamenti con urne iscritte. [...] Nel fecondo e ben coltivato piano pertanto stanno nascoste le antichità romane, e nei poggi rigogliosi di viti e di ulivi disperse le etrusche"

 

Così il celebre archeologo aretino Gian Francesco Gamurrini descrive, nel 1898, il ritrovamento di alcune tombe etrusche nei colli circostanti Sinalunga, tratteggiando con efficacia le conoscenze archeologiche sul territorio allo scorcio del XIX secolo.

 

Nel volume "Il martirio e i sepolcri di Pietro e Paolo ed altri eletti a Sinalunga", possiamo identificare l'antica etrusca "Velsina" con Sinalunga, spinti da quel lenzuolo conservato a Zagabria, ma ritrovato in Egitto, quale involucro di una mummia, contenente un testo sacro redatto con quei caratteri della scrittura etrusca del IV secolo a.C, diffusi nell'area compresa tra Chiusi, Cortona e Perugia. In questo lenzuolo si parla di riti da compiersi nel tempio (atre) di Giunone Ursina (Uni Ursumnei), oltreché di una Reggia (Laukumneti da: Lucumo o Re) e del culto verso "Veltha" o "Veltumna".

Che nella zona di Sinalunga e della provincia senese, sorgessero luoghi di culto dedicati a Giunone Ursina, lo attestano i toponimi Orsina di Montefollonico e di Asciano, Orgia di Sovicille, i nomi del fiume Orcia e del torrente Musarone (M-Ukernui) di Bettolle (cfr. Userna nel Tifernate).

A Velsina o Sinalunga, era venerato Giove "Falater"; il torrente Barlato, presso Rigaiolo, ha conservato il teonimo "Balàtro" o "Falater".

Soprattutto il medioevale toponimo "Poggio Baldino", erede del romano "vicus Balatinus" o "Falatrine", ricorda come il Palatino di Roma, il culto locale verso "Falater".

Un altro toponimo: "Palladòro", cioè "Palatorium", ci dice chiaramente che nel "vicus Falatrine" e precisamente nell'orto del convento di S. Bernardino esisteva il tempio etrusco dedicato a "Pahter" e alla sua sposa "Nortia".

 

La presenza del tempio di Norzia e di Falatro a Velsina o Volsinii o Sinalunga riceve una preziosa conferma dal Martirologio Geronimiano, che risale nel suo nucleo primitivo alla fine del i secolo d.C, ma che nel testo interpolato dei secoli successivi, riporta al 30 luglio la deposizione dei martiri Abdo e Sennis "nel cimitero di Ponziano ad Ursum Pilatum".

Quest'ultima espressione, al 14 marzo e al 3 ottobre, diventa: "ad Ursum Pileatum", cioè "presso l'Orso Incappellato". L'interpolatore ha così portato nel ridicolo un'indicazione precisa sul tempio di "Ursina e Palatro", da collocarsi, come tutti gli altri toponimi del Geronimiano, a Sinalunga.

 

Il volume sopra citato, si prefigge di stabilire, a livello di ipotesi attendibile, la data e i luoghi di martirio e di sepoltura degli Apostoli Pietro e Paolo e di altri 46 martiri "eletti " da Dio, attraverso la decifrazione del Martilogio cosiddetto Geronimiano.

Lo studio del Geronimiano, dopo aver stabilito che esso è la fonte sia del Breviario Siriaco del IV secolo, sia della "Depositio Martyrum" romana del 336, ha portato alla ricostruzione di un elenco di 48 martiri, uccisi non sotto Nerone, che limitò la sua persecuzione a Roma, ma sotto Domiziano.

Anche il Libro Pontificale (VI secolo) pone il martirio di Pietro sotto il consolato di un "Vetere" che è sicuramente quello del 96. L'elenco doveva far parte del primitivo Martirologio, risalente alla fine del I secolo.

Ne risulterebbe che i toponimi interpolati del Geronimiano dovrebbero riferirsi a quattro località distinte del territorio della Colonia romana Sina Iulia, poi Sina Luglia o Sina Lugghia e Sinalunga, cioè al "vicus Palatrine" (Poggio Baldino), alle "Aquae Taurinae" (Canale), alle "duae Domus" (Rigaiolo) e al "Forum Flavium" (Amorosa), luoghi dove i martiri sarebbero stati uccisi.

Tutti poi risulterebbero sepolti in un unico luogo: il Foro di Flavio, poi mansione ad Mensulas della via Cornelia, strada che si distaccava dalla Cassia alla mansione "Manliana" sotto Poggio a Magliano e raggiungeva "Manliana" di Follonica sull'Aurelia.

I martiri sarebbero stati deposti in una "Laucumneti" o Reggia sotterranea etrusca, presso il tempio di Veltumno, di Apollo e di Camurisa, nell'attuale villa-albergo Amorosa.

 

Oltre che per la presenza del tempio di Veltumno e di Apollo, si localizza il martirio di Pietro nel territorio sinalunghese per la presenza delle sette ninfe o sorgenti al podere Canale, sotto Poggio Baldino, ricorrenti negli itinerari romani con il nome "ad septem palumbas", e delle due metule (o mesule), simboleggianti i due dei Veltumno e Apollo, poste nella mansione ad Mensulas all'Amorosa ricordate dal Geronimiano con le espressioni ad vincula e in monte aureo, e raffigurate spesso nella iconografia medioevale della crocifissione di Pietro "tra le due metule", sotto forma di piramidi.

Un "Baptisterium", dedicato alla S. Chiesa Madre, cioè alla S. Assemblea dei 48 martiri, viene costruito, verso il IV secolo, proprio sulle loro tombe. Nel volume si prospetta anche che quella Comunità si trovasse riunita in quella ex capitale di un regno etrusco per attendere l'arrivo imminente del regno di Dio, che sarebbe stato governato dai cristiani Tito Flavio Domiziano e Tito Flavio Vespasiano, figli di Flavio Clemente e di Flavia Dominila, già destinati da Domiziano a succedergli sul trono imperiale.

La sepoltura di quei martiri in quel luogo apparirebbe quindi collegata con gli eventi degli ultimi tempi e con l'instaurazione del regno di Dio.

 

La città di Velsina che aveva in comune il suo nome con il dio Veltina o Veltumno, con Porsenna o Porsina, re di Chiusi e di Velsina, con il suo torrente Forsenna o Foenna, viene presentata da Tito Livio come una "città fortissima, capitale dell'Etruria" nel V sec, insieme a Perugia e ad Arezzo ("Tres validissimae urbes Etruriae capita, Volsinii, Perusia, Arretium, pacem petiere"). Il suo territorio abbracciava probabilmente quello dei tre successivi municipi romani, nati in seguito alla frantumazione della potente lucumonia etrusca e divenuti poi tre diocesi cristiane Chiusi, Sinalunga, Siena ("Clusium", "Sina Iulia", "Saena"). 

Il nome "Sina" al posto di "Velsina" le venne dato probabilmente quando vi fu dedotta una colonia romana, cioè quando l'Imperatore Caio Giulio Cesare Ottaviano Augusto ne distribuì il territorio ai propri veterani o soldati a riposo e le diede l'appellativo della "gens Iulia".

Con il nome "Sena Iulia" appare nella Tabula Peutingeriana del IV secolo e con il nome di "Colonia Siniensis" o "Seniensis" appare in Tacito e in Plinio, mentre Siena viene trascritta con il dittongo ("Saena") ed appare in Tolomeo, in un'iscrizione adrianea per due volte e in un'altra del 394. Siena non può essere identificata con Sina Iulia, tenendo conto anche che la via che da Manliana di Torrita di Siena si dirigeva a Manliana di Follonica sul mare, toccando Sina Iulia, avrebbe seguito un percorso esageratamente troppo lungo se fosse salita fino a Siena.

 

Il Geroniniano sembra assegnare a Sina Iulia i titoli pomposi di: "Italia, Regia, Concordia, Antiqua Mater, Flavia Augusta".

Con l'avvento del Cristianesimo, dopo il martirio degli "eletti" della Comunità di Alba Ràsina (borgata situata forse presso la villa Le Carceri) del 96 d.C, Sina Iulia, come tutte le città romane, divenne diocesi cristiana, i cui confini territoriali ricalcavano quelli della colonia romana, infatti le circoscrizioni ecclesiastiche nell'età romana furono modellate su quelle amministrative civili. La diocesi di Sina Iulia, come quelle del centro-nord Italia, era divisa in zone amministrative denominate nel Medioevo "plebatus" o pievanie o pivieri, cioè territori dipendenti da una pieve.

Ma già nell'antichità romana, il vasto territorio rurale che si estendeva oltre il suburbio della città, dalle quali dipendeva, era diviso in un determinato numero di "pagi", ognuno dei quali comprendeva diversi "vici".

 

Il vocabolo "pago", da cui deriva il termine "pagensis" o "paese", è diverso dal vocabolo italiano "a pago" o "a pagaccio", derivante dal latino "opacus", (cfr. Porta a Pago di Torrita).

Ogni "pago" aveva i suoi speciali magistrati, ("magistri vicani"?) soggetti ai magistrati della città. Ora è verosimile che le pievi originarie corrispondessero - press'a poco - agli antichi "pagi" e che, a suo tempo, nel "vico" più comodo (oppure più importante) di ogni pago, forse dove aveva residenza il magistrato civile, o dove sorgeva un edificio di culto pagano, si edificasse una chiesa, alla quale potessero facilmente convenire i fedeli dei "vici" circostanti.

Così, probabilmente, sorsero le Pievi, cominciando dalle regioni più lontane dalla città.

E certo che dalla fine del IV secolo, la costruzione delle chiese nei "vici" o villaggi più importanti delle campagne, era largamente attuata in Italia, come è noto da una Costituzione imperiale del 398, emanata in Milano, in cui si ordina che "per le chiese, che sorgono nei vici o in altri luoghi, siano ordinati chierici presi dallo stesso vico e in numero proporzionato alla grandezza e celebrità del luogo".

I vescovi Franchi nel Concilio di Vaison del 529 vollero adottare il sistema invalso nelle pievi rurali italiane, cioè che il presbitero capo curasse la formazione dei chierici, futuri sacerdoti, nella propria canonica.

 

Ad ogni pieve apparteneva dunque un certo numero di località circostanti ("vici") e gli abitanti di esse pagavano la decima al rettore della Pieve, seppellivano i loro morti nel cimitero della Pieve e solamente in essa ricevevano il Battesimo e partecipavano alle celebrazioni liturgiche più importanti.

Le Pievi sono dunque, generalmente, le chiese più antiche di una diocesi, dal momento che il Battesimo è il sacramento per mezzo del quale si entra a far parte della comunità dei figli di Dio, la Chiesa, e si fa la prima incardinazione nella religione cristiana.

Pieve è una parola latina, "plebs" e significa "popolo", tutto il complesso del popolo sparso nei "vici", che era composto perciò dal "vulgus" o popolino, opposto agli "optimates" o aristocratici.

La nascita e il fiorire delle Pievi cristiane appaiono perciò un avvenimento straordinario e "rivoluzionario".

«Senza tanto chiasso, ma concretamente, le classi popolari, la gente comune, in una parola, la plebe, viene ora posta al fondamento di una nuova società e diventa protagonista di un cammino di liberazione che ha caratterizzato la storia dell'uomo, soprattutto dall'avvento del Cristianesimo, fino ad oggi. Il nome pieve (popolo) e chiesa (comunità) esprimono inoltre la coscienza e la volontà di vincere l'isolamento e la disgregazione sociale; il Cristianesimo fin dal suo sorgere fu una religione che tendeva ad unire; l'individualismo non fu mai la sua legge». (Antonio Bacci)

 

Le pievi che generavano il popolo santo di Dio originariamente indicavano la comunità dei fedeli, poi passarono a significare il territorio della comunità e infine, dal secolo IX, la chiesa dove i fedeli si riunivano (cfr. M. MAZZOTTI, Il significato cristiano del termine «plebs», in Pievi del territorio riminese nei documenti fino al mille, Rimini 1984). Esse erano dunque chiese importanti per quantità di popolazione e per la loro posizione al centro di movimenti agricoli e di commercio; perciò erano costruite lungo strade frequentate, o bivi, o trivi, o quadrivi. Il tutto, evidentemente per la comodità di coloro che volevano accedervi.

Pertanto la identificazione delle antiche Pievi del territorio Senese, contese tra i vescovi di Arezzo e di Siena dal 650 al 1220 è un ritorno alle radici, è il ritrovamento di un'antica e mai smentita maternità, non solo di religione, ma anche di vita e di tradizioni.

 

La chiesa battesimale fino al secolo VII si chiamava semplicemente "ecclesia" o luogo di riunione. Con l'inizio del secolo VIII, mentre in altre diocesi come Lucca, le chiese dotate di fonte battesimale continuano a riportare, nelle carte longobarde di quel periodo, il semplice titolo "ecclesia", nella nostra diocesi esse vengono qualificate con un vocabolo unico e denso di significato: "baptisterium", cioè edificio sacro che nel Battesimo genera il popolo di Dio.

Il territorio che si estendeva da Bettolle a S. Angelo in Colle, oltre Montalcino e da Montepulciano a S. Felice in Chianti, presso S. Gusmè, era suddiviso tra i seguenti 19 battisteri, risalenti tutti, con l'eccezione del battistero di S. Donato in Citiliano, quasi sicuramente ai secoli IV e V; e tutti documentati, unico caso in Italia, dal 714-715.

 

 

 

 

 

 
 

Tratto da:

Quaderni Sinalunghesi - Battisteri Paleocristiani del Territorio Sinalunghese - a cura della Biblioteca Comunale di Sinalunga - Anno IX N° 1